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Art. 644 - Riparazione in caso di morte

1. Se il condannato muore, anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta.

2. A tali persone, tuttavia, non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate dall’errore a ciascuna persona.

3. Il diritto alla riparazione non spetta alle persone che si trovino nella situazione di indegnità prevista dall’articolo 463 del codice civile.

Rassegna giurisprudenziale

Riparazione in caso di morte (art. 644)

In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’indennizzo spetta - in ipotesi di morte dell’istante - iure proprio” e non “iure hereditario alle persone indicate nell’art. 644 comma 1 (Sez. 7, 16962/2017).

La possibilità di far valere  iure proprio e non già iure hereditario  un diritto omogeneo, qualitativamente e quantitativamente, a quello, in tesi, spettante al condannato, in caso di revisione, ovvero al soggetto sottoposto a misura custodiale, in caso di riparazione per ingiusta detenzione, ancorché al momento della morte dello stesso non ne fossero ancora maturate tutte le condizioni, è espressamente riconosciuta dall’art. 644 comma 1, “al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione” con il condannato, ancorché questi sia deceduto “prima del procedimento di revisione” o, in caso di ingiusta detenzione, prima della sentenza assolutoria (Sez. 4, 34265/2014).

La riparazione per l’ingiusta detenzione ha natura di indennizzo conseguente all’atto lecito dannoso e pertanto, pur attribuendo l’art. 644 agli eredi un diritto “iure proprio”, esso è comunque commisurato a quello della persona defunta, con la conseguenza che i prossimi congiunti possono far valere in giudizio il danno subito dal defunto.

Su tale premessa si reputa che non sussiste l’onere dei congiunti subentrati, ex art. 644 comma 1, richiamato dall’art. 315, di provare il pregiudizio subito nella propria sfera a causa dell’ingiusta detenzione del congiunto, in quanto essi subentrano nel diritto all’indennità dovuta a quest’ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità commisurata alle ripercussioni di detta ingiusta detenzione nella propria sfera personale (Sez, 4, 32176/2014).