x

x

Art. 405 - Inizio dell’azione penale. Forme e termini

1. Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio.

1-bis. Il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini.

2. Salvo quanto previsto dall’articolo 415-bis, il pubblico ministero richiede il rinvio a giudizio entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407 comma 2 lettera a).

3. Se è necessaria la querela, l’istanza o la richiesta di procedimento, il termine decorre dal momento in cui queste pervengono al pubblico ministero.

4. Se è necessaria l’autorizzazione a procedere, il decorso del termine è sospeso dal momento della richiesta a quello in cui l’autorizzazione perviene al pubblico ministero.

Rassegna giurisprudenziale

Inizio dell’azione penale. Forme e termini (art. 405)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 405 comma 1-bis (Corte costituzionale, sentenza 121/2009).

Con la pronuncia della Corte costituzionale 121/2009, che ha dichiarato illegittimo l’art. 405 comma 1-bis, per l’imposta adozione del provvedimento di archiviazione del procedimento quale esito necessitato dell’esclusione in sede cautelare del requisito della gravità indiziaria, è stata condotta un’utile rassegna delle caratteristiche peculiari del procedimento cautelare, estesa agli elementi differenziali che lo distinguono da quello principale.

Si tratta di riflessioni interpretative di particolare autorevolezza e persuasività, che offrono validi argomenti per la soluzione del tema in esame.

La Consulta ha evidenziato la diversità tra le regole di giudizio che presiedono alla cognizione cautelare e quelle che legittimano l’esercizio dell’azione penale: la prima è fondata sulla valutazione sommaria dei «gravi indizi di colpevolezza», ossia su un giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza, condotto in via “statica” sulla base degli elementi acquisiti dal pubblico ministero e su quelli eventuali addotti dalla difesa; il secondo su una considerazione di utilità del passaggio alla fase processuale, che si avvale in senso “dinamico” dei dati di conoscenza acquisiti dalle indagini e di quelli prevedibilmente conseguibili nel giudizio quale sede istituzionalmente preordinata alla formazione della prova nel contraddittorio delle parti.

A tale profilo di divergenza corrisponde autonomia dei valori in gioco,  da un lato limitazioni alla libertà personale imposte in via provvisoria per esigenze di cautela, dall’altro introduzione della fase processuale del giudizio di merito , nonché eterogeneità della gravità indiziaria rispetto al criterio decisorio cui fare ricorso per affermare la sostenibilità dell’accusa in giudizio, che non si traduce in una prognosi di colpevolezza o di innocenza, ma esprime soltanto la “necessità del dibattimento”.

Pertanto, il decreto che dispone il giudizio non resta condizionato dalla già compiuta valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e, viceversa, la sua emissione non impedisce che in sede di riesame o di appello cautelare possa riconsiderarsi la piattaforma indiziaria (Corte costituzionale, sentenza 71/1996).

Né il provvedimento cautelare esplica per disposizione di legge un effetto vincolante sulle decisioni che l’accusa deve assumere al fine dell’esercizio dell’azione penale, che restano condizionate dalla considerazione dell’esito delle indagini e della sua conducenza e capacità dimostrativa (Sez. 1, 20155/2017).

Ai fini della disciplina di cui agli art. 405 ciò che fa fede è la data di iscrizione di ogni singola notizia di reato nei confronti di ciascuno degli indagati ex art. 335. Detta facoltà  che trova la sua base normativa nell’art. 130 Att.  incontra solo il limite dato dal disposto dell’art. 17 consistente nella necessità che, in tal caso, ricorra almeno una delle ipotesi in cui è ammessa la riunione di processi. (Sez. 5, 2174/2013).

Nel corso delle indagini preliminari il PM, con il solo limite del mutamento della qualificazione giuridica del fatto o dell’accertamento di circostanze aggravanti, deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato previsto dall’art. 335.

