x

x

Art. 721 - Principio di specialità

1. La persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, né assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.
2. Quando le convenzioni internazionali o le condizioni poste prevedono che un fatto anteriore alla consegna non possa essere giudicato, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo se l’azione penale è stata esercitata, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
3. Avverso l’ordinanza di cui al comma 2 possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore. Il ricorso non ha effetto sospensivo.
4. La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti, l’assunzione delle prove non rinviabili, nonché di quelle che possono determinare il proscioglimento per fatti anteriori alla consegna.

5. Il principio di specialità non opera quando:

a) lo Stato estero ha consentito all’estensione;

b) l’estradato ha espresso il proprio consenso con le modalità indicate nell’articolo 717, commi 2 e 2-bis;

c) l’estradato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione oppure se, dopo averlo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.

Rassegna giurisprudenziale

Principio di specialità (art. 721)

N.B: il 14 giugno 2018 il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia ha emesso una circolare in tema di Cooperazione internazionale in materia penale – Estradizione e Mandato di arresto europeo - Circolare in tema di principio di specialità nelle procedure di consegna. Il testo è consultabile al seguente link:

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.page?contentId=SDC122357&previsiousPage=mg_1_8

Secondo il disposto dell’art. 721, la persona consegnata allo Stato richiedente non può esser ivi sottoposta a un procedimento penale, né essere condannata o detenuta in vista dell’esecuzione di una pena per reati anteriori alla consegna, diversi da quello per cui la consegna era stata richiesta, salvi i casi espressamente previsti. Nell’ordinamento giuridico interno tale principio ha ricevuto, poi, successiva conferma dalla legge n. 69 del 2005, art. 32, recante "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002” (relativa al mandato di arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) ed infine, per ciò che concerne lo specifico caso trattato, speculari disposizioni sono contenute nell’art. 44 della Convenzione bilaterale di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione, stipulata tra l’Italia ed il Regno del Marocco in data 12 febbraio 1971 e ratificata con la legge 12 dicembre 1973, n. 1043. Dalla premessa discende, quindi, che la regola di specialità opera anche per la fase esecutiva ed impedisce che il consegnato o l’estradato, in mancanza o in attesa di un provvedimento suppletivo, sia sottoposto a limitazione della libertà per effetto, ad esempio, del provvedimento di unificazione di pene concorrenti, comprensivo anche di sanzione inflitta per fatti diversi da quelli per cui l’estradizione è stata concessa o, comunque, di qualsiasi provvedimento successivo che renda eseguibile una sentenza di condanna (Sez. 1, 36102/2020).

Per quanto concerne, il particolare rilievo formulato dalla difesa del ricorrente, secondo la quale, nel procedimento di espulsione, formalmente regolare, si annidi una procedura di estradizione mascherata, eseguita in violazione degli artt. 720 e 721, è sufficiente ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato, da tempo risalente, che l’espulsione costituisce atto di portata più ampia rispetto a quello dell’estradizione perché tronca ogni rapporto di ospitalità o di residenza con lo Stato che provvede alla consegna e dimostra, in tal modo, di non avere più ragione per proteggere tale soggetto, con la conseguenza che tali provvedimenti non pongono limiti all’esercizio dell’azione penale in Italia e non comportano l’applicazione della procedura dell’estradizione.

Ne consegue che, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere ad indagato espulso o consegnato allo Stato italiano in assenza di espletamento della procedura di estradizione, non può farsi questione di violazione del principio di specialità il quale diviene inapplicabile (Sez. 1, 10630/2018).

Il principio di specialità in materia di estradizione è teso ad impedire che, per un fatto precedente all’estradizione e diverso da quello di cui al relativo provvedimento, l’estradato venga giudicato o comunque sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena, di una misura di sicurezza o di una misura cautelare (Sez. 6, 49995/2017).

