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Art. 506 - Poteri del presidente in ordine all’esame dei testimoni e delle parti private

1. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli articoli 511, 512 e 513, può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell’esame.

2. Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell’articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo l’esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l’esame secondo l’ordine indicato negli articoli 498, commi 1 e 2, e 503, comma 2.

Rassegna giurisprudenziale

Poteri del presidente in ordine all’esame dei testimoni e delle parti private (art. 506)

L’irregolare conduzione del dibattimento da parte del giudice – attraverso interventi senza il rispetto del contraddittorio – o  anche l’integrale assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del giudice, pur non essendo conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, non dà luogo ad alcuna nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178, né dà luogo ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge bensì con modalità diverse da quelle prescritte (Sez. 6, 28247/2013).

Ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo e alle modalità di assunzione della prova da parte del giudice deve essere immediatamente contestata dalle parti nel corso dell’acquisizione della prova e la decisione, o mancata decisione, sull’incidente può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione (Sez. 6, 13791/2011).

La generica doglianza sul modo di conduzione del dibattimento da parte del presidente del collegio, il quale avrebbe condizionato le deposizioni testimoniali mediante interventi senza il rispetto delle regole del contraddittorio, non può conseguire alcun risultato utile in sede di impugnazione; prescindendo dalla considerazione che la violazione dell’art. 506 non è sanzionata a pena di nullità da alcuna norma, ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo deve essere, infatti, immediatamente contestata dalle parti e formalizzata nel corso del dibattimento e la decisione o mancata decisione sull’incidente, può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione (Sez. 4, 1022/2016).

Il giudice, quando rilevi una originaria carenza probatoria che può in astratto essere superata, proprio in ragione del riconoscimento di poteri d’ufficio ha l’onere di indicare alla parte interessata l’esigenza di un approfondimento probatorio (in concreto esercitando il potere di indirizzo del genere attribuito espressamente nel dibattimento dall’art. 506), eventualmente assegnando alla parte interessata un termine per provvedervi.

Ciò, ovviamente, non significa che il giudice debba anticipare la propria valutazione entrando in una sorta di prediscussione con le parti: proprio la ricordata disciplina dell’art. 506 attesta l’assenza di alcuna incompatibilità strutturale tra, da un lato, l’esercizio della propria funzione direttiva e di giudizio e, dall’altro, la sollecitazione alle parti perché approfondiscano aspetti che il giudice ritenga potenzialmente determinanti per la decisione che deve prendere (Sez. 6, 3364/2016).

L’assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del giudice, pur non essendo conforme alle regole che la disciplinano, non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178, né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte (Sez. 6, 28247/2013).