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Art. 70 - Accertamenti sulla capacità dell’imputato

1. Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto, l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia.

2. Durante il tempo occorrente per l’espletamento della perizia il giudice assume, a richiesta del difensore, le prove che possono condurre al proscioglimento dell’imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti.

3. Se la necessità di provvedere risulta durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice a richiesta di parte con le forme previste per l’incidente probatorio. Nel frattempo restano sospesi i termini per le indagini preliminari e il pubblico ministero compie i soli atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini. Quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti dall’articolo 392.

Rassegna giurisprudenziale

Accertamenti sulla capacità dell’imputato (art. 70)

È illegittimo l’art. 70 comma 1 limitatamente all’espressione “sopravvenuta al fatto” (Corte costituzionale, sentenza 340/1992).

L’art. 70 richiede per la sua applicazione la ricorrenza di due presupposti: 1) vi sia ragione di ritenere che il soggetto versi in stato di infermità mentale sopravvenuta al fatto; 2) l’imputato non sia in grado di partecipare scientemente al processo: elementi che rendono un soggetto “processualmente incapace”, comportante la conseguenza della sospensione del processo. Si fa riferimento ad uno stato mentale, che non coincide con l’imputabilità, e che anche se non connesso ad uno stato di malattia cui consegua l’infermità mentale, ne impedisca la cosciente partecipazione al processo. Per accertare tale capacità il giudice ha il potere discrezionale di disporre o meno la perizia, con obbligo di congruamente motivare su tale scelta. In tema di accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipazione cosciente al processo, il giudice non è tenuto a disporre perizia perché può formare il suo convincimento anche sulla base degli elementi già acquisiti agli atti (Sez. 57236/2017).

L'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato risulta obbligatorio persino laddove la segnalazione o la documentazione della patologia da parte dell'imputato o del suo difensore sia tardiva e non necessita nemmeno della richiesta di parte, potendo anche essere compiuto d'ufficio dal giudice del merito allorché vi siano elementi per dubitare dell'imputabilità (Sez. 4, 35070/2021).

L’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo (Sez. 1, 32373/2014).

L’omessa motivazione della Corte d’appello in ordine a richieste istruttorie finalizzate ad accertare incapacità processuali o sostanziali dell’imputato, allo stesso modo di qualunque censura afferente al vizio di motivazione, deve essere dedotta tempestivamente mediante un motivo concernente, appunto, l’esistenza di tale lacuna giustificativa, ma non può essere rilevata di ufficio, sia pure su sollecitazione di parte. L’indicato vizio motivazionale, poi, se non può essere rilevato d’ufficio, non può nemmeno essere validamente proposto con un motivo nuovo non inerente né funzionalmente connesso a quelli contenuti nell’impugnazione principale: non vi sono elementi che consentono di derogare alla regola generale secondo cui le questioni non rilevabili di ufficio sono in ogni caso precluse se dedotte solo con motivi nuovi (Sez. 6, 6069/2017).

La disciplina prevista dagli articoli 70 e ss. prevede che il giudice sia tenuto, se vi è ragione per ritenere che ciò sia necessario, ad accertare lo stato mentale dell’imputato al fine di verificare se lo stesso sia in grado di partecipare coscientemente al processoTale accertamento, previsto al fine di garantire all’imputato il concreto ed effettivo diritto di difesa, possibile solo quando allo stesso sia consentito di condividere la strategia processuale con il proprio difensore, è preliminare alla prosecuzione di ogni attività processuale. Prima che tale accertamento sia esperito, infatti, possono essere assunte solo le prove che possono condurre al proscioglimento ovvero quelle per le quali vi sia un pericolo di dispersione dalla ritardata assunzione. Una volta accertata l’incapacità a partecipare coscientemente al processo il giudice, a meno che non debba pronunciare una sentenza di proscioglimento ovvero di non luogo a procedere, è tenuto a disporre la sospensione del processoEscluse le sentenze previste dall’art. 71, nessun altro provvedimento, che peraltro potrebbe comportare anche in astratto un pregiudizio all’imputato, può essere pronunciato. L’articolo 72-bis, ora introdotto con la L. 103/2017, ha confermato l’impostazione qui delineata in sintesi e ha implicitamente ribadito che il giudice non può pronunciare in prima battuta una sentenza di assoluzione perché l’imputato non è imputabile. Il processo, infatti, può essere definito in tal senso solo qualora l’incapacità processuale sia irreversibile e la sospensione del processo rischi di essere a tempo indeterminato e costituire di per sé un pregiudizio all’imputato (Sez. 2, 34200/2018).