Il principio di specialità, previsto dalla Convenzione europea di estradizione e dall’art. 721, non è violato dalle condizioni peggiorative di detenzione subite dall’estradato sottoposto al regime differenziato previsto dall’art. 41-bis Ord. pen., poiché non è in questione l’esecuzione di una condanna per fatto anteriore alla consegna diverso da quello che ha dato luogo all’estradizione o l’applicazione di una pena difforme da quella a cui poteva essere assoggettato l’estradato nell’altro Stato, mentre “si discute soltanto delle modalità di esecuzione della pena da scontare per il reato in relazione al quale l’estradizione è stata chiesta e concessa” (Sez. 1, 31659/2004).

In materia di estradizione attiva il principio di specialità previsto dall’art. 14, par. 1, della Convenzione europea di estradizione non è riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione, sicché la persona estradata in Italia può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna, escludendo, in parte motiva, la riferibilità alle indicate misure e al pertinente procedimento del principio di specialità previsto dall’art. 721 (SU, 10821/2008).

Secondo il combinato disposto dell’art. 721 e dell’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione del 13 dicembre 1957, ratificata con L. 300/1963, la persona consegnata allo Stato richiedente non può esservi sottoposta a un procedimento penale, né essere condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna, diversi da quello per cui la consegna è avvenuta, salvi i casi espressamente previsti.

Tale principio ha ricevuto successiva conferma dalla L. 69/2005, art. 32, recante “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri”: con tale disposizione si è previsto che “la consegna della persona ricercata è soggetta ai limiti del principio di specialità, con le eccezioni previste, relativamente alla procedura passiva di consegna, dall’art. 26”.

La norma rimanda dunque testualmente ai limiti operativi dell’art. 26 della stessa legge, che prevede al primo comma “la consegna è sempre subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla stessa e diverso da quello per il quale è stata concessa, la persona non venga sottoposta ad un procedimento penale, né privata della libertà personale” in esecuzione di pena, di misura di sicurezza detentiva o altri provvedimenti egualmente o in altro modo limitativi della sua libertà.

Al secondo comma essa introduce alcune ipotesi derogatorie, che rendono inoperante il principio di specialità, costituite dalla rinuncia da parte del soggetto che abbia subito la consegna a beneficiarne rispetto a reati anteriori alla sua consegna, ovvero dalla formulazione da parte dello stato membro dell’istanza di assoggettare la persona a un diverso provvedimento coercitivo della libertà, cui segua l’assenso suppletivo dello stato richiesto.

Si è dunque affermato nella giurisprudenza di legittimità, che, secondo l’interpretazione consentita dalla decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002, il principio di specialità non va applicato in senso assoluto come ostativo alla sottoposizione della persona ricercata a procedimento penale nello Stato richiedente per reati diversi ed anteriori alla consegna, rispetto a quelli per i quali è stato emesso il MAE, ma lo stesso resta inattuato, sia quando il titolo di reato per cui si indaga o si celebra il giudizio è ostativo all’adozione di una misura restrittiva, sia se si proceda penalmente contro la persona consegnata senza l’adozione di misure limitative della libertà personale (Sez. 1, 18778/2011).

Nel diverso caso in cui tale soggetto sia destinatario di provvedimento impositivo di misura cautelare in procedimento per reati diversi da quelli per i quali la consegna è stata accordata e commessi anteriormente ad essa, in difetto di ulteriore consenso espresso dello Stato che deve operare la consegna, che può essere richiesto in estensione una volta avvenuta la consegna, secondo quanto consentito dall’art. 26, comma 3, della L. 69/2005, deve ritenersi preclusa allo Stato di emissione del MAE, non già l’adozione della misura, che resta valida, ma la sua esecuzione, sia durante il procedimento, che in esito allo stesso (Sez. 6, 39240/2011).

