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Art. 512 - Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione

1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.

1-bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all’acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli atti di cui all’articolo 240.

Rassegna giurisprudenziale

 

Pronunce della Corte costituzionale

E' costituzionalmente illegittimo l’art. 512, comma 1, nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone (Corte costituzionale, sentenza 218/2020).

 

Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione (art. 512)

Le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/Germania, la base «esclusiva e determinante» dell'accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Sez. 3, 12951/2021).

Nell'ipotesi in cui la persona offesa – o qualsiasi altro teste- si trovi in condizione di salute gravemente precaria, in quanto afflitta da malattia la cui evoluzione infausta 'può' -secondo la letteratura medica- presentarsi anche a breve, compete al soggetto che ha interesse alla prova e che sia legittimato ai sensi dell'art. 392, coltivare tempestivamente la richiesta di incidente probatorio, anche sollecitando il GIP ex art. 400, pena l'inammissibilità dell'acquisizione dei verbali di sommarie informazioni testimoniali. Di questi, tuttavia, potrà essere data lettura, se l'incidente probatorio, così richiesto e sollecitato, non possa celebrarsi per intervento del decesso del soggetto coinvolto, per essere l'infausta evoluzione dello stato di salute tanto rapida da non consentire neppure la sopravvivenza sino all'espletamento della prova ex art. 392 (Sez. 4, 12151/2020).

L’aver pronunciato ordinanze istruttorie – nella specie l’aver acquisito le precedenti dichiarazioni di un teste irreperibile e non aver revocato tale acquisizione, perché, a dire del ricorrente, il teste era o era diventato reperibile – ciò che rientra nell’esercizio delle funzioni processuali, non costituisce una manifestazione indebita del proprio convincimento sui fatti oggetto d’imputazione (Sez. 5, 3033/2018).

Le ricerche costituiscono il necessario presupposto dell’attivazione degli ulteriori presidi di garanzia previsti dall’art. 512 che governa l’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali delle quali sia impossibile per cause imprevedibili la ripetizione: solo ove tali ricerche non consentano l’escussione in contraddittorio del testimone dovrà infatti essere verificata se la sopravvenuta impossibilità di escussione era prevedibile quando sono state acquisite le prime dichiarazioni. Sul punto si condivide l’interpretazione secondo cui ai fini della lettura e della utilizzabilità di dichiarazioni predibattimentali di soggetti divenuti successivamente irreperibili, non è sufficiente l’infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall’art. 159, ma è necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti sulla causa dell’irreperibilità, attraverso rigorose e accurate verifiche, se del caso da effettuarsi anche in campo internazionale (Sez. 1, 14243/2016).

