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Art. 586 - Impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento

1. Quando non è diversamente stabilito dalla legge, l’impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l’impugnazione contro la sentenza. L’impugnazione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l’ordinanza.

2. L’impugnazione dell’ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti.

3. Contro le ordinanze in materia di libertà personale è ammessa l’impugnazione immediata, indipendentemente dell’impugnazione contro la sentenza.

Rassegna giurisprudenziale

Impugnazione di ordinanze emesse nel dibattimento (art. 586)

Nessuna norma processuale stabilisce il dovere del giudice che abbia rigettato, nel corso del processo, un’eccezione di carattere processuale, di “riprodurne” le ragioni nel corpo della sentenza, ciò ricavandosi, peraltro, anche dalla stessa previsione di cui all’art. 586 che, prevedendo l’impugnazione delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento con l’impugnazione della sentenza, sancisce la piena autonomia, anche “grafica”, dei due provvedimenti (Sez. 2, 51997/2018).

L’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova non è autonomamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586, in quanto l’art. 464-quater, comma 7, nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova (SU, 33216/2016).

Le ordinanze di inammissibilità dell’impugnazione sono di norma irrevocabili anche nell’ipotesi in cui siano fondate sulla mancata cognizione di elementi di fatto essenziali, e ciò perché tali elementi possono essere fatti valere in sede di impugnazione avverso dette ordinanze (Sez. 5, 21145/2018).

È inammissibile l’impugnazione dell’ordinanza che provvede sulla richiesta di incidente probatorio, non rientrando tale tipologia di provvedimento tra i casi previsti dall’art. 586. È tuttavia ammissibile il ricorso per cassazione allorché si denunci un vizio che si riverbera sull’utilizzabilità della prova ottenuta attraverso l’incidente probatorio (Sez. 5, 32625/2018).

Le ordinanze emesse in dibattimento sono impugnabili solo unitamente all’impugnazione della sentenza. Possono tuttavia essere direttamente impugnate con ricorso per cassazione quando diano luogo a provvedimenti abnormi (Sez. 5, 24898/2018).

L’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile con il ricorso per cassazione, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586, in quanto l’art. 464-quater, comma 7, nel prevedere il ricorso per cassazione, deve essere interpretato nel senso che si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova.

Ne consegue che il sistema dei rimedi offerti all’imputato avverso le ordinanze che decidono sull’istanza di sospensione con messa alla prova risulta così strutturato: a) ricorso per cassazione in via autonoma ed immediata contro l’ordinanza di accoglimento; b) non impugnabilità del provvedimento negativo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in quanto è offerta all’imputato la possibilità di rinnovare la richiesta; c) impugnabilità del provvedimento di rigetto “predibattimentale”, soltanto con la sentenza di primo grado, secondo la regola generale fissata dall’art. 586 (SU, 33216/2016, richiamata da Sez. 3, 29622/2018).

Non può ritenersi preclusa l’impugnazione dell’ordinanza di rigetto dalla circostanza che l’imputato, dopo il rigetto della richiesta di sospensione per la messa alla prova, abbia ottenuto di essere ammesso al rito abbreviato (Sez. 3, 29622/2018).

In senso contrario: pur in mancanza di una specifica disposizione di raccordo con il giudizio abbreviato, la connotazione di rito alternativo assegnata dal legislatore al nuovo istituto e la sostanziale analogia fra i termini finali di richiesta della sospensione con messa alla prova e quelli entro i quali può essere avanzata la richiesta di rito abbreviato precludono, in assenza di un’espressa previsione di convertibilità dell’un rito nell’altro, la possibilità di coltivare o ripercorrere altre strade di definizione alternativa del giudizio, secondo il principio “electa una via, non datur recursus ad alteram”, già applicato dalla giurisprudenza al tema dei rapporti tra giudizio abbreviato e patteggiamento (Sez. 6, 22545/2017).

L’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione della pena formulata ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. 231/2001, in forza del rinvio generale operato dall’art. 34 di tale testo normativo al codice di procedura penale, nei limiti della compatibilità, deve ritenersi impugnabile solo unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell’art. 586, e non già immediatamente in cassazione quale atto abnorme (Sez. 6, 14736/2018).

Non può essere oggetto di autonoma impugnazione l’ordinanza di correzione di un errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 586, posto che il primo provvedimento ha funzione accessoria e meramente integrativa rispetto al secondo (Sez. 6, 2323/2015).

L’art. 586, prevedendo l’impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento con l’impugnazione avverso la sentenza, si applica anche alle ordinanze che ammettono o escludono la parte civile (Sez. 5, 6910/1999).

In senso contrario: L’ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile. Ciò in quanto, da un lato, dell’ordinanza di che trattasi non è consentita da alcuna disposizione di legge non solo l’impugnazione immediata e autonoma (per la ragione che in tal modo, come per la parallela e coerente regola fissata per l’ordinanza ammissiva, si verificherebbe una stasi del processo penale), ma neppure l’impugnazione differita e “conglobata” con la sentenza secondo l’art. 586 comma 1, perché il soggetto danneggiato, una volta estromesso dal processo, perde la qualità di parte e non è più legittimato a impugnare l’eventuale sentenza assolutoria dell’imputato, che non contiene alcuna statuizione decisoria che lo riguardi in connessione con il provvedimento dibattimentale di esclusione: provvedimento che non ha carattere meramente ordinatorio, ma chiude definitivamente il rapporto processuale civile davanti al giudice penale esaurendone gli effetti (SU, 12/1999 e, più di recente, Sez. 6, 2329/2015).

In tema di perizia, non è prevista l’autonoma impugnabilità, con ricorso per cassazione, del provvedimento di nomina che si assume emesso in violazione di legge e con difetto di motivazione specifica circa le ragioni della scelta di esperti non iscritti nell’apposito albo; il principio di tassatività che disciplina la materia delle impugnazioni non solo con riguardo ai casi di impugnazione ma anche ai mezzi di impugnazione, a norma dell’art. 568, comma 1, esclude tale autonoma impugnabilità, fatta salva l’impugnabilità dell’ordinanza di nomina dei periti insieme alla sentenza, anche se quest’ultima sia impugnata soltanto per connessione con l’ordinanza, ai sensi dell’art. 586, comma 1, e ferma la tempestiva deduzione delle eventuali nullità, non assolute, secondo quanto disposto dall’art. 182 (Sez. 1, 40517/2017).

L’ordinanza di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare è immediatamente appellabile, a differenza della generalità degli altri provvedimenti adottabili nel corso del giudizio (artt. 568, comma 1 e 586, comma 1) con la conseguenza che il ricorrente ha l’onere di immediatamente censurare la legittimità dell’ordinanza che sospende i termini di custodia cautelare per complessità del dibattimento, con la conseguenza che la sua definitività, a seguito del rigetto o della mancata proposizione dell’appello ed eventualmente del ricorso per cassazione, comporta una insuperabile presunzione di legittimità della stessa (Sez. 5, 34811/2016).

L’ordinanza in tema di ammissione delle prove è impugnabile solo unitamente alla sentenza, fatta eccezione allorché presenti profili di abnormità, nel qual caso è immediatamente ricorribile per cassazione (Sez. 3, 1973/2017).

In senso contrario (escludendo l’immediata ricorribilità per cassazione per abnormità): Sez. 2, 22599/2014.