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Art. 34 - Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento

1. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione.

2. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.

2-bis. Il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l’udienza preliminare; inoltre, anche fuori dei casi previsti dal comma 2, non può partecipare al giudizio.

2-ter. Le disposizioni del comma 2-bis non si applicano al giudice che nel medesimo procedimento abbia adottato uno dei seguenti provvedimenti:

a) le autorizzazioni sanitarie previste dall’articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354;

b) i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, previsti dagli articoli 18 e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354;

c) i provvedimenti relativi ai permessi previsti dall’articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354;

d) il provvedimento di restituzione nel termine di cui all’articolo 175;

e) il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell’articolo 296.

2-quater. Le disposizioni del comma 2-bis non si applicano inoltre al giudice che abbia provveduto all’assunzione dell’incidente probatorio o comunque adottato uno dei provvedimenti previsti dal titolo VII del libro quinto.

3. Chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone, perito, consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l’autorizzazione a procedere non può esercitare nel medesimo procedimento l’ufficio di giudice.

Rassegna giurisprudenziale

Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento (art. 34)

È illegittimo l’art. 34 comma 1 nella parte in cui non prevede incompatibilità per il giudice dell’udienza preliminare che abbia emesso o concorso ad emettere sentenza verso il medesimo imputato e fatto, anche se poi annullata (Corte costituzionale, sentenza 224/2001).

È illegittimo l’art. 34 comma 1 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento per il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva sia della continuità del reato sia del concorso formale, ai sensi dell’art. 671 (Corte costituzionale, sentenza 183/2013).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il GIP presso la pretura cha abbia emesso l’ordinanza di cui all’art. 554 comma 2 (Corte costituzionale, sentenza 496/1990).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il GIP presso il tribunale che ha emesso l’ordinanza di cui all’art. 409, comma 5 (Corte costituzionale, sentenza 401/1991).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio del GIP che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna ritenendo inadeguata la richiesta del PM (Corte costituzionale, sentenza 502/1991).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare all’udienza dibattimentale del GIP presso la pretura cha abbia respinto la richiesta di applicazione pena concordata per la ritenuta non concedibilità di circostanze attenuanti (Corte costituzionale, sentenza 124/1992).

È illegittimo l’art. 34 comma 2  nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio per il GIP che abbia rigettato l’applicazione della pena ex art. 444 (Corte costituzionale, sentenza 186/1992).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare nel dibattimento per il pretore che, prima dell’apertura dello stesso, abbia richiesto l’applicazione di pena concordata per il ritenuto non ricorrere di un’ipotesi attenuata del reato contestato (Corte costituzionale, sentenza 399/1992).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato per il GIP che abbia rigettato la richiesta di applicazione pena concordata di cui all’art. 444 (Corte costituzionale, sentenza 439/1993).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità, alla funzione del giudizio per il GIP che, per ritenuta diversità del fatto sulla base di una valutazione del complesso delle indagini, abbia rigettato la domanda di oblazione (Corte costituzionale, sentenza 453/1994).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio per il giudice che abbia, all’esito di precedente dibattimento riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al PM a norma dell’art. 521 (Corte costituzionale, sentenza 455/1994).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il GIP che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato (Corte costituzionale, sentenza 432/1995).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui: a) non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che, come componente del tribunale del riesame, si sia pronunciato sull’ordinanza che dispone una misura cautelare nei confronti dell’indagato o dell’imputato; b) non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che, come componente del tribunale d’appello avverso l’ordinanza che provvede in ordine ad una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato, si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell’ordinanza (Corte costituzionale, sentenza 131/1996).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui: a) non prevede non possa partecipare al giudizio abbreviato o disporre l’applicazione della pena su richiesta delle parti il GIP che abbia disposto una misura cautelare personale o la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale; b) non prevede che possa partecipare al giudizio dibattimentale il GIP che abbia disposto la modifica, la sostituzione o la revoca di una misura cautelare personale ovvero che abbia rigettato una richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale; c) non prevede che non possa disporre l’applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice che, come componente del tribunale del riesame si sia pronunciato sull’ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato e anche il giudice che, come componente del tribunale di appello avverso l’ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato, si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell’ordinanza predetto (Corte costituzionale, sentenza 155/1996).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata comunque valutata (Corte costituzionale, sentenza 371/1996).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di GIP nel processo penale a carico di imputati minorenni del GIP che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato (Corte costituzionale, sentenza 311/1997).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa pronunciarsi sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna il GIP che abbia emesso l’ordinanza di cui agli artt. 409 comma 5 e 544 comma 2 (Corte costituzionale, sentenza 346/1997).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui a) non prevede nel processo penale a carico di imputati minorenni, l’incompatibilità alla funzione di GIP del giudice che, come componente del tribunale del riesame si sia pronunciato sull’ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato; b)non prevede nel processo penale a carico di imputati minorenni, l’incompatibilità alla funzione di GIP del giudice che, come componente del tribunale dell’appello avverso l’ordinanza che prevede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell’ordinanza predetta (Corte costituzionale, sentenza 290/1998).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare a giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nei confronti di quello stesso imputato per il medesimo fatto (Corte costituzionale, sentenza 241/1999).

