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Art. 107 - Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore

1. Il difensore che non accetta l’incarico conferitogli o vi rinuncia ne dà subito comunicazione all’autorità procedente e a chi lo ha nominato.

2. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all’autorità procedente.

3. La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore di ufficio e non sia decorso il termine eventualmente concesso a norma dell’articolo 108.

4. La disposizione del comma 3 si applica anche nel caso di revoca.

Rassegna giurisprudenziale

Non accettazione, rinuncia e revoca del difensore e termine a difesa (art. 107)

Nel giudizio di cassazione la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, al quale sia già stato notificato l'avviso di udienza, non ha effetto con riferimento a tale udienza, che può essere ritualmente celebrata, essendo il difensore rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino alla eventuale nomina di un difensore di ufficio; ne consegue che l'assenza del difensore di fiducia all'udienza non comporta l'obbligo di nominarne uno d'ufficio al ricorrente, né costituisce condizione ostativa alla sua regolare celebrazione del processo di legittimità (Sez. 4, 24842/2021).

La rinuncia al mandato difensivo non fa venir meno l’efficacia dell’elezione di domicilio presso lo studio del difensore di fiducia rinunciante, cui l’imputato abbia provveduto, a meno che quest’ultima non venga espressamente revocata (Sez. 1, 44263/2014).

La rinuncia al mandato da parte del difensore opera immediatamente, con conseguente obbligo del giudice, cui sia pervenuta la notizia, di provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio senza che abbia rilevanza la comunicazione alla parte (Sez. 5, 13402/2018).

Una volta venuto meno per qualunque causa il difensore originariamente preposto, il giudice, che abbia preso di ciò contezza, deve designare un difensore di ufficio all’imputato che non provveda ad autonoma nomina fiduciaria (Sez. 1, 16958/2018).

La rinunzia, così come la revoca del difensore, non produce effetti finché la parte non risulti assistita da nuovo difensore (Sez. 1, 7943/2018).

La mancata presentazione delle conclusioni della difesa non è idonea a produrre alcuna nullità della sentenza qualora tale mancanza dipenda dall’inerzia del difensore, presente in udienza e rimasto inattivo per sua scelta, mentre tale nullità può derivare esclusivamente dal totale impedimento alla difesa di proporre le proprie richieste finali o dal mancato accoglimento della richiesta di prendere per ultima la parola (Sez. 5, 11905/2015).

Nel giudizio d’appello la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia non ha effetto finché la parte non sia assistita da un nuovo difensore, come nel caso in cui non sia decorso il termine a difesa concesso, ai sensi dell’art. 108, al nuovo difensore nominato; ne deriva che, in tale ipotesi, è legittima la trattazione del dibattimento alla presenza del precedente difensore rinunciante (Sez. 5, 38944/2015).

La non accettazione è efficace allorché è comunicata all’AG procedente ai sensi dell’art. 107 e non è ammessa una non accettazione con riserva (Sez. 1, 10192/2018).

Il continuo avvicendamento dei difensori, realizzato nel corso del dibattimento, con rinunce contestuali anche da parte di due difensori di fiducia alla medesima udienza, secondo uno schema reiterato che non trova alcuna giustificazione in una reale esigenza difensiva, non ha altra funzione se non quella di ottenere un’ingiustificata dilatazione dei tempi processuali.

Ricorre dunque in questo caso una manifestazione di abuso del processo, come definito dal massimo consesso di legittimità: “l’abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce all’imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti” (Sez. 1, 31685/2017).