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Art. 28 - Casi di conflitto

1. Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo:

a) uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona;

b) due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona.

2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell’udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo.

3. Nel corso delle indagini preliminari, non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione.

Rassegna giurisprudenziale

Casi di conflitto (art. 28)

Premessa definitoria

Le caratteristiche del conflitto

Occorre anzitutto sottolineare che il conflitto può manifestarsi soltanto nel corso del processo.

È quindi un istituto diverso dal contrasto tra uffici del PM nel corso delle indagini preliminari regolato dagli artt. 54 e ss.  e finalizzato a superare empasse nella prima fase procedimentale.

Il riferimento al contesto processuale comporta che al conflitto possano dare causa i giudici e non i PM, poiché compete solo ai primi emettere i provvedimenti che organizzano e definiscono il giudizio.

Il conflitto può manifestarsi in qualunque stato e grado del processo, a partire dall’udienza preliminare.

Può essere tra più giudici ordinari e in tal caso è necessariamente sulla competenza oppure tra giudici ordinari e giudici speciali e in tal caso è sulla giurisdizione.

Può essere positivo se i differenti giudici in conflitto rivendichino a sé stessi la cognizione di una controversia o negativo se invece la rifiutino.

Nell’elaborazione teorica della giurisprudenza di legittimità si è precisato che può ravvisarsi un caso analogo di conflitto, da risolvere ai sensi dell’art. 28 comma 2, che non è definito dal legislatore in modo preciso e tassativo per l’impossibilità di predeterminarne a priori il contenuto a fronte dell’estrema variabilità di situazioni processuali di contrasto coinvolgenti la competenza, allorché il dissenso tra giudici diversi dia luogo ad una stasi procedurale, rimovibile soltanto attraverso la individuazione del giudice competente al compimento di specifici atti.

È, infatti, costante l’affermazione che limita l’ambito applicativo dell’art. 28 comma 2, ai casi di contrasto tra giudici da cui derivi una condizione di paralisi dell’attività processuale in dipendenza del dissenso insorto tra due organi giurisdizionali rispetto all’adozione di provvedimenti necessari allo sviluppo del rapporto processuale (SU, 34655/2005).

I provvedimenti in materia di competenza non sono impugnabili immediatamente e direttamente, ma sono suscettibili di essere riesaminati dalla Corte di cassazione nei casi in cui diano luogo ai conflitti tipici o alle situazioni analoghe assimilabili al conflitto di cui all’art. 28. Titolato alla denuncia del conflitto è anche il PM, ai sensi dell’art. 29 (Sez. 7, 23261/2017).

 

L’oggetto del conflitto: il medesimo fatto attribuito alla stessa persona

Il conflitto, in virtù del disposto dell’art. 28 comma 1 lettere a) e b), deve riguardare un fatto, termine qui da intendersi non necessariamente in senso naturalistico ma come evento cui l’ordinamento collega effetti giuridici.

Il fatto deve poi possedere il requisito della medesimezza, nel senso che tutti i giudici in conflitto devono pretendere o rifiutare la cognizione del medesimo fatto il quale deve essere inoltre attribuito in tutti i giudizi alla stessa persona.

La ricorrenza di questo requisito va valutata sulla base delle componenti strutturali del fatto, cioè condotta, evento e nesso causale. Compete tuttavia alla Corte regolatrice anche il compito di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto (SU, 18621/2017).

Assieme alle componenti strutturali vanno anche valutate le circostanze di tempo, luogo e persona (SU, 34655/2005).

Qualsiasi apprezzabile differenza degli elementi costitutivi della fattispecie, come ad esempio il numero di giorni necessari per la guarigione da una lesione, esclude la possibilità di un conflitto (Sez. 1, 41715/2015).

Non ricorre il requisito della medesimezza quando sia possibile ravvisare un concorso formale o materiale di reati in relazione al fatto (Sez. 1, 27677/2013).

 

I conflitti in casi analoghi

L’art. 28 comma 2 estende la disciplina dettata per i conflitti anche ai cosiddetti casi analoghi.

Il significato da attribuire a questa espressione è ben chiarito da Sez. 1, 5504/2018, secondo la quale ricorre un caso del genere in presenza di «una condizione di stasi o di blocco dell’attività processuale direttamente ricollegabile al dissenso insorto tra due organi giurisdizionali in ordine alla competenza ad emettere provvedimenti necessari allo sviluppo del rapporto processuale. In particolare, è stato precisato che nella categoria dei conflitti «impropri» sono inquadrabili tutte quelle situazioni nelle quali  nei rapporti tra due organi giurisdizionali  insorga una stato conflittuale relativo alla competenza funzionale di uno di essi a emettere un provvedimento indispensabile affinché si possa procedere al giudizio e che le posizioni contrastanti dei giudici — dalle quali deriva un impedimento, non altrimenti superabile, allo svolgimento del processo - devono essere pur sempre riferibili a una questione di competenza, che resta, dunque, un ineliminabile presupposto logico e giuridico del conflitto.

