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Art. 438 - Presupposti del giudizio abbreviato

1. L’imputato può chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti, salve le disposizioni di cui al comma 5 del presente articolo e all’articolo 441, comma 5.

1-bis. Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422.
3. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3.

4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato. Quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta.
5. L’imputato, ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell’articolo 442, comma 1-bis, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di prova contraria. Resta salva l’applicabilità dell’articolo 423.

5-bis. Con la richiesta presentata ai sensi del comma 5 può essere proposta, subordinatamente al suo rigetto, la richiesta di cui al comma 1, oppure quella di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444.

6. In caso di dichiarazione di inammissibilità o di rigetto, ai sensi, rispettivamente, dei commi 1-bis e 5, la richiesta può essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2.

6-bis. La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.

6-ter. Qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta all’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, il giudice, se all’esito del dibattimento ritiene che per il fatto accertato sia ammissibile il giudizio abbreviato, applica la riduzione della pena ai sensi dell’art. 442, comma 2.

Rassegna giurisprudenziale

Presupposti del giudizio abbreviato (438)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 438 comma 4 nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinato a un’integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato (Corte costituzionale, sentenza 169/2003).

È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 nella parte in cui non prevede che il PM, in caso di dissenso, sia tenuto a enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del PM, possa applicare all’imputato la riduzione di pena contemplata dall’art. 442 comma 2 (Corte costituzionale, sentenza 81/1991).

È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 nella parte in cui non prevede che il giudice, all’esito del dibattimento, ritenendo che il processo poteva, su richiesta dell’imputato e con il consenso del PM, essere definito allo stato degli atti dal GIP, possa applicare la riduzione di pena prevista dall’art. 442 comma 2 (Corte costituzionale, sentenza 23/1992).

Si segnala che con ordinanza del 6.11.2019 il GUP del Tribunale di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, inserito dall'art. 1 della L. 33/2019, per violazione degli artt. 3 e 11 Cost. e dell'art. 5 L. 33/2019 in relazione all'art. 117 Cost. e all'art. 7 CEDU.

È abnorme il provvedimento con il quale il giudice, dopo l'ammissione del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, e in difetto dell'assunzione di nuovi elementi di prova ex art. 441, c. 5 c.p.p., disponga, ai sensi dell'art.521 c.p.p., la restituzione degli atti al PM, ritenendo su sollecitazione di quest'ultimo, la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata, escludendo che ricorra una ipotesi di diversità del fatto quando risultino configurabili esclusivamente nuove o diverse circostanze aggravanti (Sez. 4, 44973/2021).

Prima della formale instaurazione del rito speciale è ancora in corso l’udienza preliminare e l’imputato può revocare la scelta processuale precedentemente compiuta (Sez. 6, 14295/2014).

La richiesta di accesso al rito abbreviato non osta alla ammissione dell’imputato alla messa alla prova, neanche quando la originaria qualificazione giuridica assegnata alla condotta sia ostativa, sempreché: a) l’imputato abbia chiesto espressamente l’ammissione al beneficio previa riqualificazione della condotta in una fattispecie non ostativa; b) il Tribunale abbia ritenuto di assegnare alla condotta contestata una definizione giuridica compatibile con l’ammissione (Fattispecie nella quale la corte di appello aveva rigettato l’impugnazione proposta avverso il rigetto dell’istanza di concessione della messa alla prova all’esito del giudizio abbreviato, avendo l’imputato richiesto ed ottenuto la riqualificazione della condotta originariamente contestata in una fattispecie che consentiva l’accesso al beneficio. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello competente per nuovo esame della richiesta di messa alla prova) (Sez. 2, 5837/2022).

La richiesta di giudizio abbreviato è inammissibile se presentata dal difensore di fiducia dell’imputato che non sia provvisto di procura speciale, tanto più se la richiesta medesima sia formulata in un’udienza in cui l’imputato sia assente e non possa pertanto ratificarla, anche tacitamente. È per contro valida la richiesta formulata dal difensore munito di procura speciale anche se materialmente depositata da un suo sostituto processuale a sua volta sprovvisto di procura (Sez. 3, 1946/2017).

