x

x

Art. 72 - Revoca dell’ordinanza di sospensione

1. Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell’imputato. Analogamente provvede a ogni successiva scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso.

2. La sospensione è revocata con ordinanza non appena risulti che lo stato mentale dell’imputato ne consente la cosciente partecipazione al procedimento ovvero che nei confronti dell’imputato deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

Rassegna giurisprudenziale

Revoca dell’ordinanza di sospensione (art. 72)

Le disposizioni di cui agli artt. 70, 71 e 72 in tema di sospensione del procedimento per infermità mentale dell’imputato sono inapplicabili al procedimento esecutivo o a quello di sorveglianza (Sez. 7, 31390/2016).

L’incapacità dell’imputato di partecipare al processo (art. 70 e ss.) è oggetto di specifica disciplina da parte del vigente codice di procedura penale, distinta rispetto alla mancanza di imputabilità (art. 88 Cod. pen.), in considerazione del fatto che tali stati soggettivi, pur accomunati dall’infermità mentale, operano su piani del tutto diversi e autonomi.

Una volta accertata l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporre, ai sensi dell’art. 71, la sospensione del processo, sempre che l’imputato non debba essere prosciolto o non debba essere pronunziata sentenza di non doversi procedere; il giudice deve poi verificare periodicamente (ogni sei mesi o anche prima quando se ne ravvisi l’esigenza) la permanenza dell’incapacità dell’imputato, al fine di riprendere il corso del giudizio non appena risulti che lo stato di mente del medesimo ne consente la cosciente partecipazione ovvero che deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.

La Corte costituzionale non ritiene che la normativa in questione sia suscettibile di correzione per il tramite di un proprio intervento, che avrebbe tra l’altro l’effetto, di lasciare il procedimento stesso in una condizione di stasi a tempo indefinito e senza la previsione di alcuno strumento per riattivarne eventualmente il corso. Una via d’uscita dalla problematica situazione che riguarda i c.d. “eterni giudicabili”, potrebbe essere trovata nella stessa normativa esistente, attraverso una interpretazione della stessa conforme al canone di ragionevolezza.

Il primo comma dell’art. 72 stabilisce che “Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell’imputato. Analogamente provvede ad ogni scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso”.

È dunque evidente che la norma nello stabilire, dopo che è stata disposta la sospensione del procedimento, l’onere del giudice di procedere al controllo sullo stato di mente dell’imputato a scadenza periodica semestrale, o anche più a breve se necessario, mediante “accertamenti peritali”, ha introdotto un meccanismo volto ad evitare la stasi prolungata ed ingiustificata del procedimento.

La norma non distingue tra i casi in cui sia stata già accertata, e come spesso avviene confermata, una permanente e non modificabile incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al procedimento e quelli in cui lo stato di incapacità sia invece temporaneo, transeunte, modificabile e dunque necessiti in modo più evidente di un monitoraggio sulla sua evoluzione; neppure prende in considerazione la possibilità che, anche nelle situazioni del secondo tipo, il controllo possa essere più utile non alla scadenza, fissa e predeterminata, del semestre, ma ad una distanza maggiore di sei mesi, intermedia rispetto alla ulteriore scadenza semestrale; mentre è invece possibile, per espresso dettato normativo, un controllo anticipato rispetto allo scadere del sesto mese.

Queste apparenti irrazionalità della normativa potrebbero però essere evitate se si ritiene che ciò che la norma richiede in maniera inderogabile è che a scadenza semestrale venga effettuato il controllo sulla situazione dell’imputato, lasciando però al giudice la valutazione “quando ne ravvisi l’esigenza” (secondo l’espressione che figura nella norma e che ben può esser riferita a tutte le ipotesi che la stessa disciplina) sulla effettiva necessità di disporre una apposita perizia ovvero di rimandarla ad un momento successivo.

Una tale interpretazione, non esclusa dal tenore letterale della norma, si inserisce con maggiore razionalità nel contesto di una situazione di cui sono evidenti le peculiarità e dove, fermo restando la necessità di un controllo periodico a scadenze temporali fisse (ogni sei mesi), sembra decisamente più conforme alle esigenze sottese all’istituto in esame la previsione di un accertamento peritale la cui necessità sia affidata alla prudente valutazione del giudice, non diversamente da tutti gli altri casi regolati dal codice di procedura penale ed anche nel caso espressamente regolato, è opportuno ribadirlo, dallo stesso art. 70, comma 1, del primo accertamento sulla capacità dell’imputato per il quale è attribuito al giudice il potere “se occorre” di disporre perizia (Sez. 4, 4973/2013).