È illegittimo l’art. 34 comma 2 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla trattazione dell’udienza preliminare del giudice che abbia ordinato all’esito di precedente dibattimento riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, la trasmissione degli atti al PM, a norma dell’art. 521 comma 2 (Corte costituzionale, sentenza 400/2008).

 

Nullità

L’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34, allorché non rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, né tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non dà luogo alla nullità prevista dall’art. 178 comma 1 lett. a) (Sez. 7, 27086/2018).

 

Tassatività delle cause e inammissibilità della loro estensione analogica

La disciplina delle incompatibilità è di stretta interpretazione e le cause relative sono tassative, in quanto determinanti una deroga al principio del giudice naturale, sicché non è consentita una interpretazione analogica (Sez. 5, 9968/2018).

 

Casistica

Operatività nel medesimo procedimento

Il principio di incompatibilità del giudice di cui all’art. 34 trova applicazione esclusivamente con riferimento ad atti compiuti nel medesimo procedimento e non quando il giudice abbia conosciuto e valutato in altro contesto processuale i medesimi elementi di prova poi utilizzati nei confronti dell’imputato.

Va, peraltro, rilevato, in una prospettiva incentrata sul rapporto funzionale tra incompatibilità e imparzialità del giudice che, secondo la giurisprudenza costituzionale, rilevante ai fini dell’incompatibilità non è la semplice conoscenza di atti anteriormente compiuti, riguardanti il processo: l’incompatibilità sorge quando il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione di essi, al fine di una decisione, sicché non tutte le valutazioni anzidette danno luogo a un pregiudizio rilevante, ma solo quelle non formali, di contenuto, su aspetti che riguardano il merito dell’ipotesi di accusa, ma non anche quando abbia preso determinazioni soltanto in ordine allo svolgimento del processo, sia pure in seguito a una valutazione delle risultanze processuali.

Al riguardo, la giurisprudenza della Corte Costituzionale deve ritenersi stabilizzata sui seguenti principi: 1) le norme in materia di incompatibilità sono funzionali ad evitare che la decisione sul merito possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione  ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto  scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res judicanda; 2) la situazione pregiudicante non è determinata dalla mera conoscenza degli atti, ma dalla valutazione di contenuto su aspetti che riguardano il merito dell’ipotesi di accusa; 3) non sono pregiudicanti le determinazioni assunte in ordine allo svolgimento del processo, sia pure in seguito a una valutazione delle risultanze processuali; 4) le valutazioni di merito pregiudicanti devono appartenere a fasi diverse del processo (Sez. 5, 9968/2018).