È legittima l’instaurazione del giudizio abbreviato a seguito di richiesta formulata dal difensore (nella specie, di fiducia), pur privo di procura speciale, qualora l’imputato sia presente e nulla eccepisca (SU, 9977/2008).

La richiesta di giudizio abbreviato presentata a seguito di decreto di giudizio immediato può essere revocata solo fino all’adozione del decreto di fissazione dell’udienza per l’ammissione del procedimento speciale, ai sensi dell’art. 459, comma 2 (Sez. 6, 33908/2017).

L’art. 438, comma 4 richiede una verifica delle condizioni per l’ammissione al rito abbreviato, di cui dare conto con ordinanza motivata su tale richiesta, che può quindi anche essere rigettata, sicché quello di rigetto non costituisce provvedimento estraneo al sistema processuale (Sez. 3, 20080/2018).

I requisiti di forma della richiesta di giudizio abbreviato devono essere posseduti momento della sua presentazione e del suo esame e non sono suscettibili di regolarizzazione successiva (Sez.  3, 30051/2018).

Qualora l’imputato avanzi richiesta di giudizio abbreviato a seguito della notificazione del decreto di giudizio immediato, il rito alternativo non può considerarsi già instaurato a seguito del decreto di fissazione dell’udienza, ma si apre soltanto con l’adozione dell’ordinanza formale di ammissione, sicché, fino a tale momento, non è precluso alle parti di addivenire ad un accordo sulla pena ai sensi dell’art. 444 (Sez. 4, 27564/2017).

La celebrazione del giudizio di primo grado con il rito abbreviato, malgrado la carenza di consenso dell’imputato, non comparso, ed in assenza della procura speciale di cui all’art. 438, comma 3, configura una causa di nullità del procedimento, che se pur assoluta, per la riduzione delle garanzie della difesa derivanti dalla scelta del rito speciale, è di ordine generale, non rientrando nelle ipotesi di cui all’art. 179. Ne consegue che la relativa eccezione deve essere formulata ai sensi dell’art. 180 nei motivi di appello o comunque essere rilevata, anche d’ufficio, nel corso del giudizio di secondo grado, verificandosi altrimenti la preclusione prevista dalla succitata disposizione (Sez. 4, 34151/2012).

In materia di giudizio abbreviato continuano a valere, nonostante gli interventi normativi che lo hanno interessato nel tempo, i principi affermati dalla sentenza SU, 16/2000, in ordine alla possibilità di rilevare in tale sede precedenti nullità solamente se assolute e di dichiarare l’inutilizzabilità solo «patologica» in relazione agli atti già inseriti nel fascicolo del PM al momento dell’ammissione del ritoPrincipi questi che, peraltro, vengono ora espressamente recepiti dal comma 6-bis dell’art. 438 introdotto dalla L. 103/2017 (Sez. 1, 34346/2018).

Né la lettera né lo spirito dell’art. 6 della CEDU impediscono che una persona rinunci spontaneamente, in maniera espressa o tacita, al contraddittorio. Tuttavia, per essere presa in considerazione sotto il profilo della Convenzione, tale rinuncia deve essere stabilita in maniera non equivoca ed essere accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua importanza (Corte EDU, Grande camera, Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009).

