Art. 637 - Sentenza
1. La sentenza è deliberata secondo le disposizioni degli articoli 525, 526, 527 e 528.
2. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo.
3. Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.
4. In caso di rigetto della richiesta, il giudice condanna la parte privata che l’ha proposta al pagamento delle spese processuali e, se è stata disposta la sospensione, dispone che riprenda l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
Rassegna giurisprudenziale
Sentenza (art. 637)
Il provvedimento con il quale il giudice, nel pronunciare sentenza di rigetto della richiesta di revisione, dispone, ai sensi dell’art. 637, comma 4, la ripresa dell’esecuzione della pena, precedentemente sospesa ai sensi dell’art. 635, ha effetto immediato, indipendentemente dall’eventuale impugnazione della suddetta sentenza; ciò in considerazione sia del principio generale dell’immediata eseguibilità dei provvedimenti in materia di libertà (art. 588, comma 2), sia del fatto che tanto la sospensione quanto il ripristino dell’esecuzione costituiscono vicende interne ad un unico rapporto esecutivo, avente il suo titolo nella sentenza irrevocabile che ha formato oggetto della richiesta di revisione e non in quella che respinge tale richiesta (Sez. 1, 44724/2016).
Sia quando lo strumento per determinare l’adeguamento alla pronuncia definitiva emessa dalla Corte di Strasburgo si identifichi nell’istituto della revisione, come additivamente modellato dalla sentenza 113/2011 della Corte costituzionale, sia quando si individuino, ove del caso, altri strumenti per realizzare l’adeguamento suddetto, resta il dato ineludibile che l’intervento, ove possibile anche cautelare (così ex art. 635, in ipotesi di revisione), del giudice interno implica innanzi tutto l’accoglimento del ricorso in tema di violazione della equità del processo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con decisione definitiva.
Soltanto dopo tale approdo potranno aversi la susseguente proposizione della congrua istanza innanzi al giudice interno e la delibazione da parte di quest’ultimo, anche alla luce della decisione sovranazionale, delle condizioni dell’azione ulteriormente proposta (Sez. 1, 16900/2018).
La revisione è pur sempre un mezzo d’impugnazione straordinario e non un rimedio utilizzabile per dedurre o fare valere successivamente qualsiasi negligenza della parte o omesso rilievo del giudice ancorché non diretta al riconoscimento dell’innocenza del condannato, tanto più che l’art. 637 comma 3 vieta di pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.
La prescrizione, essendo legata al decorso del tempo, assume rilevanza solo a partire da un determinato momento, non può essere assimilata alle prove acquisite al processo ma non valutate, le quali, secondo qualche decisione di questa Corte, non rientrerebbero nel divieto di cui all’art. 637 comma 3.
Tenuto conto della rilevata natura del giudizio di revisione e ricordato che in tema di cause di estinzione del reato, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, opera quale causa estintiva solo nella fase di cognizione, mentre l’eventuale conseguimento del titolo dopo il passaggio in giudicato della sentenza non può avere alcun effetto estintivo del reato (Sez. 3, 32706/2015), si deve trarre la conclusione dell’inammissibilità di una richiesta di revisione fondata su una rilevata causa estintiva venuta in essere addirittura in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 3, 28530/2018).
Così come il rigetto nel merito della domanda di revisione determina la ripresa dell’esecuzione della pena (art. 637, comma 4), è solo l’accoglimento della domanda medesima, con conseguenti revoca della sentenza di condanna ed emissione di sentenza di proscioglimento (art. 637, comma 2) che determina, con effetto ex nunc, il definitivo venir meno della sentenza di condanna, costituente il titolo per la sua esecuzione (Sez. 1, 7252/2018).
Per l’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di una nuova prova, il giudice deve valutare non solo l’affidabilità della stessa, ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, del quale occorre quindi identificare il tessuto logico-giuridico (Sez. 5, 10091/2018).
L’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634, anche con sentenza, successivamente all’instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell’art. 636 (SU, 18/1998).
Nel giudizio di revisione, nel quale si osservano le disposizioni sul dibattimento (Titolo I e II del libro VII), in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione (art. 636, comma 2), si procede dunque alla fase del concreto “giudizio”, da svolgersi nel contraddittorio delle parti; all’esito, la Corte di Appello pronuncerà una sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 637).
Dunque, l’attuale sistema codicistico, pur senza riproporre la diversa competenza attribuita dalla disciplina previgente alla Corte di Cassazione (fase rescindente) ed alla Corte di Appello (fase rescissoria), comunque delinea una duplice dimensione del giudizio di revisione, seppur dinanzi ad un unico organo giurisdizionale funzionalmente competente (la Corte di Appello).
La preliminare delibazione dell’ammissibilità, invero, integra, in caso di positiva valutazione della astratta capacità dimostrativa del novum dedotto, la “fase rescindente”, mentre, in caso di esito positivo, la “fase rescissoria” si articola mediante svolgimento del giudizio di merito, con assunzione, nel contraddittorio delle parti, delle relative prove, e successiva valutazione.