Tanto deve avvenire sia quando la pubblica accusa acquisisce elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona, sia quando essa raccolga elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato a carico di persone diverse dall’originario indagato.

La conseguenza è che il termine per le indagini preliminari previsto dall’art. 405 decorre in modo autonomo per ciascun indagato dal momento dell’iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato e, per la persona originariamente sottoposta ad indagini, da ciascuna successiva iscrizione (Sez. 6, 24297/2017).

La richiesta di archiviazione può essere revocata dal PM prima dell’emissione da parte del GIP del provvedimento di archiviazione, atteso il principio generale della revocabilità dei provvedimenti che non definiscono una fase del giudizio, e soprattutto delle istanze delle parti. Fino a quando il GIP non si è pronunciato, è sempre possibile la revoca della richiesta da parte del PM, anche a seguito di una interlocuzione informale tra i due uffici.

Pertanto, nel caso di esercizio dell’azione penale mediante richiesta di oblazione, il PM può decidere, a seguito di obiezioni informali comunicate dal GIP, di revocare la propria richiesta ed esercitare l’azione penale nelle forme ordinarie, senza che ciò determini alcuna violazione del diritto di difesa che viene garantito dall’ordinamento nel momento successivo all’esercizio dell’azione penale.

Dal momento che, quindi, il PM può sempre revocare la richiesta di archiviazione sulla quale il giudice non si sia ancora pronunciato, è da ritenere abnorme il provvedimento con il quale il GIP, in presenza di detta revoca, disponga invece l’archiviazione (Sez. 3, 38738/2018).

I termini per l’esercizio dell’azione penale e quelli per la durata delle indagini preliminari, rispettivamente previsti e disciplinati dagli artt. 405 e 407, attengono al compimento delle indagini autonomamente svolte dal PM e non a quelle ulteriori da svolgersi invece su indicazione del GIP, ai sensi dell’art. 409, comma 4.

Queste ultime integrano invero uno strumento di delibazione giurisdizionale in cui la durata delle indagini si conforma al giudizio di necessità espresso dal GIP e per siffatto profilo resta escluso del provvedimento impugnato l’abnormità (Sez. 6, 38248/2018).

Non è abnorme, e quindi non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il GIP, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al PM perché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis (SU, 20569/2018).

Il momento processuale a decorrere dal quale diviene irrevocabile l’attribuzione della competenza per connessione deve individuarsi nel momento in cui il procedimento penale assume natura giurisdizionale, mediante l’esercizio dell’azione penale in una delle forme contemplate nell’art. 405 (Sez. 1, 69/2014).

Non è nulla la sentenza pronunciata in procedimento nel quale l’azione penale sia stata esercitata mediante richiesta di rinvio a giudizio, con successiva celebrazione dell’udienza preliminare, in ordine a reato per il quale avrebbe dovuto procedersi con citazione diretta a giudizio (Sez. 4, 36881/2009).

Ai sensi del D. Lgs. 231/2001, artt. 22 e 59, la richiesta di rinvio a giudizio è atto di contestazione che interrompe e sospende il decorso della prescrizione sino alla sentenza che definisce il giudizio.

Nell’ambito dei procedimenti per l’accertamento degli illeciti amministrativi derivanti da reato, dunque, l’operatività della prescrizione viene a essere diversa rispetto a quanto previsto dalle norme del codice di procedura penale e viene peraltro a sovrapporsi alle modalità operative tipiche del processo civile.

Materialmente, l’articolo 22 del citato D. Lgs., nell’affermare che, se l’interruzione avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, opera con sostanziale rinvio al disposto dell’articolo 59 del medesimo decreto legislativo, il quale specifica che la contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1, del codice di procedura penale.

Tali atti risultano essere quelli in cui viene formulata l’imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio (Sez. 2, 50974/2016).

La natura permanente del reato autorizza il compimento di atti di indagine per tutta la sua durata (Sez. 1, 31054/2018).