L’imputato può presentare richiesta di giudizio abbreviato, in forma scritta od orale, fino a quando nell’udienza preliminare non siano state formulate le conclusioni. La richiesta di giudizio abbreviato, quindi, può essere presentata anche dopo l’eventuale integrazione istruttoria disposta dal GUP ai sensi degli art. 421-bis o 422; e, a maggior ragione, anche dopo le produzioni documentali che, secondo quanto prevede l’art. 421 comma 3, il GUP ammette dopo la costituzione delle partiNe consegue che l’art. 442 comma 1-bis si riferisce anche a tali produzioni e comunque a tutte le prove acquisite nell’udienza preliminare, quando stabilisce che, ai fini della deliberazione, il giudice del giudizio abbreviato utilizza, oltre agli «atti contenuti nel fascicolo di cui all’articolo 416 comma 2» e alla «documentazione di cui all’art. 419 comma 3», anche «le prove assunte nell’udienza». Tali sono infatti anche i documenti prodotti dalle parti nell’udienza preliminare a norma dell’art. 421 comma 3, perché il riconoscimento all’imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato fino alla conclusione dell’udienza preliminare è inteso appunto a permettere l’utilizzazione nel giudizio speciale anche delle prove acquisite nel corso dell’udienza. Il principio appena affermato, in base al quale la produzione di documenti deve avvenire «prima» della richiesta di giudizio abbreviato, opera anche nel caso in cui la documentazione che si intenda produrre rappresenti l’esito di investigazioni difensive. Più precisamente: è indubbio che le indagini difensive sono di per sé compatibili con il giudizio abbreviato. D’altra parte, è indubbio che la difesa, in forza dell’art. 391-bis, ha facoltà di raccogliere in ogni stato e grado del procedimento elementi favorevoli all’imputato, per poi produrli davanti al giudice, anche in sede di giudizio abbreviato. Il difensore ha facoltà di presentare i risultati delle sue investigazioni nel corso dell’udienza preliminare, fino all’inizio della discussione ex art.421, cioè nel termine coincidente per richiedere il giudizio abbreviato. Ne consegue che i risultati delle indagini difensive, se presentati prima della richiesta di giudizio abbreviato, possono essere valutati in funzione di tutte le decisioni che il giudice è chiamato ad assumere nel corso dell’udienza preliminare, comprese quindi le decisioni e le pronunce che definiscono il procedimento attraverso il modulo alternativo del giudizio abbreviato. Resta inteso che, anche in caso di presentazione dei risultati delle indagini difensive prima della richiesta di giudizio abbreviato, a ciascuna delle parti “va comunque assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte a sorpresa dalla controparte, in modo da contemperare l’esigenza di celerità con la garanzia dell’effettività del contraddittorio, anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto alle singole, concrete fattispecie”. In altri termini, nella lettura adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale, il principio di continuità investigativa diventa funzionale all’esercizio del diritto alla controprova, nel senso che la posizione del pubblico ministero va riequilibrata rispetto alle produzioni difensive frutto delle indagini difensive. Così, se il deposito dei risultati dell’investigazione difensiva avviene nel corso delle indagini preliminari, il PM ha la possibilità di riequilibrare il “quadro probatorio” procedendo al necessario supplemento investigativo attraverso l’espletamento delle indagini previste dall’art. 419 comma 3; se, invece, i risultati dell’inchiesta difensiva vengono prodotti all’udienza preliminare, il PM ha diritto ad un differimento dell’udienza, in modo che anche in questo caso possa svolgere le indagini suppletive, per bilanciare l’impianto accusatorio rispetto alle novità introdotte dalla difesa. In questo modo non viene messo in crisi né il carattere fondamentale del giudizio abbreviato, che è quello che privilegia l’apporto probatorio unilaterale, e neppure il principio del contraddittorio, proprio perché il PM, a fronte dell’apporto probatorio difensivo, ha sempre la possibilità di allegare nuove indagini in replica a quelle presentate dalla difesa (Sez. 4, 51950/2016).

Il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, in ogni stato e grado del procedimento penale, deve essere necessariamente coordinato, affinché i risultati di tali indagini possano trovare rituale ingresso nel processo, con i criteri e i limiti specificamente previsti dal codice di rito per la formazione della prova. Ne consegue che i risultati delle indagini difensive possono essere introdotti nel processo penale, ma alla condizione che siano state rispettate le disposizioni espressamente previste dal codice di rito, con l’ulteriore conseguenza che non è possibile consentire l’ingresso di indagini compiute in una fase processuale che si è già conclusa, a seguito della richiesta di giudizio abbreviato non condizionato avanzata nell’interesse dell’imputato (Sez. 1, 15867/2915).

