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Art. 742 - Poteri del ministro della giustizia e presupposti dell’esecuzione all’estero

1. Nei casi previsti da accordi internazionali o dall’articolo 709 comma 2, il Ministro della giustizia, anche su domanda del pubblico ministero competente, chiede l’esecuzione all’estero delle sentenze penali ovvero vi acconsente quando essa è richiesta dallo Stato estero, sempre che non contrasti con i princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

2. L’esecuzione all’estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale può essere domandata o concessa solo se il condannato, reso edotto delle conseguenze, ha liberamente dichiarato di acconsentirvi e l’esecuzione nello Stato estero è idonea a favorire il suo reinserimento sociale.

3. L’esecuzione all’estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale è ammissibile, anche se non ricorrono le condizioni previste dal comma 2, quando il condannato si trova nel territorio dello Stato richiesto e l’estradizione è stata negata o non è comunque possibile.

Rassegna giurisprudenziale

Poteri del Ministro della giustizia e presupposti dell’esecuzione all’estero (art. 742)

È pacifico che la materia del trasferimento all’estero della persona condannata ha ricevuto regolamentazione nella Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, la quale stabilisce all’art. 2, § 2, nell’ambito dei principi generali, che: “2. Una persona condannata sul territorio di una Parte può, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, essere trasferita nel territorio di un’altra Parte per subirvi la condanna inflittale.

A tal fine può esprimere, sia presso lo Stato di condanna, sia presso lo Stato di esecuzione, il desiderio di essere trasferita in virtù della presente Convenzione; all’art. 3 detta poi le condizioni del trasferimento nei seguenti termini: “1.

Un trasferimento può aver luogo secondo la presente Convenzione soltanto alle seguenti condizioni: a. il condannato deve essere cittadino dello Stato d’esecuzione; b. la sentenza deve essere definitiva; c. la durata di condanna che il condannato deve ancora subire deve essere di almeno sei mesi alla data di ricezione della domanda di trasferimento, o indeterminata; d. il condannato o, qualora uno dei due Stati lo ritenesse necessario a causa della sua età o del suo stato fisico o mentale, il suo rappresentante deve consentire al trasferimento; e. gli atti o le omissioni che hanno provocato la condanna devono costituire un reato per il diritto dello Stato d’esecuzione, o dovrebbero costituirne uno qualora avvenissero sul suo territorio; f. lo Stato di condanna o lo Stato di esecuzione devono essersi accordati su tale trasferimento”.

Le disposizioni che seguono le due norme citate riguardano: l’obbligo di fornire informazioni; domande e risposte; atti a sostegno; consenso e verifica; conseguenze del trasferimento per lo stato di esecuzione e per quello di condanna; prosecuzione dell’esecuzione e conversione della condanna; grazia, amnistia, commutazione della pena; cessazione dell’esecuzione; informazioni sull’esecuzione. Può concludersi che l’assetto normativo della Convenzione si limita ad individuare solo alcune condizioni formali per avanzare la domanda di esecuzione all’estero e per acconsentire alla richiesta in tal senso formulata dallo Stato straniero.

La rassegna delle fonti normative rilevanti per la soluzione del caso deve annoverare anche la L. 334/1988, che ha dato attuazione alla predetta Convenzione nell’ordinamento italiano e la L. 257/1989, introduttiva di disposizioni per l’attuazione di convenzioni internazionali aventi ad oggetto l’esecuzione delle sentenze penali, la quale, all’art. 5, comma 1, dispone: “L’esecuzione all’estero di una sentenza di condanna non è ammessa se non vi è stata deliberazione favorevole della corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna.

A tale scopo il ministro di grazia e giustizia trasmette gli atti al procuratore generale affinché promuova il procedimento davanti alla corte di appello”.

Tale previsione dal tenore chiaro e preciso, che ricalca quanto stabilito dall’art. 743 comma 1, non ha subito alcuna deroga ad opera di altre disposizioni convenzionali successive e non si pone nemmeno in contrasto con l’Accordo integrativo aggiuntivo della convenzione del 1983, stipulato tra Italia ed Albania in data 24 aprile 2002, ratificato dall’ordinamento nazionale con la L. 204/2003.

Tanto premesso, va senz’altro ritenuta la funzione soltanto integratrice e residuale rispetto alla disciplina normativa dettata dagli accordi internazionali in materia di esecuzione all’estero della sentenza penale, assegnata alle disposizioni di cui agli art. 742 e 743 e stabilita in via generale dall’art. 696: le stesse sono oggetto di applicazione soltanto quando la regolamentazione pattizia sia priva di espresse previsioni, oppure se non disponga diversamente.

Non si può per contro ritenere che spetti soltanto all’autorità ministeriale nelle sue interlocuzioni con l’autorità estera governare il procedimento in base a proprie discrezionali e non verificabili determinazioni (Sez. 1, 57806/2017).

La disciplina codicistica assume, conformemente alla clausola generale contemplata nell’art. 696, un valore solo integrativo rispetto alla prevalente normativa dettata dagli accordi internazionali in materia di esecuzione all’estero della sentenza penale: gli artt. 742 e 743, in tale prospettiva, si applicano solo quando le norme internazionali (nel caso in esame, la su citata Convenzione del 1983) manchino oppure non dispongano diversamente, limitandosi ad individuare alcune condizioni formali di base per avanzare la domanda di esecuzione all’estero o per acconsentire alla richiesta in tal senso formulata dallo Stato straniero (Sez. 6, 44089/2018).