Dai precedenti rilievi può trarsi la conseguenza che mentre il conflitto di competenza «proprio» riguarda fattispecie precise e ben delimitate, connotate dalla duplicazione di processi aventi ad oggetto la medesima regiudicanda (conflitto positivo) oppure dal rifiuto di entrambi i giudici di prendere cognizione dello stesso fatto-reato (conflitto negativo), nonché dallo scopo di realizzare la reductio ad unum dei processi, il conflitto «analogo», invece, manca di tale rigida conformazione tipologica e costituisce un rimedio che consente l’intervento della Corte Suprema al fine di regolare l’ordine delle competenze, la cui distorsione dà origine, in casi concreti non predeterminati, a una situazione di stasi processuale rimuovibile soltanto stabilendo l’ambito della competenza di uno o di entrambi i giudici in contrasto».

Non è mai ammissibile un conflitto tra PM e giudice, neanche ove si provi a configurarlo come conflitto analogo. L’istituto è infatti chiaramente circoscritto a contrasti tra organi giurisdizionali e anche l’estensione analogica non può prescindere dal dato normativo primario (SU, 9605/2014).

È classificabile come conflitto analogo la situazione in cui più giudici dell’esecuzione ricusino la cognizione di una domanda di indulto, spettando in questo caso la competenza al giudice che ha emesso la sentenza divenuta irrevocabile per ultima al momento del deposito della domanda (Sez. 1, 5734/2014).

Ricorre un conflitto analogo in caso di contrasto tra il GIP che rifiuti l’esecuzione di una rogatoria internazionale contestandone l’ammissibilità e la Corte di appello che non condivida le ragioni del rifiuto (Sez. 1, 1054/2012).

Non è abnorme  a prescindere dalla fondatezza nel merito  il provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari, in limine litis, la nullità del decreto di rinvio a giudizio, ritenendo ravvisabile una delle cause che, per legge, possono dar luogo a detta nullità, né detto provvedimento, quand’anche il giudice dell’udienza preliminare ritenga la nullità insussistente, è suscettibile di dar luogo ad un conflitto proprio ex art. 28, comma 1, in quanto trova applicazione il comma 2 del medesimo articolo, secondo il quale, nei casi analoghi, in caso di contrasto fra giudice dell’udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo (Sez. 1, 9418/2019).

 

Ammissibilità del conflitto

Non è ammissibile un conflitto di competenza tra il GIP e il Tribunale del Riesame che abbia modificato le modalità esecutive di una misura cautelare reale, così esercitando un potere che non gli compete. Il rimedio corretto è infatti il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del TDR (Sez. 1, 18796/2014).

È invece ammissibile, poiché classificabile come conflitto analogo, quello tra Tribunale in composizione collegiale e Tribunale in composizione monocratica (Sez. 1, 25918/2001).

In senso contrario, 2549/2000 la quale fa leva sugli artt. 47 e 47 quater Ord. Giud. che attribuiscono ai dirigenti dell’ufficio giudiziario interessato (presidente del Tribunale e presidente della sezione) la facoltà di risolvere il conflitto.

Ugualmente ammissibile è il conflitto di competenza tra Tribunale per i minorenni e GIP (Sez. 1, 18691/2001).

È inesistente il conflitto nel caso in cui il giudice cui gli atti siano stati tramessi da altro giudice dichiaratosi incompetente li trasmetta a sua volta a un terzo giudice che non si sia ancora pronunciato (Sez. 1, 1362/2011).

 

Altra casistica

Nel caso di conflitto positivo di competenza per territorio determinato dalla cosiddetta "continenza di regiudicande" (delle quali l'una comprende l'altra, per la sua maggiore ampiezza riferita a un più lungo arco temporale ovvero a una pluralità di episodi), va disposta la riunione degli atti del procedimento contenuto a quelli del procedimento principale e la concentrazione dei due procedimenti davanti al giudice presso il quale pende quello di maggiore ampiezza, sempre che sussista l'identità ontologica del fatto che abbia dato luogo in distinte sedi giudiziarie, per la sua totalità o per una parte di esso, ad altrettanti procedimenti, a nulla rilevando la diversità delle qualificazioni giuridiche, né la coincidenza soltanto parziale degli imputati (Sez. 1. 39737/2021).

Spetta al magistrato di sorveglianza e non al giudice dell’esecuzione assumere le dichiarazioni dell’interessato che sia detenuto fuori dalla circoscrizione del tribunale del capoluogo distrettuale (Sez. 1, 2230/2017).

Deve essere qualificato in termini di abnormità il provvedimento di un tribunale che, ricusando la propria competenza, restituisca gli atti al GUP per l’individuazione del giudice competente anziché individuare esso stesso tale giudice e trasmettergli gli atti (Sez. 7, 38821/2014).

Non sussiste conflitto negativo di competenza qualora il GIP ritenuto competente per territorio ex art. 27, anziché ricusare la cognizione del procedimento trasmesso da altra AG, applichi comunque una misura cautelare, atteso che il compimento dell’atto non determina una situazione di stallo del procedimento (Sez. 1, 39874/2012).

La regola generale di non impugnabilità delle sentenze che possono dare luogo ad un conflitto di giurisdizione o di competenza vale anche ove il provvedimento che si vuole contestare sia adottato, con le forme dell’ordinanza, nel procedimento di esecuzione (Sez. 1, 23525/2013).