Le investigazioni difensive possono essere svolte senza limiti temporali in qualsiasi stato e grado del procedimento e possono essere prodotte anche nel giudizio abbreviato. L’art. 442, comma 1-bis prevede che, ai fini della deliberazione, il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416, comma 2, la documentazione di cui all’art. 419, comma 3 e le prove assunte nell’udienza. Il materiale utilizzabile è, perciò, non solo quello contenuto nel fascicolo del PM ma anche quello acquisito in udienza. È infatti indubitabile che i risultati delle investigazioni difensive possano essere prodotti anche nel corso dell’udienza preliminare per cui, coincidendo il termine ultimo per la richiesta di giudizio abbreviato con quello per la formulazione delle conclusioni, il materiale probatorio utilizzabile dal giudice per la decisione non può che comprendere anche i risultati delle indagini difensive depositati in sede di udienza preliminareÈ del tutto evidente, inoltre, che le indagini difensive, legittimamente presentate, debbano essere valutate dal giudice in relazione a tutte le determinazioni che è chiamato ad assumere in quella fase del procedimento e quindi anche in ordine a quelle di carattere decisorio che definiscano il procedimento con i riti alternativi (giudizio abbreviato e applicazione pena concordata). Né può ritenersi che la produzione e quindi l’utilizzabilità del contenuto delle investigazioni difensive operi solo in caso di richiesta di rito abbreviato condizionato a integrazione probatoria. Tale interpretazione sarebbe, invero, in contrasto con il chiaro disposto degli artt. 327-bis e 438, comma 2. La conferma del resto si ricava dallo stesso art. 438, comma 5, che prevede la possibilità di subordinare la richiesta di rito abbreviato ad integrazione probatorio, ferma restando la utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell’art. 442, comma 1-bis, (e quindi anche delle investigazioni difensive prodotte) (Sez. 5, 13516/2015).

La richiesta di giudizio abbreviato c.d. “secco”, di cui all’art. 438, comma 1, comporta la definizione del processo allo stato degli atti, che determina la formazione della “res iudicanda” sulla base del quadro probatorio già esistente; ne consegue che nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita, salva la facoltà dell’imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il giudice all’esercizio dei poteri di cui all’art. 441, comma 5 (Sez. 4, 51950/2016).

Integra gli estremi del provvedimento abnorme l'ordinanza con cui il giudice respinga la richiesta incondizionata di rito abbreviato che, a seguito delle profonde innovazioni introdotte dalla l. 479/1999, si configura come un vero e proprio diritto potestativo dell'imputato con la conseguenza che, una volta formulata la relativa richiesta, il giudice deve senz'altro disporlo (Sez. 4, 32893/2020).

Nel giudizio abbreviato non condizionato, in cui l’imputato rinuncia all’esercizio del diritto alla prova, nessun documento può essere prodotto, né nella fase di merito (salvo che sia disposta d’ufficio la rinnovazione dell’istruzione in grado d’appello ai sensi dell’art. 603, comma 3) né, a fortiori, nel giudizio di legittimità (Sez. 3, 16291/2018).

La rinuncia al diritto alla prova, insita nella richiesta ex art. 438 non produce preclusioni, ostacoli o impedimenti di sorta all’esercizio del potere di disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione secondo la previsione dell’art. 603, comma 3, considerato, non a caso, come precipua manifestazione dei poteri del giudice in materia probatoria (SU, 11227/1993).