A conferma della correttezza di tale interpretazione milita proprio la formulazione letterale dell’art. 26 citato, il quale prevede che lo Stato di emissione del MAE, nel richiedere di sottoporre la persona arrestata all’estero a un procedimento penale, ovvero ad un provvedimento coercitivo della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso, debba corredare l’istanza delle informazioni indicate dall’art. 8, paragrafo 1 della decisione quadro, il quale al paragrafo c) menziona appunto l’indicazione del MAE, il che implica la possibilità della sua emissione anche in attesa del consenso suppletivo.

In altri termini, si verifica con similitudine di effetti con quanto accade nelle procedure di estradizione, per le quali il principio di specialità ex art. 721, non osta alla conduzione di attività investigativa finalizzata ad assicurare le prove di responsabilità ed all’emissione di titoli custodiali per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di estradizione, ma, in attesa di un consenso suppletivo dello Stato ove si trova la persona da estradare, per tali fattispecie di reato soltanto gli effetti del provvedimento cautelare restano inibiti, mentre la sua validità non ne resta vulnerata (Sez. 1, 8580/2015).

Il cd. “principio di specialità”, previsto dall’art. 14 Convenzione europea di Estradizione è recepito, nel diritto interno, all’art. 721, costituisce un limite sia alla perseguibilità dell’estradato, sia all’esecuzione di una sentenza nei suoi confronti, impedendo che sia sottoposto a provvedimenti restrittivi della libertà personale per un fatto anteriore e diverso da quello per il quale è stata concessa l’estradizione.

Tuttavia, tale limitazione cessa in presenza di una delle condizioni espressamente indicate dal citato art. 721 ovvero: a) la prestazione del consenso, da parte dello Stato estero, a seguito di una domanda di estradizione suppletiva ex artt. 699 e 710; b) il mancato allontanamento dal territorio italiano dell’interessato, che pure ne abbia avuto la possibilità, entro i quarantacinque giorni successivi al rilascio definitivo, oppure il volontario ritorno in Italia (c.d. purgazione dell’estradizione) (Sez. 1, 44589/2018).

Il principio di specialità consente allo Stato richiedente di procedere in ordine al fatto per il quale l’estradizione è stata concessa e determina, in riferimento a fatti punibili con pena detentiva, anteriori e diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione, una vera e propria preclusione all’esercizio dell’azione penale da intendersi quale limite alla possibilità di giudicare l’imputato per i suddetti ma non può comportare alcuna preclusione all’esercizio dell’azione penale ed al conseguente giudizio in relazione a condotte criminose poste in essere successivamente all’estradizione, per quanto in esecuzione del medesimo disegno criminoso che contraddistingueva anche quelle poste in essere anteriormente all’estradizione e non oggetto di questa (Sez. 2, 3706/2016; SU 8/2001).

Ai fini della individuazione della nozione di fatto, quale delineata nel sottoinsieme delle norme di natura convenzionale posto a fondamento del principio di specialità, è pacifico che tale definizione deve intendersi riferita non alla fattispecie astratta ma al fatto-reato e, cioè, all’accadimento storico considerato nei suoi elementi costitutivi quale descritto nella richiesta di estradizione e negli atti processuali in essa richiamati (Sez. 6, 49995/2017).

La clausola di specialità di cui all’art. 14 della Convenzione europea di estradizione si configura come disposizione introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale (SU, 8/2001, richiamata da Sez. 2, 3706/2016).

Il principio di specialità previsto dall’art. 14 della convenzione europea di estradizione non opera quando non sussistono, al momento dell’esercizio dell’azione penale per il fatto diverso, i presupposti per la configurabilità della condizione di (im)procedibilità, sicché il difetto dell’estradizione suppletiva precluderà solo, ex art. 721, l’esecuzione della misura cautelare o della sentenza definitiva; ciò perché essendo l’estradizione una condizione di procedibilità, le condizioni che ne costituiscono il presupposto debbono sussistere al momento in cui viene esercitata l’azione penale (Sez. 1, 8831/2006).