Art. 635 - Sospensione dell’esecuzione
1. La corte di appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284. In ogni caso di inosservanza della misura, la corte di appello revoca l’ordinanza e dispone che riprenda l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
2. Contro l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’esecuzione, sull’applicazione delle misure coercitive e sulla revoca, possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero e il condannato.
Rassegna giurisprudenziale
Sospensione dell’esecuzione (art. 635)
Il presupposto della sospensione dell’esecuzione ex art. 635 in pendenza di richiesta di revisione, di carattere eccezionale perché derogatorio al principio dell’obbligatorietà dell’esecuzione della pena, consiste nell’impedire che, in presenza di situazioni in cui appaia ipotizzabile l’accoglimento della domanda di revisione e, dunque, revocabile la condanna, il soggetto debba patire un periodo di restrizione della libertà (verosimilmente) inutile.
Tale istituto, pertanto, richiede per la sua operatività un quadro di concreta prognosi di favorevole delibazione di quella richiesta, in linea col suo carattere, in aderenza ad altre ipotesi in cui sono analogamente delineati interinali poteri sospensivi in executivis (quale, ad esempio, l’eccezionale potere sospensivo attribuito al giudice a quo in pendenza del ricorso per Cassazione nel procedimento di esecuzione, a norma del dell’art. 666, comma 7) (Sez. 1, 2761/2017).
Così come il rigetto nel merito della domanda di revisione determina la ripresa dell’esecuzione della pena (art. 637, comma 4), è solo l’accoglimento della domanda medesima, con conseguenti revoca della sentenza di condanna ed emissione di sentenza di proscioglimento (art. 637, comma 2), che determina, con effetto ex nunc, il definitivo venir meno della sentenza di condanna, costituente il titolo per la sua esecuzione (Sez. 1, 7252/2018).
Il provvedimento con cui, in caso di rigetto dell’istanza di revisione il giudice, ove sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, prevista dall’art. 635, comma 1, dispone che riprenda l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è un atto dovuto che segue le sorti della sentenza, non diventando esecutivo se non quando questa diviene irrevocabile, il che giustifica la non impugnabilità autonoma della suddetta statuizione e, per converso, l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza, sia essa o meno incorporata nella sentenza, con cui in dibattimento si dispone la cessazione di efficacia delle misure cautelari personali per intervenuta condanna a pena condizionalmente sospesa, la cui esecutività non dipende dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna (Sez. 5, 18779/2015).
Non può estendersi all’impugnazione avverso il provvedimento di cui all’art. 635, la previsione di cui all’art. 633, che si riferisce esclusivamente all’istanza di revisione e può applicarsi alle ulteriori richieste formulate in tale procedimento, ma non anche alle eventuali impugnazioni connesse (Sez. 4, 10565/2018).
Il provvedimento con il quale il giudice, nel pronunciare sentenza di rigetto della richiesta di revisione, dispone, ai sensi dell’art. 637, comma 4, la ripresa dell’esecuzione della pena, precedentemente sospesa ai sensi dell’art. 635, ha effetto immediato, indipendentemente dall’eventuale impugnazione della suddetta sentenza; ciò in considerazione sia del principio generale dell’immediata eseguibilità dei provvedimenti in materia di libertà (art. 588, comma 2), sia del fatto che tanto la sospensione quanto il ripristino dell’esecuzione costituiscono vicende interne ad un unico rapporto esecutivo, avente il suo titolo nella sentenza irrevocabile che ha formato oggetto della richiesta di revisione e non in quella che respinge tale richiesta (Sez. 1, 44724/2016).
Sia quando lo strumento per determinare l’adeguamento alla pronuncia definitiva emessa dalla Corte di Strasburgo si identifichi nell’istituto della revisione, come additivamente modellato dalla sentenza 113/2011 della Corte costituzionale, sia quando si individuino, ove del caso, altri strumenti per realizzare l’adeguamento suddetto, resta il dato ineludibile che l’intervento, ove possibile anche cautelare (così ex art. 635, in ipotesi di revisione), del giudice interno implica innanzi tutto l’accoglimento del ricorso in tema di violazione della equità del processo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con decisione definitiva.
Soltanto dopo tale approdo potranno aversi la susseguente proposizione della congrua istanza innanzi al giudice interno e la delibazione da parte di quest’ultimo, anche alla luce della decisione sovranazionale, delle condizioni dell’azione ulteriormente proposta (Sez. 1, 16900/2018).