Gli incrementi dimostrativi (rispetto al contenuto del fascicolo del PM) sono correlati nel caso di giudizio abbreviato o all’avvenuto accoglimento di una richiesta di abbreviato espressamente ‘condizionata’ alla loro raccolta (art. 438 comma 5, con sindacato giurisdizionale esteso non soltanto alla necessità dell’incremento ma anche alla compatibilità con le caratteristiche del rito) o derivanti dall’esercizio del potere attribuito al giudice (art. 441 comma 5) di completare un quadro dimostrativo caratterizzato da profili di non decidibilità allo stato degli atti, con raccolta di elementi qualificati come necessari ai fini della decisione, con l’unico limite dato dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti (Sez. 1, 8316/2016).

Anche nel rito abbreviato il giudice ha la possibilità di disporre l’acquisizione ex officio degli elementi ritenuti assolutamente necessari ai fini del decidere, e ciò non solo nel giudizio di primo grado, come previsto dall’art. 441 comma 5, ma anche nel giudizio d’appelloCon la riforma del 1999, nell’innovare radicalmente l’istituto disciplinato dall’art. 438 e ss., il legislatore ha previsto la possibilità di ampliare la piattaforma probatoria a disposizione del decidente sia su richiesta condizionata dell’imputato ex art. 438 comma 5, sia su iniziativa officiosa del giudice ex art. 441 comma 5, esercitabile tanto nella forma “ordinaria” di abbreviato, quanto nella forma condizionata. In tale contesto normativo, che ha visto trasformare il rito da “giudizio allo stato degli atti” in un giudizio “a prova contratta”, non possono ritenersi sussistenti preclusioni di natura strutturale o sistematica alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale anche del giudizio abbreviato d’appello; l’applicabilità del disposto dell’art. 603 anche nel giudizio abbreviato d’appello risulta, d’altra parte, confermata dall’espresso richiamo dell’art. 443, comma 4, all’art. 599, norma che, al comma 3, si riferisce espressamente alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. Nondimeno, giusta il chiaro disposto dell’art. 603 comma 3, l’ampliamento della cornice probatoria del giudizio di gravame mediante rinnovazione dell’istruttoria su iniziativa del giudice è possibile soltanto allorché essa si appalesi “assolutamente necessario” ai fini del decidere, formula sostanzialmente sovrapponibile a quella del citato art. 441, comma 5, secondo cui il giudice del giudizio abbreviato di primo grado “assume anche d’ufficio elementi necessari ai fini della decisione. Si è osservato che la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato non preclude al giudice di appello l’esercizio dei poteri di integrazione probatoria a norma dell’art. 603, comma 3, sempre che fornisca una specifica motivazione della necessità di procedere alla rinnovazione dell’istruzione ai fini della decisione posto che l’imputato – che ha volontariamente abdicato al diritto alla prova – ed il PM –che ha subito la scelta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti –, benché privati del diritto alla prova, mantengono, anche in grado di appello, la facoltà di sollecitare il giudicante affinché attivi i propri poteri istruttori. Allorché il decidente ravvisi una situazione di non decidibilità della causa allo stato degli atti e, dunque, l’assoluta necessità della prova da assumere ai fini del decidere, anche se sollecitata dalle parti, il codice di rito, nondimeno, non prevede nessuna interlocuzione preventiva delle parti in ordine alla necessità o meno della rinnovazione probatoria; il potere/dovere del giudicante di ricorrere al proprio potere di disporre l’acquisizione, anche d’ufficio, di nuovi mezzi di prova – esercitato in relazione ad atti indispensabili per la decisione a norma dell’art. 441 comma 5, per il giudizio abbreviato (di primo come di secondo grado) –, rispondendo, come l’omologo potere dovere disciplinato dall’art. 507, a chiare esigenze di accertamento della verità, può essere esercitato anche a conclusione del dibattimento, terminata la discussione, dal momento che non sussiste alcuna preclusione in relazione alla possibilità di riaprire il dibattimento per assumere nuove prove, se queste sono decisive. Va tuttavia precisato che, in analogia ai consolidati principi di legittimità in tema di esercizio di poteri officiosi ai sensi dell’art. 507, una volta disposta la rinnovazione istruttoria d’ufficio, il giudice è comunque tenuto ad ammettere le eventuali prove contrarie, salvo che esse risultino vietate dalla legge ovvero manifestamente superflue o irrilevanti (Sez. 2, 20429/2018).