In tal senso si sono espresse altresì le Sezioni unite di questa Corte, che hanno affermato che il processo di revisione si sviluppa in due fasi, l’una rescindente e l’altra rescissoria: la prima è costituita dalla valutazione – che avviene de plano, senza avviso al difensore o all’imputato della data fissata per la camera di consiglio – dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove”, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli (SU, 18/1998).
Tale duplice dimensione appare, del resto, confermata anche dalla differente competenza individuata in caso di accoglimento dell’impugnazione: invero, sia l’ordinanza di inammissibilità (art. 634, comma 2), sia la sentenza (di accoglimento o di rigetto) pronunciata nel giudizio di revisione (art. 640) sono ricorribili per cassazione; tuttavia, mentre nella prima ipotesi, in caso di accoglimento, il rinvio deve essere disposto ad altra Corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’art. 11 (art. 634, comma 2), nella seconda ipotesi il rinvio va disposto ad altra sezione della medesima Corte di appello.
In tal senso, del resto, si è espressa la più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di revisione, il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531; detta valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 5, 15403/2014); la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purchè, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 6, 20022/2014).
Al riguardo, infatti, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l’esame preliminare della Corte d’appello in ordine al presupposto della non manifesta infondatezza deve essere limitato ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l’eventuale sussistenza di un’infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, 2437/2010).
In tema di revisione, sussiste distinzione logica-funzionale tra la fase rescindente - avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile “ictu oculi”, da parte del “novum” dedotto - e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (Sez. 3, 15402/2016) (la riassunzione si deve a Sez. 5, In tema di revisione, il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella “noviter producta”, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 (Sez. 5, 15403/2014).
Mette conto ripercorrere, in sintesi, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità circa l’attitudine degli accertamenti tecnico-scientifici ad assumere valenza di prova nuova ex art. 630, comma 1, lett. c).
Il più risalente indirizzo si muoveva all’interno di coordinate che escludevano in radice l’idoneità di una diversa e nuova valutazione tecnico-scientifica dei dati già noti ad integrare la prova nuova ai fini della revisione: si affermava, infatti, che siffatta valutazione è destinata a risolversi in apprezzamenti critici di elementi già conosciuti e valutati nel giudizio, come tali inammissibili (Sez. 2, 5494/1995), ossia nella reiterazione di apprezzamenti critici in ordine a dati ontologici ed emergenze oggettive già conosciuti e apprezzati nel giudizio, in violazione del principio dell’improponibilità, mediante la revisione, di ulteriori prospettazioni di situazioni già constatate (Sez. 1, 1095/1998).
Nei termini indicati, l’orientamento più risalente svalutava il dinamismo intrinseco alla ricerca scientifica e il suo procedere attraverso progressive falsificazioni: sotto questo profilo, l’orientamento più risalente «rifiuta l’idea che nella nozione di scienza sia insito il concetto di fallibilità, di relatività, di evoluzione; rifugge il metodo della smentita e della falsificabilità, nonché la ricerca e la valutazione di altre differenti ricostruzioni del fatto storico al fine di dimostrare che le alternative non sono ragionevolmente configurabili; non accetta la prospettiva che l’utilizzazione di un diverso metodo, pur se applicato agli stessi elementi, possa produrre esiti affatto diversi; rifugge la dimostrazione dell’applicabilità di leggi scientifiche alternative che diano al fatto provato una spiegazione differente» (Sez. 1, 15139/2011).
In questa prospettiva (e fermo restando il limite invalicabile posto dall’art. 637, comma 3, in forza del quale, in sede di revisione, il proscioglimento non può essere pronunciato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio), si apprezza l’approdo della giurisprudenza di legittimità verso una ridefinizione della valenza della valutazione tecnico-scientifica: si è infatti affermato che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti ai periti e al giudice può costituire “prova nuova” ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), quando risulti fondata su nuove metodologie, dal momento che la novità di queste ultime e, correlativamente, dei principi tecnico-scientifici applicati, può, in effetti, condurre alla conoscenza non solo di valutazioni diverse, ma anche di veri e propri fatti nuovi, a condizione che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica.
Se, dunque, costituisce “prova nuova” quella che mira ad introdurre elementi di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio (Sez. 6, 53428/2014), alla stessa conclusione deve giungersi con riferimento alla diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali, quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (Sez. 6, 13930/2017).
Di qui, una duplice, ulteriore conclusione: in primo luogo, il superamento – ovviamente alle condizioni indicate – di quello che in dottrina è stato indicato come il dogma della “non novità” di una perizia, posto che, come affermato da questa Corte, una perizia può costituire prova nuova se, appunto, basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati (Sez. 6, 34531/2013); in secondo luogo, il rilievo che anche le prove incidenti su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria possono rivestire carattere di novità ai fini del giudizio di revisione, purché siano fondate su tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili, sicché la novità della prova scientifica può essere correlata all’oggetto stesso dell’accertamento oppure al metodo scoperto o sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, di per sé idoneo a produrre nuovi elementi fattuali (la riassunzione si deve a Sez. 5, 10523/2018).