Le disposizioni di cui agli artt. 70, 71 e 72 in tema di sospensione del procedimento per infermità mentale dell’imputato sono inapplicabili al procedimento esecutivo o a quello di sorveglianza (Sez. 7, 31390/2016).

È illegittima la declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’imputato perché l’azione penale non può essere proseguita per irreversibile difetto di capacità ex art. 70, in quanto una volta accertata l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve, ex art. 71, disporne la sospensione; né tale situazione di eventuale stallo, ove si prospetti l’irreversibilità delle condizioni psichiche, può condurre il giudice a ritenere improcedibile il giudizio, considerato che la disciplina dell’improcedibilità dell’azione penale rientra nella sfera della discrezionalità legislativa (Sez. 3, 32595/2014).

L’incapacità dell’imputato di partecipare al processo (art. 70 e ss.) è oggetto di specifica disciplina da parte del vigente codice di procedura penale, distinta rispetto alla mancanza di imputabilità (art. 88 Cod. pen.), in considerazione del fatto che tali stati soggettivi, pur accomunati dall’infermità mentale, operano su piani del tutto diversi e autonomi. Una volta accertata l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporre, ai sensi dell’art. 71, la sospensione del processo, sempre che l’imputato non debba essere prosciolto o non debba essere pronunziata sentenza di non doversi procedere; il giudice deve poi verificare periodicamente (ogni sei mesi o anche prima quando se ne ravvisi l’esigenza) la permanenza dell’incapacità dell’imputato, al fine di riprendere il corso del giudizio non appena risulti che lo stato di mente del medesimo ne consente la cosciente partecipazione ovvero che deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. La Corte costituzionale non ritiene che la normativa in questione sia suscettibile di correzione per il tramite di un proprio intervento, che avrebbe tra l’altro l’effetto, di lasciare il procedimento stesso in una condizione di stasi a tempo indefinito e senza la previsione di alcuno strumento per riattivarne eventualmente il corso. Una via d’uscita dalla problematica situazione che riguarda i c.d. “eterni giudicabili”, potrebbe essere trovata nella stessa normativa esistente, attraverso una interpretazione della stessa conforme al canone di ragionevolezza. Il primo comma dell’art. 72 stabilisce che “Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell’imputato. Analogamente provvede ad ogni scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso”. È dunque evidente che la norma nello stabilire, dopo che è stata disposta la sospensione del procedimento, l’onere del giudice di procedere al controllo sullo stato di mente dell’imputato a scadenza periodica semestrale, o anche più a breve se necessario, mediante “accertamenti peritali”, ha introdotto un meccanismo volto ad evitare la stasi prolungata ed ingiustificata del procedimento. La norma non distingue tra i casi in cui sia stata già accertata, e come spesso avviene confermata, una permanente e non modificabile incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al procedimento e quelli in cui lo stato di incapacità sia invece temporaneo, transeunte, modificabile e dunque necessiti in modo più evidente di un monitoraggio sulla sua evoluzione; neppure prende in considerazione la possibilità che, anche nelle situazioni del secondo tipo, il controllo possa essere più utile non alla scadenza, fissa e predeterminata, del semestre, ma ad una distanza maggiore di sei mesi, intermedia rispetto alla ulteriore scadenza semestrale; mentre è invece possibile, per espresso dettato normativo, un controllo anticipato rispetto allo scadere del sesto mese. Queste apparenti irrazionalità della normativa potrebbero però essere evitate se si ritiene che ciò che la norma richiede in maniera inderogabile è che a scadenza semestrale venga effettuato il controllo sulla situazione dell’imputato, lasciando però al giudice la valutazione “quando ne ravvisi l’esigenza” (secondo l’espressione che figura nella norma e che ben può esser riferita a tutte le ipotesi che la stessa disciplina) sulla effettiva necessità di disporre una apposita perizia ovvero di rimandarla ad un momento successivo. Una tale interpretazione, non esclusa dal tenore letterale della norma, si inserisce con maggiore razionalità nel contesto di una situazione di cui sono evidenti le peculiarità e dove, fermo restando la necessità di un controllo periodico a scadenze temporali fisse (ogni sei mesi), sembra decisamente più conforme alle esigenze sottese all’istituto in esame la previsione di un accertamento peritale la cui necessità sia affidata alla prudente valutazione del giudice, non diversamente da tutti gli altri casi regolati dal codice di procedura penale ed anche nel caso espressamente regolato, è opportuno ribadirlo, dallo stesso art. 70, comma 1, del primo accertamento sulla capacità dell’imputato per il quale è attribuito al giudice il potere “se occorre” di disporre perizia (Sez. 4, 4973/2013).