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Art. 634 - Declaratoria d’inammissibilità

1. Quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065.

2. L’ordinanza è notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’articolo 11.

 

Rassegna giurisprudenziale

Declaratoria d’inammissibilità (art. 634)

In tema di revisione, sussiste distinzione logica - funzionale tra la fase rescindente - avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ictu oculi, da parte del "novum" dedotto (art. 634) - e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (art. 636) (Sez. 3, 15402/2016). L'esame preliminare circa il presupposto della non manifesta infondatezza della richiesta deve limitarsi, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ad una sommaria delibazione degli elementi addotti, in modo da verificare l'eventuale sussistenza di un'infondatezza rilevabile "ictu oculi" e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi, invece, ritenere preclusa, in tale sede, una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, 2437/2010). In particolare, la manifesta infondatezza della richiesta di revisione, deve ritenersi sussistente se le ragioni poste a suo fondamento risultino, dalla domanda in sé e per sé considerata, evidentemente inidonee a consentire una verifica circa l'esito del giudizio, essendo, invece, riservata alla fase del merito ogni valutazione sull'effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Sez. 5, 6979/2021).

Nel giudizio di revisione, il parere del PM che sia stato, sia pure irritualmente, acquisito ai fini della valutazione sull’ammissibilità della richiesta, e che abbia un contenuto argomentativo, deve essere comunicato alla parte richiedente. L’omessa comunicazione al condannato istante in revisione delle conclusioni, quantunque non dovute, rassegnate dal p.m. in vista della decisione sull’ammissibilità della domanda determina la nullità del provvedimento di inammissibilità dell’istanza, non essendo stato consentito al condannato medesimo di svolgere le proprie difese ed esercitare il contraddittorio in condizioni di parità (Sez. 5, 11445/2021).

È inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee “ictu oculi” a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, 44925/2017).

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di revisione, la norma di cui all’art.634 secondo la quale la Corte di appello dichiara d’ufficio, con ordinanza, l’inammissibilità della relativa richiesta, qualora sia stata proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni contenute negli artt. 631, 632, 633 e 641, ovvero risulti manifestamente infondata, non preclude l’adozione della declaratoria di inammissibilità, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto (SU, 624/2001).

È stata, infatti, evidenziata la struttura bifasica del procedimento di revisione, che si sviluppa in due momenti: il primo, riservato alla valutazione – che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio – dell’ammissibilità della relativa istanza e che mira a verificare che la stessa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, oltre a non essere manifestamente infondata; il secondo è, invece, costituito dal vero e proprio giudizio di revisione, finalizzato all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove” per stabilire se queste, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui debba essere prosciolto.

In questa seconda fase – che si svolge nelle forme previste per il dibattimento – è consentito alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito (in questo senso, già SU, 10 dicembre 1997).

E tanto è possibile all’esito del dibattimento, nel corso del dibattimento ed anche nella fase degli atti preliminari, ove risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste difettino del requisito di novità o della idoneità a determinare l’assoluzione del condannato – imprescindibile perché si debba procedere all’assunzione delle prove dedotte e alla valutazione dei risultati delle stesse – non residuando alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (Sez. 5, 10091/2018).

In tema di revisione, la formula dell’art. 634, secondo cui “la Corte di appello anche di ufficio dichiara (...) l’inammissibilità”, significa che la legge consente che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano, rimettendo alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Sez. 6, 58099/2017).

La formula dell’art. 634, secondo cui “la Corte di appello anche di ufficio dichiara (...) l’inammissibilità”, significa che la legge consente che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano, rimettendo alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Sez. 6, 40545/2017).

In relazione alla previsione normativa di cui all’art. 634, il richiamo al potere di ufficio involge la possibilità di far ricorso ad un duplice schema, nel senso che vi possono essere casi in cui il giudice decide ex officio e casi in cui il giudizio deve essere emesso all’esito di una procedura partecipata, garantendo il contraddittorio tra le parti. Ed infatti alcuni dei casi di inammissibilità, descritti dall’art. 634, comma 1, sono di evidente e immediato accertamento, ossia rilevabili ictu oculi, sicché l’adozione del rito camerale in quest’ambito si risolverebbe in uno spreco di attività giurisdizionale.

Altre volte, invece, la valutazione di ammissibilità richiede un esame, anche solo superficiale e sommario, degli atti ed allora è necessario il rispetto del principio del contraddittorio. Spetta dunque alla Corte di appello valutare, di volta in volta, quale sia la forma procedimentale più adeguata, contemperando l’esigenza di garanzia della partecipazione delle parti con quella di non disperdere inutilmente energie processuali (Sez. 6. 40545/2017).

L’art. 634 dispone che, quando la richiesta di revisione è proposta fuori delle ipotesi previste dagli arti 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633 e 641, ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità. Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sull’art. 634, l’espressione normativa “la Corte di appello anche di ufficio dichiara ( ... ) l’inammissibilità” significa che la legge consente che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano, rimettendo alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento (Sez. 4, 2428/2017).