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Art. 220 - Oggetto della perizia

1. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.

2. Salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

Rassegna giurisprudenziale

Oggetto della perizia (art. 220)

La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il citato art. 606, comma 1 lett. d), attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (SU, 39746/2017).

Il provvedimento di diniego della sollecitata perizia è il risultato di un giudizio di fatto che, ove sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (Sez. 2, 52517/2016).

In senso contrario: nell’impostazione del nuovo codice di rito, la formulazione dell’art. 220 induce ad affermare l’inesistenza di un principio di “autonoma” e “libera” cognizione del giudice penale su questioni tecniche. Lo stesso legislatore con l’espressione “la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini ... o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche” sottolinea la necessità del ricorso allo strumento d’approfondimento specialistico che integra ed agevola la conoscenza giudiziale.

Tutto ciò nella consapevolezza dei limiti strutturali e connaturali all’idea tradizionalmente espressa dal principio dello iudex peritus peritorum. Resta ferma, ovviamente, la devoluzione al giudice stesso del riesame critico sull’elaborato peritale, nel contraddittorio delle parti (Sez. 1, 54448/2016).

L’art. 220 prevede l’espletamento della perizia ogniqualvolta sia necessario svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze di natura tecnica. La specificità delle competenze va rapportata alle conoscenze ordinarie dell’uomo medio.

La perizia va dunque disposta allorché occorrano competenze che esulano dal patrimonio conoscitivo dell’uomo medio, in un dato momento storico e in un dato contesto sociale. Lo svolgimento di indagini comprende la ricerca e l’estrapolazione di dati da una determinata realtà fenomenica nonché la loro analisi e rielaborazione critica. L’acquisizione di dati implica la constatazione, selezione e organizzazione di dati già esistenti, in modo funzionale rispetto alle richieste del giudice.

L’acquisizione di valutazioni comprende l’individuazione ed enunciazione di nozioni e di regole tecniche, di leggi scientifiche, di massime di esperienza e di inferenze fondate su dati già acquisiti mediante altri mezzi di prova o direttamente ottenuti attraverso le operazioni peritali. È vero pertanto che l’ammissione della perizia è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice.

Tuttavia non si può prescindere dal rilievo che la perizia rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorché si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificità delle competenze occorrenti per l’acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell’esperto, perché l’eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validità dello stesso.

L’ontologica terzietà del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. È ben vero infatti che al giudice è attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma ciò non lo autorizza affatto ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l’aiuto dell’esperto, il sapere accreditato che può orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell’evento.

Il perito non è l’arbitro che decide il processo ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati a cui è possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico.

Toccherà poi al giudice tirare le fila e valutare se si sia addivenuti a una spiegazione dell’eziologia dell’evento e delle dinamiche in esso sfociate sufficientemente affidabile e in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni, che possano supportare adeguatamente l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato.

Il sapere scientifico costituisce infatti un indispensabile strumento al servizio del giudice di merito, il quale dovrà però valutare l’autorità scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza delle leggi scientifiche nonché comprendere se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nell’ambito della comunità scientifica.

Il giudice deve dunque esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l’ampiezza, la rigorosità e l’oggettività della ricerca; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica nonchè il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunità scientifica, fermo rimanendo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, è utilizzabile anche una legge scientifica che non sia unanimemente riconosciuta, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità delle conoscenze scientifiche.

Di tale indagine il giudice è chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il più possibile, comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti e valutazioni di fatto, insindacabili in cassazione, ove sorretti da congrua motivazione, poiché il giudizio di legittimità non può che incentrarsi esclusivamente sulla razionalità, completezza e rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimità, infatti, non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate, di talchè egli non può, ad esempio, essere chiamato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria, sia o meno fondata.

La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico scientifico, che riguarda la preliminare e indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (Sez. 4, 1886/2018).

Deve escludersi che sia rimessa alla discrezionalità del giudice la scelta tra disporre gli indispensabili accertamenti probatori ed il proscioglimento dell’imputato, configurandosi in capo al giudicante il dovere di acquisire, anche d’ufficio, i mezzi di prova indispensabili per la decisione; di conseguenza il giudice ha un vero e proprio obbligo di esplicitare le ragioni per le quali ritiene di non di non procedere ai sensi dell’art. 507 all’assunzione di nuove prove. Il mancato esercizio di detti poteri di integrazione probatoria (nel caso di specie un accertamento peritale) richiede una motivazione specifica la cui omissione, censurabile in sede di legittimità, determina la nullità della sentenza per violazione di legge (Sez. 5, 30079/2018).

In tema di falsità, allo scopo di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo, non può ritenersi sempre indispensabile l’espletamento della perizia grafica, la quale, per altro, ha valore solo di indizio. Invero, per il principio della libertà della prova e del libero convincimento del giudice, la certezza della falsità del titolo può anche essere desunta da altri elementi (Sez. 5, 18975/2017).

Il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità rispetto a quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente di parte.

Di conseguenza, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), solo qualora risulti che le argomentazioni del perito siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice (Sez. 5, 18975/2017).

In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato, come nel caso di specie, l’apprezzamento, positivo o negativo che sia, dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni: il giudice del merito può attenersi alle conclusioni del perito, ove le condivida, rimettendo al suo elaborato il relativo supporto razionale. Certo, il giudice di merito ha l’obbligo dì motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltreché logici.

Ma è altresì certo che il giudice stesso può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta, e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire.

Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della perizia, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (Sez. 4, 38359/2018).

Il giudice  ove ritenga erroneo o comunque tecnicamente inadeguato il risultato della perizia  può sicuramente disattenderlo, fermo restando che incombe su di lui il dovere di motivare anche con riferimento ai criteri seguiti e, per il caso in cui sussista contrasto rispetto alle deduzioni delle parti, pure quello di contestare ogni singolo profilo di censura, del pari potendo il giudice che ritenga inadeguate le considerazioni tecniche e le conclusioni peritali disporre, sempre nel cono di funzioni strutturato dagli artt. 220 e ss., nuova perizia.

Circa, poi, la scelta degli esiti tecnici derivanti dalle conclusioni, non conformi fra loro, delle diverse perizie disposte, il giudice ha la possibilità di accettare le conclusioni dell’uno o dell’altro dei due elaborati peritali, ma ha in pari tempo l’obbligo di indicare nella motivazione, in modo adeguato e con rigore logico, le ragioni  di ordine scientifico o tecnico o di carattere fattuale  per le o quali la scelta del risultato tecnico è caduta sull’uno o sull’altro esito degli elaborati peritale, sicché non potrebbe limitarsi ad affermare in modo immotivato che egli reputa più persuasiva o più convincente l’uno piuttosto che l’altro (Sez. 1, 21945/2018).