È violato l’art. 6 comma 1 CEDU in una vicenda in cui uno dei giudici collegiali che stava procedendo per un episodio di spaccio di stupefacenti era la medesima persona che aveva deciso un precedente caso di cessione di sostanze vietate sempre nei confronti del ricorrente e in merito al quale pendeva una causa sull’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita. Né il giudice in questione si era astenuto, né era stata accolta la richiesta di ricusazione, in contrasto con quanto previsto dall’ordinamento nazionale; che il secondo giudizio penale era in grado di riflettersi sull’azione di risarcimento esercitata in sede civile e in ordine alla quale l’eventuale condanna sarebbe andata ad intaccare il budget a disposizione dell’ufficio giudiziario, oltre ai profili di responsabilità civile del magistrato (Corte EDU, sentenza del 5.4.2018, Boyan Gospodinov c. Bulgaria).

Non è violato l’art. 6 comma 1 CEDU allorché uno dei giudici del tribunale, in veste di consulente d’una commissione parlamentare, abbia contribuito alla modifica della disciplina della prescrizione con conseguenze sul processo in corso (Corte EDU, sentenza del 12 aprile 2018, Chim e Przywieczerski c. Polonia).

 

Convalida dell’arresto

Il giudice della convalida dell’arresto in flagranza non è incompatibile allo svolgimento del contestuale giudizio direttissimo, dal momento che la convalida medesima è un atto prodromico al giudizio e non costituisce una pronuncia autonoma tale da determinare pregiudizio (Sez. 5, 26593/2018).

 

Emissione di un provvedimento cautelare personale

Il giudice che ha emesso un provvedimento cautelare personale non è incompatibile a provvedere in ordine alla richiesta di giudizio immediato cd. custodiale nei confronti dello stesso imputato e per lo stesso fatto (Sez. 2, 11518/2017).

 

Rigetto dell’istanza di patteggiamento

Tale provvedimento non determina l’incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare a pronunciare il decreto che dispone il giudizio avanti ad un giudice diverso, situazione che esula dal novero dei provvedimenti di cui all’art. 34 il cui compimento genera incompatibilità attesa la natura di tale decreto, neppure motivato, con il quale viene disposto il giudizio avanti ad un giudice terzo (Sez. 3, 28729/2018).

 

Atti compiuti dal giudice componente del tribunale del riesame

Non si configura alcuna ipotesi di incompatibilità ai sensi dell’art. 34 in capo al magistrato, già componente del tribunale del riesame chiamato a giudicare della legittimità di una misura coercitiva, che abbia, poi, fatto parte del medesimo tribunale, in qualità di giudice dell’appello avverso il rigetto di istanza di revoca o sostituzione della medesima misura. Difatti, la valutazione espressa in sede cautelare non è in alcun modo equiparabile al giudizio, momento processuale che la normativa tutela con il sistema delle incompatibilità, prevenendo il rischio che sia inquinato da pregressi convincimenti sugli stessi fatti addebitati allo stesso soggetto.

La valutazione cautelare, per quanto abbia ad oggetto il merito degli addebiti sommariamente contestati, non si risolve in una valutazione del merito in funzione dell’accertamento di responsabilità, che è proprio l’essenza del giudizio, e quindi non v’è ragione, specificamente d’ordine costituzionale, per predisporre nei suoi riguardi lo stesso meccanismo di protezione costituito dalle previsioni di incompatibilità (Sez. 1, 28362/2018).

In senso diverso Sez. 3, 20084/2018, secondo la quale «benché l’applicazione nel corso del procedimento di una misura cautelare reale non costituisca indebita manifestazione del convincimento del giudice, costituente causa di ricusazione ai sensi dell’art. 37, comma 1, lett. b), in quanto l’adozione (o la conferma, anche nel giudizio di legittimità) di tale misura può prescindere da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo, tuttavia se il giudice, sia pure con tale provvedimento incidentale, abbia in concreto espresso valutazioni sulla responsabilità dell’indagato riguardo ai fatti oggetto del processo poi sottoposto al suo giudizio, ciò può determinare una situazione di incompatibilità, rilevante ai sensi dell’art. 34, allorquando l’esternazione di tale convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale».