Il "vantaggio" che l'imputato deve indefettibilmente conseguire una volta che egli abbia optato per la celebrazione del processo a suo carico nelle forme del rito abbreviato è esclusivamente legato alla riduzione della pena cui egli, in caso di sua condanna, sarà condannato. Non rientra, invece, nel perimetro in cui sono contenuti i benefici di cui l'imputato che abbia optato per il rito abbreviato potrebbe giovarsi il fatto che, essendo state malamente condotte le indagini preliminari, questi è stato condotto a giudizio senza che la pubblica accusa abbia già raccolto una serie di elementi, utilizzabili in sede di giudizio abbreviato, idonei a dimostrane la colpevolezza in giudizio, ben potendo, e legittimamente, porre rimedio ad una tale situazione il giudice dell'udienza preliminare, facendo tesoro della facoltà di integrazione istruttoria e dei connessi poteri, che gli sono conferiti dal ricordato art. 441, comma 5 (Sez. 3, 32392/2020).

Non è deducibile come motivo di ricorso per cassazione la mancata assunzione di una prova decisiva nel giudizio abbreviato non condizionato (Sez. 6, 14725/2018).

L’ordinamento processuale - delineato a seguito della pronuncia 169/2003 della Corte costituzionale e degli ulteriori interventi delle Sezioni Unite (SU, 44711/2004) e della Corte costituzionale (433/2006) - onera la parte, la cui tempestiva richiesta di rito abbreviato condizionato ad integrazione istruttoria sia stata respinta dal GUP, di rinnovare l’istanza prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e, in caso di nuovo diniego ritenuto illegittimo, di impugnare l’ingiustificato diniego della diminuzione di pena di cui all’art. 442, comma 2Tale disciplina, per quanto riguarda il sindacato sulla decisione di rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato a integrazione probatoria, richiede che la parte abbia riproposto, al giudice del dibattimento, la medesima istanza oggetto del precedente rigetto e definisce il merito del controllo in relazione ai criteri, indicati dall’art. 438, comma 5, della necessità della prova richiesta ai fini della decisione e della compatibilità della prova con le finalità di economia processuale proprie del rito richiesto (Sez. 1, 20758/2018).

La richiesta di giudizio abbreviato condizionato demanda al giudice il controllo sulla fondatezza della domanda al fine di verificare se l’integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale dell’istituto ed attribuisce, in caso di ritenuta inutilità delle indagini ulteriori o di incompatibilità con la natura del rito, la facoltà di respingere l’istanza stessa (Sez. 1, 31017/2018).

Nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438, comma 5, o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 (SU, 5788/2020).

L’integrazione probatoria nel rito abbreviato presuppone, da un lato, l’incompletezza dell’informazione probatoria in atti, dall’altro, una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa, valutazione insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (Sez. 2, 5229/2009).

L’accertamento peritale costituisce un mezzo di prova il cui espletamento è rimesso al prudente apprezzamento del giudice ed i cui tempi di esecuzione risultano in genere incompatibili con le esigenze di speditezza da cui è connotato il rito abbreviato (Sez. 4, 14130/2007).

Poiché la trascrizione delle intercettazioni telefoniche non costituisce prova o fonte di prova ma solo un’operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica, non è possibile subordinare la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato ad una integrazione probatoria consistente nell’esecuzione della trascrizione, ben potendo la parte far eseguire la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni secondo il disposto dell’art. 268, comma 8 (Sez. 2, 5472/2016).

È infondata la censura riguardante la pretesa nullità del giudizio abbreviato in quanto instauratosi in assenza di formale provvedimento che ne abbia disposto la celebrazione. Sono infatti legittimi anche provvedimenti equipollenti, quale può essere, ad esempio, la formula “dato atto della scelta del rito abbreviato” (Sez. 6, 34543/2018).

