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Art. 108 - Termine per la difesa

1. Nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità, e nel caso di abbandono, il nuovo difensore dell’imputato o quello designato d’ufficio che ne fa richiesta ha diritto a un termine congruo, non inferiore a sette giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento.

2. Il termine di cui al comma 1 può essere inferiore se vi è consenso dell’imputato o del difensore o se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato o la prescrizione del reato. In tale caso il termine non può comunque essere inferiore a ventiquattro ore. Il giudice provvede con ordinanza.

Rassegna giurisprudenziale

Termine per la difesa (art. 108)

L’uso distorto del diritto di agire o reagire in giudizio, rivolto alla realizzazione di un vantaggio contrario allo scopo per cui il diritto stesso è riconosciuto, non ammette tutela (SU, 155/2012). In ambito sovranazionale l’articolo 35, § 3 CEDU consente, nella interpretazione consolidata della Corte di Strasburgo, di ritenere abusivo e dunque irricevibile il ricorso quando la condotta ovvero l’obiettivo del ricorrente sono manifestamente contrari alla finalità per la quale il diritto di ricorrere è riconosciuto.

Amplissima è poi la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che richiama la nozione di abuso per affermare la regola interpretativa che colui il quale si appelli al tenore letterale di disposizioni dell’ordinamento comunitario per far valere avanti alla Corte un diritto che confligga con gli scopi di questo (e contrario all’obiettivo perseguito da dette disposizioni), non merita che gli si riconosca quel diritto (CGUE, sentenza 20 settembre 2007, causa C 16/05, Tum e Dar; CGUE, sentenza 21 febbraio 2006, causa C 255/02, Halifax e altri).

Alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite civili e penali, della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo, l’abuso del processo consiste, dunque, in un vizio, per sviamento, della funzione; ovvero, secondo una più efficace definizione riferita in genere all’esercizio di diritti potestativi, in una frode alla funzione.

E quando, mediante comportamenti quali quelli descritti all’inizio del presente paragrafo si realizza uno sviamento alla funzione, l’imputato che ha abusato dei diritti o delle facoltà che l’ordinamento processuale astrattamente gli riconosce, non ha titolo per invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti.

Quanto all’articolo 108, la disposizione prevede la concessione di un congruo termine a difesa, con riferimento alle situazioni di difensore nominato d’ufficio o di fiducia in sostituzione del precedente nei casi di “rinunzia, revoca o incompatibilità”. La prescrizione non è espressamente accompagnata da una specifica sanzione di nullità in caso di sua violazione; ciò non di meno l’eventuale violazione determina, secondo orientamenti consolidati, una nullità a regime intermedio in forza della norma generale posta dall’art. 178, comma 1, lett. c), in quanto incide sull’assistenza dell’imputato.

Sicché non può dare luogo a nullità alcuna il diniego di termini a difesa o la concessione di termini a difesa ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108, comma 1, quando nessuna lesione o menomazione ne derivi, in assoluto, all’esercizio effettivo del diritto alla difesa tecnica. La disposizione d’altronde, come rimarca la Consulta (Corte costituzionale, decisione 16/2006), è esclusivamente dedicata a disciplinare l’istituto del termine a difesa il quale presuppone, ma non regola, la revoca o la rinuncia del difensore precedentemente nominato, di modo che, in assenza di altra norma che espressamente disciplini anche tali facoltà, essa si presta a uso arbitrario.

L’uso arbitrario trasmoda poi in patologia processuale, dunque in abuso, quando l’arbitrarietà degrada a mero strumento di paralisi o di ritardo e il solo scopo è la difesa dal processo, non nel processo: in contrasto e a pregiudizio dell’interesse obiettivo dell’ordinamento e di ciascuna delle parti a un giudizio equo celebrato in tempi ragionevoli. In questo caso non soltanto la norma non legittima ex post eccezioni di nullità, ma va escluso, in radice, che il diritto in essa previsto possa essere riconosciuto (Sez. 5, 43593/2018).

Il diritto di un termine a difesa, riconosciuto all’imputato, deve essere armonizzato con il principio della ragionevole durata del processo e deve essere, dunque, esercitato in modo da non consentirne l’abuso, trasformando le nomine e le revoche dei difensori in un sistema per controllare le scansioni e i tempi del processo. Ne consegue che il mancato accoglimento della richiesta non è suscettibile di dare luogo ad alcuna nullità quando essa non risponda ad una reale esigenza difensiva e quando l’effettivo esercizio del diritto alla difesa tecnica dell’imputato non abbia subito alcuna lesione o menomazione (Sez. 5, 32135/2016).

La mancata concessione del termine a difesa previsto dall’art. 108 determina una nullità generale a regime intermedio che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182, comma 2 e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il provvedimento reiettivo della richiesta (Sez. 7, 23402/2018).

La concessione del termine a difesa di cui all’art. 108 presuppone una specifica richiesta del difensore e qualora essa manchi non sussiste l’obbligo del giudice di disporla d’ufficio, considerato che, in tal caso, imprescindibili esigenze di buona organizzazione e di ragionevole durata del processo ne esigono la prosecuzione e che il termine a difesa non può essere imposto al difensore d’ufficio senza rendere il giudice del processo giudice della difesa tecnica (Sez. 7, 8564/2017).

La previsione di cui all’art. 108 costituisce norma di stretta interpretazione, dettata a tutela dell’imputato che abbia un solo difensore, di cui sia appunto rimasto privo (Sez. 2, 5255/2017).

Nel caso di istanza di rinvio del difensore per impedimento professionale, a questi già noto all’atto dell’accettazione della nomina finalizzata all’espletamento dell’incarico in relazione al quale si richiede il rinvio, non può ritenersi operante la disposizione dell’art. 420-ter, comma 5, perché tale norma, per come è formulata, intende dare rilevanza e apprestare tutela solo agli impedimenti che sopravvengono all’atto di nomina ed all’accettazione del mandato difensivo.

Da ciò discende che, trattandosi di un impedimento già esistente e, soprattutto, noto al difensore, prima dell’accettazione dell’incarico, non determina in suo favore un legittimo impedimento e il diritto a chiedere e ottenere il rinvio dell’udienza (Sez. 1, 39540/2018).

L’art. 108 non si applica all’ipotesi di revoca o rinuncia del precedente - e nomina del nuovo - difensore, che si siano verificate nell’immediatezza della celebrazione del giudizio di legittimità (Sez. 5, 9365/2014).