L’art. 512 è stato oggetto di un rilevante intervento di interpretazione conforme fondato sulla necessità di adeguare le garanzie interne a quelle convenzionali, nella configurazione ad esse assegnata dalla Corte EDU laddove concretizza le garanzie astrattamente previste dall’art. 6 CEDUIn materia non è superfluo ricordare che la Corte costituzionale con le sentenze 348 e 349/2007 ha chiarito che la CEDU come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo assurge a fonte del diritto interno di rango sovralegislativo, ma subcostituzionale: il giudice comune è tenuto ad interpretare la legislazione interna in modo “conforme” alla ratio decidendi del giudice convenzionale, facendo ricorso ad ogni strumento ermeneutico disponibile; l’incidente di legittimità costituzionale è indicato come strumento residuale da utilizzare quando è impossibile la torsione interpretativa delle norme legislative (Corte costituzionale, sentenza 80/2011). II ruolo della “norma” convenzionale, come emerge dalla mediazione giurisprudenziale della Corte europea, è stato ulteriormente chiarito dalla Consulta (Corte costituzionale, sentenza 49/2015) che ha affermato che l’obbligo dell’interpretazione adeguatrice incombe sul giudice solo in presenza di una interpretazione “consolidata” o di una sentenza pilota: «solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo [...] La nozione stessa di giurisprudenza consolidata trova riconoscimento nell’art. 28 CEDU, a riprova che, anche nell’ambito di quest’ultima, si ammette che lo spessore di persuasività delle pronunce sia soggetto a sfumature di grado, fino a quando non emerga un «well-established case- law» (indirizzo interpretativo consolidato – NDA) che «normally means case-law which has been consistently applied by a Chamber», (normalmente significa un indirizzo interpretativo che è stato applicato costantemente da una Corte – NDA) salvo il caso eccezionale su questione di principio, «particularly when the Grand Chamber has rendered it» (particolarmente quando lo ha reso la Gran Camera - NDA) (Corte costituzionale, sentenza 49/2015). La Corte costituzionale ha anche indicato indici idonei ad orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento ovvero «la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano. Quando tutti, o alcuni di questi indizi si manifestano, secondo un giudizio che non può prescindere dalle peculiarità di ogni singola vicenda, non vi è alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU per decidere una peculiare controversia, sempre che non si tratti di una “sentenza pilota” in senso stretto» (Corte costituzionale, 49/2015). Dunque: non ogni sentenza della Corte EDU genera l’obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi del diritto scrutinato non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avvallato dall’intervento di una pronuncia di Grande camera. La natura di diritto consolidato deve essere senz’altro riconosciuta alle pronunce della Corte di Strasburgo che hanno chiarito l’estensione delle garanzie previste dall’art. 6 CEDU (Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2011, Tahery Al Kawaja c. Regno Unito; Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili v. Germania): queste due sentenze hanno ritenuto compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa (ovvero l’impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) appaia bilanciato da “adeguate garanzie procedurali” così superando il precedente orientamento della stessa Corte di Strasburgo che riteneva non compatibile con le garanzie convenzionali le condanne fondate su testimonianze cartolari che costituivano l’elemento “decisivo e determinante” dell’accertamento di responsabilità (orientamento che aveva condotto la cassazione alla interpretazione conformativa espressa dalle Sezioni Unite nella sentenza SU, 27918/2011). La “norma” emergente da tali pronunce costituisce fonte del diritto sovraordinato alla legge che impone la interpretazione conformativa delle norme di rango legislativo e, in subordine, qualora l’adeguamento risulti impraticabile, l’onere di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Può dunque essere affermato che in aderenza alle indicazioni espresse dalla Corte di Strasburgo - con diritto che si ritiene “consolidato” - nelle sentenze Tahery Al Kawaja v. Regno Unito (Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2011) e Schatschaschwili v. Germania (Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2015), le dichiarazioni predibattímentali acquisite ai sensi dell’art. 512 possano costituire la base “esclusiva e determinante” dell’accertamento di responsabilità sempre che siano assistita da “adeguate garanzie procedurali” individuabili nell’utilizzo di modi di raccolta della prova dichiarativa che ne garantiscano la genuinità dei contenuti, oltre che nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Sez. 2, 36925/2018).

Il decesso del querelante integra una ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che consente l’acquisizione della querela ex art. 512 e, conseguentemente, la sua utilizzabilità a fini probatori. Tale assunto non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, qualora la sentenza di condanna si fondi in modo esclusivo o significativo sulla querela, in quanto la sopravvenuta morte del dichiarante non può essere collegata all’intento di sottrarsi al contraddittorio. Per le medesime ragioni, deve ritenersi acquisibile ed utilizzabile ai fini della decisione la querela della persona offesa quando si tratti di persona le cui condizioni di salute non ne consentano l’esame in dibattimento (nel caso di specie, la persona offesa, già anziana all’epoca del fatto, era risultata non in condizione di parlare, e quindi di rendere il chiesto esame). Difatti, tale situazione è assimilabile a quella del decesso della persona offesa, mutuandone l’identica ratio, costituita dal fatto che l’esame dibattimentale non si può svolgere non per volontà della vittima, ma per circostanze obbiettive ed imprevedibili, le quali, anche con riferimento a quanto previsto dall’art. 111, comma 5, Cost., costituiscono una deroga al generale principio dell’assunzione della prova in contraddittorio, consentendo al giudice di fondare il proprio giudizio anche se non vi sia stata tale modalità di assunzione e la consequenziale impossibilità di attivare il meccanismo di cui all’art. 500 (Sez. 2, 2232/2018).

Qualora la notifica alla persona offesa non si sia perfezionata per sopravvenuta irreperibilità, l’acquisizione della querela ai sensi dell’art. 512  non consente comunque, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, l’affermazione di responsabilità penale nei confronti dell’imputato, in quanto le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale (Sez. 5, 5208/2021).

Ai fini della lettura e dell'utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese da testimoni divenuti successivamente irreperibili, è necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti sulla causa dell'irreperibilità, attraverso rigorose e accurate verifiche, se del caso da effettuarsi anche in campo internazionale, non essendo sufficiente l'infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall'art. 159 (Sez. 5, 19368/2021).