Il principio di immutabilità del giudice (art. 525) trova applicazione anche nel giudizio abbreviato subordinato ad un’integrazione probatoria su richiesta dell’imputato, limitatamente alle fasi della trattazione e della deliberazione della sentenza, non invece a quella inerente alla decisione incidentale sull’ammissione del rito e delle sue modalità di svolgimento (Sez. 3, 37100/2015).

In tema di giudizio abbreviato condizionato, le dichiarazioni rese in udienza da una persona già sentita in fase di indagini non sono di per se stesse dotate di valore probatorio privilegiato e preminente rispetto a quelle fornite alle autorità inquirenti, stante il carattere integrativo e non sostitutivo che l’art. 438, comma 5 attribuisce all’attività istruttoria nel contraddittorio delle parti (Sez. 3, 11658/2015).

In tema di giudizio abbreviato sono utilizzabili le dichiarazioni rese dal prossimo congiunto nel corso delle indagini preliminari, ancorché viziate da nullità in relazione all'omesso avviso della facoltà di astensione, in quanto trattasi di nullità relativa e, con la scelta del rito, l'imputato ha acconsentito all'utilizzazione di tutti gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero ed inseriti nel fascicolo di cui all'art. 416, comma 2 (Sez. 6, 33659/2020).

Il prelievo di tracce biologiche e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l’individuazione del profilo genetico ai fini di possibili comparazioni, rimangono in ogni caso utilizzabili anche nei confronti di soggetti in quel momento delle indagini preliminari non ancora individuati, pur se in favore degli stessi non sia stato allora possibile osservare le garanzie previste per gli atti irripetibili (Sez. 2, 45929/2011).

Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla PG, perché l’art. 350, comma 7 ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (Sez. 5, 13917/2017).

L’imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell’imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l’accettazione dell’imputazione formulata dall’accusa (Sez. 4, 18776/2016).

L’eccezione di incompetenza territoriale è proponibile in limine al giudizio abbreviato non preceduto dall’udienza preliminare, mentre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l’incidente di competenza può essere sollevato, sempre in limine a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare (SU, 27996/2012).

Nel giudizio abbreviato di appello è, pertanto, inammissibile l’eccezione di incompetenza per territorio proposta con l’impugnazione della sentenza di primo grado, qualora sollevata nel corso dell’udienza preliminare e non ripresentata, a seguito del rigetto, nel successivo giudizio abbreviato instaurato nel corso della stessa udienza preliminare (Sez. 3, 11054/2017).

Nel caso in cui il procedimento venga definito con giudizio abbreviato, il risarcimento del danno, ai fini del riconoscimento della relativa circostanza attenuante, deve aver luogo prima che sia pronunziata l’ordinanza prevista dall’art. 438, comma 4 (Sez. 2, 56935/2017).

In senso contrario: il termine ultimo per il risarcimento, nell’ambito del rito abbreviato, deve essere individuato nell’inizio della discussione (Sez. 3, 10490/2015).

La connotazione di rito alternativo assegnata all’istituto di cui all’art. 168-bis Cod. pen., e la sostanziale analogia tra i termini finali della richiesta di sospensione con messa alla prova e quelli entro i quali può essere avanzata la richiesta ex art. 438, precludono, in assenza di una espressa previsione di convertibilità dell’un rito nell’altro, la possibilità di coltivare o ripercorrere altre strade di definizione alternativa del giudizio. Pertanto, deve escludersi che, una volta celebrato il giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, l’imputato possa dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova (Sez. 3, 26231/2018).

Nel giudizio abbreviato d’appello, essendo l’unica attività d’integrazione probatoria consentita quella esercitabile officiosamente, non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria: di conseguenza, il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria non può mai integrare il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) (Sez. 1, 37588/2014).

Nel giudizio abbreviato d’appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, 17103/2017).