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Art. 109 - Lingua degli atti

1. Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana.

2. Davanti all’autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali.

3. Le disposizioni di questo articolo si osservano a pena di nullità.

Rassegna giurisprudenziale

Lingua degli atti (art. 109)

Il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete ed alla traduzione non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero status di straniero, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana (SU, 25932/2008).

A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 32/2014 (con cui è stata data attuazione alla Direttiva 2010/64/UE sul diritto alla interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali), è inammissibile l’impugnazione redatta in lingua straniera, interamente o in uno dei suoi indefettibili elementi costitutivi indicati dall’art. 581, proposta da soggetto legittimato che non conosca la lingua italiana, atteso che questi, esercitando una facoltà personale e discrezionale, avrebbe potuto e dovuto richiedere, ai sensi del novellato art. 143, comma 1 l’assistenza di un proprio interprete di fiducia per la redazione dell’atto di impugnazione, a spese dello Stato in caso di indigenza.

Deve sul punto osservarsi che il disposto dell’art. 109 che impone l’uso della lingua italiana nella redazione degli atti del procedimento penale, va resa compatibile con la inviolabilità del diritto di difesa nei casi in cui il procedimento riguardi un soggetto che non comprenda l’italiano, in linea con l’art. 111 Cost. e l’art. 6, comma 3, CEDU: l’attenzione del legislatore verso coloro che non parlano e non comprendono la lingua del procedimento ha portato alla modifica dell’art.143 che  recependo la richiamata Direttiva 2010/64/UE volta a rendere effettivo l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato alloglotta  attribuisce in modo espresso all’imputato il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata, di seguire il compimento degli atti cui partecipa, di comunicare con il difensore prima di rendere interrogatorio nonché  per quanto qui interessa  di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

Sicuramente tra queste ultime rientra l’atto di impugnazione, nella specie il ricorso per cassazione, con cui la persona sottoposta al procedimento chiede l’esame di legittimità della pronuncia di merito, esercitando l’inviolabile diritto di difesa.

Tale interpretazione è supportata dalle Sezioni Unite, che, chiamate a risolvere il contrasto sul tema della validità dell’impugnazione redatta in lingua straniera, hanno evidenziato come tra gli atti del procedimento penale da tradursi vadano compresi, quando producono effetti processuali, quelli di parte e fra essi le impugnazioni che danno impulso ad un nuovo grado di giudizio e debbono presentare i requisiti prescritti a pena di inammissibilità per essere riconoscibili nel contenuto, con la conseguente necessità della loro compilazione nella lingua nazionale (SU, 36541/2008, ripresa da Sez. 4, 43318/2016).

Il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi della L. 482/1999 (nella specie, la lingua sarda) ha diritto di ricevere tradotti nella sua lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso all’autorità investita del procedimento (Sez. 3, 25961/2017).

Posto che la nomina di un interprete all’imputato o indagato straniero, in quanto subordinata al concreto accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana, costituisce, non già un atto dovuto, ma un obbligo eventualmente derivante da un accertamento di fatto, ne consegue che la mancata nomina dell’interprete rientra non già nel novero delle nullità assolute ex art. 179 ma di quelle relative (Sez. 3, 5235/2017).

Non è abnorme il provvedimento del giudice che dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa traduzione nella lingua conosciuta dall’imputato della dichiarazione di elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, e dispone la restituzione degli atti alla Procura della Repubblica (Sez. 5, 4308/2016).

La proposizione della richiesta di riesame, anche se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta, sempre che la richiesta di riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Sez. 3, 1631/2016).

Nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l’inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere a che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale (Sez. 1, 51847/2016).

L’obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento, non agli atti già formati da acquisire al processo, per i quali la necessità della traduzione si pone solo qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti da provare, essendo onere della parte interessata indicare ed illustrare le ragioni che rendono plausibilmente utile la traduzione dell’atto nonché il pregiudizio concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa (SU, 38343/2014).

L’imputato straniero che si trovi in Italia ha diritto di ottenere, nel primo diretto contatto con l’autorità che procede, la traduzione degli atti a lui diretti, se non conosce la lingua italiana. La sua richiesta, ponendosi fuori di presunzione, non è prevista quale atto formale da cui scaturisce obbligo vincolante per l’autorità che procede (a differenza del caso di cui all’art. 109, comma 2), bensì intesa come acquisizione dimostrativa d’ignoranza, che può essere superata da opposta emergenza (Sez. 4, 1820/2015).

Se l’indagato o l’imputato non ha avuto alcun contatto con il giudice e se “la non conoscenza della lingua italiana non risulta in altro modo dagli atti” il giudice non è tenuto alla traduzione del provvedimento da notificare.

A tal proposito, la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 109 comma 1, nella parte in cui non prevede che siano nulli gli atti del procedimento penale compiuti in lingua italiana ove l’imputato straniero non la comprenda e nella parte in cui non prevede che, a tale scopo, fin dal primo atto del procedimento lo straniero sia interpellato circa la conoscenza o meno della lingua italiana, ha nuovamente fatto applicazione di quel principio di concretezza dell’accertamento in positivo della mancata conoscenza da parte dell’interessato della lingua italiana (Corte Cost., ordinanza 212/2005).

Da quanto innanzi esposto discende all’evidenza che la questione relativa alla necessità di traduzione di un provvedimento in una lingua comprensibile all’interessato neppure si pone nei procedimenti nei quali l’indagato o imputato risulti irreperibile al momento della notificazione del provvedimento e, dunque, per definizione sia mancato il “contatto con il giudice” e se “la non conoscenza della lingua italiana non risulta in altro modo dagli atti” (Sez. 2, 6600/2014).