 

Trattazione congiunta di giudizio abbreviato e patteggiamento

La trattazione congiunta del rito abbreviato e di quello di applicazione della pena su richiesta delle parti non è causa di abnormità o di nullità della decisione, né, tanto meno, di una situazione di incompatibilità suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiché la coesistenza dei procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (Sez. 7, 13150/2018).

 

Sentenza emessa dal GUP

La sentenza emessa con rito abbreviato dal GUP cui era stato chiesto il rinvio a giudizio non dà luogo ad alcuna delle ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 34 (Sez. 6, 19510/2018).

 

Pronuncia di una precedente sentenza nei confronti di soggetti diversi da quello interessato

La Corte costituzionale, con sentenza 371/1996, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, «nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata».

In quella decisione, che affrontò la questione proprio in relazione alla peculiare ipotesi dei reati a concorso necessario, la Corte costituzionale chiarì, tra l’altro, che l’incompatibilità del giudice «sussiste non solo quando nel primo giudizio la posizione del terzo sia stata valutata a seguito di un puntuale ed esauriente esame delle prove raccolte a suo carico, ma anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di merito superficiale e sommaria, apparendo anzi, in questa seconda ipotesi, ancor più evidente e grave la situazione di pregiudizio nella quale il giudice verrebbe a trovarsi». Date tali coordinate, crea certamente una situazione di incompatibilità la partecipazione di un giudice ad un giudizio precedente in esito al quale sia stata riconosciuta l’esistenza dell’aggravante del numero di persone superiore a dieci, tra le quali sia compreso il soggetto ancora da giudicare (Sez. 3, 17142/2018).

 

Pronuncia di sentenza in sede di rinvio dalla Cassazione

L’art. 623 comma 3 lett. c) si limita a stabilire che se è annullata la sentenza di una corte di appello, il giudizio è rinviato a un’altra sezione della stessa corte e in mancanza alla corte più vicina. Da tale regola si ricava che il caso di una Corte di appello articolata su due sole sezioni penali, entrambe già pronunciatesi sulla medesima res judicanda e di cui la prima veda nuovamente il caso sottoporsi al suo giudizio, non è contemplato dal legislatore come ulteriore ipotesi di rinvio alla Corte territoriale più vicina (Sez. 6, 10765/2018).

 

Pronuncia di provvedimento in precedente istanza di ricusazione

Non sono ravvisabili, poiché non previste dalle tassative disposizioni in materia, incompatibilità dovute alla pronuncia emessa in ordine ad altra precedente istanza di ricusazione (Sez. 1,16373/2018).

 

Giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione

L’istituto dell’incompatibilità opera solo nell’ambito del giudizio di cognizione, sicché non è ipotizzabile la ricusazione del giudice dell’esecuzione, posto che la competenza di quest’ultimo deriva inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice della fase cognitiva e che, nell’ambito di detta competenza, non può sussistere alcuna divaricazione fra l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da adottarsi in executivis (Sez. 7, 35009/2017).

 

Misure di prevenzione

I decreti emessi nel giudizio per le misure di prevenzione sono equiparati a sentenze, all’effetto dell’incompatibilità del giudice prevista da tale norma (Sez. 1, 28651/2017).

Non è preclusa la partecipazione al giudizio di prevenzione patrimoniale al giudice che abbia emesso il provvedimento interinale di sequestro (Sez. 6, 49254/2016).

 

Ammissibilità della procedura camerale de plano

In tema di ricusazione, l’inammissibilità della relativa richiesta può essere dichiarata con procedura camerale de plano, senza instaurazione del contraddittorio soltanto nei casi di manifesta infondatezza della richiesta medesima. Ne consegue che è illegittima l’ordinanza di inammissibilità adottata all’esito di procedura camerale de plano ai sensi dell’art. 41, comma 1, quando i motivi addotti concernono questioni controverse nella giurisprudenza, poiché tale circostanza ne esclude la manifesta infondatezza (Sez. 1, 18509/2018).