Art. 636 - Giudizio di revisione
1. Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell’articolo 601.
2. Si osservano le disposizioni del titolo I e del titolo II del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione.
Rassegna giurisprudenziale
Giudizio di revisione (art. 636)
L’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634, anche con sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell’art. 636 (SU, 18/1998).
Nel giudizio di revisione, nel quale si osservano le disposizioni sul dibattimento (Titolo I e II del libro VII), in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione (art. 636, comma 2), si procede dunque alla fase del concreto “giudizio”, da svolgersi nel contraddittorio delle parti; all’esito, la Corte di Appello pronuncerà una sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 637).
Dunque, l’attuale sistema codicistico, pur senza riproporre la diversa competenza attribuita dalla disciplina previgente alla Corte di Cassazione (fase rescindente) ed alla Corte di Appello (fase rescissoria), comunque delinea una duplice dimensione del giudizio di revisione, seppur dinanzi ad un unico organo giurisdizionale funzionalmente competente (la Corte di Appello).
La preliminare delibazione dell’ammissibilità, invero, integra, in caso di positiva valutazione della astratta capacità dimostrativa del novum dedotto, la “fase rescindente”, mentre, in caso di esito positivo, la “fase rescissoria” si articola mediante svolgimento del giudizio di merito, con assunzione, nel contraddittorio delle parti, delle relative prove, e successiva valutazione.
In tal senso si sono espresse altresì le Sezioni unite di questa Corte, che hanno affermato che il processo di revisione si sviluppa in due fasi, l’una rescindente e l’altra rescissoria: la prima è costituita dalla valutazione – che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio – dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli (SU, 18/1998).
Tale duplice dimensione appare, del resto, confermata anche dalla differente competenza individuata in caso di accoglimento dell’impugnazione: invero, sia l’ordinanza di inammissibilità (art. 634, comma 2), sia la sentenza (di accoglimento o di rigetto) pronunciata nel giudizio di revisione (art. 640) sono ricorribili per cassazione; tuttavia, mentre nella prima ipotesi, in caso di accoglimento, il rinvio deve essere disposto ad altra Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 (art. 634, comma 2), nella seconda ipotesi il rinvio va disposto ad altra sezione della medesima Corte di appello.
In tal senso, del resto, si è espressa la più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di revisione, il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531; detta valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 5, 15403/2014); la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purchè, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 6, 20022/2014).
Al riguardo, infatti, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l’esame preliminare della Corte d’appello in ordine al presupposto della non manifesta infondatezza deve essere limitato ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l’eventuale sussistenza di un’infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, 2437/2010).
In tema di revisione, sussiste distinzione logica-funzionale tra la fase rescindente – avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile “ictu oculi”, da parte del “novum” dedotto – e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (Sez. 3, 15402/2016) (la riassunzione si deve a Sez. 5.
In tema di revisione, il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare - ove eventualmente accertati - che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella “noviter producta”, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 (Sez. 5, 15403/2014).
In tema di giudizio di revisione, l’inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza sussiste se le ragioni poste a suo fondamento risultino, dalla domanda in sé e per sé considerata, evidentemente inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, essendo invece riservata alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Sez. 6, 35274/2018).
Nell’ambito del giudizio di revisione, sussiste distinzione logica-funzionale tra il momento inerente alla preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento all’astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ictu oculi, da parte del novum dedotto, rispetto alla fase successiva.
Quest’ultima si introduce con la citazione del condannato, emessa ai sensi dell’art. 636 e dà luogo alla celebrazione del giudizio di revisione, con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio, proprie del dibattimento, dunque, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (Sez. 5, 32625/2018).
Il decreto di citazione che introduce il giudizio di revisione, ai sensi dell’art. 636, comma 1, è atto al quale è preposto il Presidente della Corte di appello. Sicché a tale decreto non può essere attribuita efficacia di giudicato interno, anche implicito, di ammissibilità dell’istanza di revisione, tenuto conto che tale giudizio, anche a norma dell’art. 634, appartiene esclusivamente all’organo collegiale preposto a celebrare il successivo procedimento di revisione (Corte di appello).
Detto giudizio, infatti, può essere concluso con rigetto ed anche con declaratoria d’inammissibilità, senza procedere all’acquisizione della prova sulla quale fonda l’istanza di revisione o all’esito dell’acquisizione della stessa. A tale convincimento si giunge reputando applicabile, al giudizio di revisione, la previsione di cui all’art. 591, comma 4, in base alla quale, quando l’inammissibilità non è stata rilevata d’ufficio prima dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, questa può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento.
Tanto in ossequio al richiamo, operato dal comma primo dell’art. 636, all’art. 601 e, dunque, alle norme che operano per il giudizio di appello. Da tali considerazioni deriva, dunque, la carenza di interesse a ricorrere avverso l’atto in questione, considerato in modo autonomo rispetto ai provvedimenti conclusivi della fase successiva, dallo stesso introdotta ai sensi dell’art. 636 (Sez. 5, 32625/2018).