La valutazione della idoneità delle ricerche che condiziona l’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dell’irreperibile ai sensi dell’art. 512 si fonda su valutazioni di fatto che devono essere sottoposte a censure specifiche, che non possono esser proposte per la prima volta in sede di legittimità. Pur essendo l’inutilizzabilità della prova dichiarativa assunta unilateralmente in astratto rilevabile d’ufficio, in concreto, se la utilizzabilità della prova dipende da apprezzamenti di merito, come quando è in esame la irreperibilità del dichiarante, la valutazione della legittimità di tali apprezzamenti deve essere contestata in modo specifico già con l’atto di appello, non potendo sottrarsi alla catena devolutiva, pena l’inammissibilità della deduzione avanzata in Cassazione ai sensi dell’art. 606 comma 3 (Sez. 2, 9500/2018).

Le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa, legittimamente acquisite ai sensi dell’art. 512, per fondare l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, devono trovare conforto in altri elementi individuati dal giudice nelle risultanze processuali, che non possono essere costituiti da altre dichiarazioni acquisite con le medesime modalità (Sez. 2, 38975/2018).

La valutazione circa la prevedibilità/imprevedibilità di procedere alla ripetizione dell’atto, cioè circa la possibilità di acquisire le dichiarazioni in contraddittorio, deve fondarsi su di un giudizio prognostico ex ante che, in virtù dei principi costituzionali e convenzionali, deve essere particolarmente rigoroso (Sez. 2, 6139/2009).

La valutazione della non ripetibilità dell’atto o delle dichiarazioni, che ne legittima la lettura ai sensi dell’art. 512, è demandata in via esclusiva al libero convincimento del giudice di merito, pur dovendo essere adeguatamente motivata e ispirata a criteri di rigore e di logicità, in quanto rappresenta una eccezione al principio di oralità del dibattimento (Sez. 2, 44570/2014).

Ai fini della lettura e dell’utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese da un soggetto divenuto successivamente irreperibile, è necessario che il giudice abbia svolto ogni possibile accertamento sulla causa dell’irreperibilità e che risulti esclusa la riconducibilità dell’omessa presentazione del testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso (Sez. 5, 13522/2017).

Ai sensi dell’art. 526, comma 1-bis, la colpevolezza non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, tale principio dovendosi intendere nel senso che il soggetto, avendone comunque avuto conoscenza, non si è presentato all’esame in dibattimento o in rogatoria, quali che siano i motivi della mancata presentazione, purché ovviamente riconducibili ad una sua libera scelta, e cioè ad una scelta non coartata da elementi esterni (SU, 27918/2011).

Genera una situazione di sopravvenuta impossibilità di ripetizione, con conseguente ammissibilità della lettura delle dichiarazioni in precedenza rese, il grave pericolo per l’incolumità fisica o psichica di un teste, non prevedibile al momento della sua assunzione (Sez. 2, 36917/2018).

In tema di letture dibattimentali, l’avanzata età anagrafica del dichiarante non rende prevedibile l’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni, rese in precedenza, quale presupposto della loro utilizzazione in giudizio, salvo che al momento dell’escussione fosse seriamente pronosticabile, in base a specifiche informazioni relative a patologie ingravescenti, che la durata della vita del dichiarante non sarebbe giunta fino alla celebrazione del dibattimento, dovendosi in tal caso negare accesso alla lettura di cui all’art. 512 (Sez. 4, 24688/2016).

La circostanza di mancanza di attività lavorativa non costituisce elemento che renda prevedibile l’allontanamento del soggetto, al pari della presa in considerazione della condizione di tossicodipendenza (Sez. 6, 21312/2018).

Nei casi in cui, per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela, l’art. 512 ne consente la lettura, a richiesta di parte, non soltanto per valutare l’esistenza della condizione di procedibilità, ma anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova, poiché fra gli atti “assunti” dalla PG o dal PM rientrano anche quelli semplicemente “ricevuti” dalle predette autorità (Sez, 2, 51416/2013).

In tema di letture consentite, ex artt. 431 e 511, la querela può essere inserita nel fascicolo per il dibattimento ed è utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell’azione penale, con la conseguenza che da essa il giudice non può trarre elementi di convincimento al fine della ricostruzione storica della vicenda, tranne che per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela; in tal caso, infatti, la lettura è consentita, ai sensi dell’art. 512, anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova (Sez. 5, 51711/2014).