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Art. 416 - Presentazione della richiesta del pubblico ministero

1. La richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice. La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dall’articolo 415-bis, nonché dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all’articolo 415-bis, comma 3.

2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove.

2-bis. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589-bis del codice penale, la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari.

Rassegna giurisprudenziale

Presentazione della richiesta del pubblico ministero (art. 416)

Nella pronunzia 142/2009 della Consulta è stata ritenuta l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 416, sollevata in riferimento agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 3 Cost., nella parte in cui non prevede la sanzione di nullità per i casi in cui ii fascicolo trasmesso al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio sia predisposto senza l’osservanza delle prescrizioni relative alla formazione dei fascicoli (artt. 130 Att. e 3 DM 334/1989).

È stato considerato che l’intervento additivo richiesto dal rimettente  mediante l’introduzione di una nuova causa di nullità  avrebbe avuto l’effetto di determinare una eccessiva rigidità delle conseguenze derivanti da un’irregolare formazione del fascicolo, evenienza alla quale può porsi rimedio attraverso l’intervento del giudice, che può sollecitare il PM a riordinare il fascicolo nel rispetto delle norme relative alla sua formazione, rinviando, se del caso, anche l’udienza.

La regressione del procedimento che conseguirebbe alla declaratoria di nullità potrebbe, poi, risultare contraria agli stessi legittimi interessi delle parti e in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo fissato dall’art. 111, comma 2 Cost.

Di conseguenza, la violazione delle prescrizioni da osservare nella formazione dei fascicoli processuali, con riguardo proprio alla numerazione delle singole pagine ed alla predisposizione dell’indice, non è causa di nullità (Sez. 5, 30115/2018).

Il D. Lgs. 231/2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l’accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt. 34-82 del testo normativo.

Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l’art. 34 aggiunge che il rito è regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l’art. 35 prevede che all’impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le disposizioni processuali relative all’imputato».

La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell’accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’ente strettamente correlate alla vicinanza dell’illecito amministrativo al fatto-reato, cosicché le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l’atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale.

Con specifico riguardo ai requisiti di validità dell’atto con il quale viene contestato all’ente l’illecito amministrativo, individuato dall’art. 59 D. Lgs. 231/2001 in uno degli atti elencati nell’art. 405, comma 1, risulta assente una disciplina speciale. In presenza del primo dei presupposti, ossia l’assenza di una disciplina speciale, occorre dunque verificare se vi sia compatibilità tra il rito tipico della responsabilità degli enti e le norme del codice di procedura penale, con specifico riguardo, per quanto qui d’interesse, alla contestazione formulata mediante richiesta di rinvio a giudizio.

L’ente ricorrente invoca, infatti, l’applicazione in suo favore della regola, stabilita dall’art. 416, comma 1, secondo la quale la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non sia preceduta dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia tempestivamente formulato la relativa istanza.

Si chiede, in sostanza, che la previsione dell’art. 59 D. Lgs. 231/2001 venga integrata da una norma prevista dal codice di rito a garanzia dell’esercizio di difesa della persona indagata.

Va considerato che il limite descritto in termini di «compatibilità» attiene alla struttura del procedimento, dovendosi ritenere espunti dal rito speciale quegli istituti incompatibili con l’assenza di misure cautelari personali coercitive e di controllo giurisdizionale in fase di archiviazione che connota la struttura di tale rito.

Conseguentemente, superano il vaglio di compatibilità quelle norme del codice di rito che regolino scansioni procedimentali ed attività processuali non estranee al rito speciale nella struttura delineata dal legislatore.

Sulla base di tale premessa, risulta evidente la compatibilità tra i presupposti di validità della richiesta di rinvio a giudizio disciplinati dall’art. 416, comma 1, ed il rito speciale nei confronti dell’ente, trattandosi di regole che s’inseriscono in una scansione procedimentale espressamente richiamata dall’art. 59 e che riguardano la garanzia del diritto di difesa, ossia di un principio costituzionale sotteso alle disposizioni del codice di rito richiamate in chiave integratrice dall’art. 34.

D’altro canto, nel caso concreto lo stesso organo dell’accusa ha ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 415-bis comunicando all’ente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, tuttavia, trascurando di convocare il rappresentante dell’ente per rendere l’interrogatorio. Si deve considerare, inoltre, che a norma dell’art. 39, comma 1, l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo.

La necessaria alterità, imposta dalla legge, della persona dell’imputato e del legale rappresentante dell’ente al quale sia contestata la responsabilità amministrativa, doveroso riscontro al possibile conflitto d’interessi espresso anche dalle incompatibilità a testimoniare previste dagli artt. 39, comma 2, e 44, comma 1, conferma la correttezza della conclusione appena raggiunta. L’eccezione, tempestivamente proposta sin dal primo grado di giudizio, avrebbe, dunque, imposto la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente il cui legale rappresentante non era stato invitato a presentarsi a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, tanto più che, nel caso di specie, tale parte processuale, necessariamente distinta dall’imputato, non aveva già ricevuto, anche per atto equipollente, la contestazione degli addebiti (Sez. 4, 31641/2018).

L’avviso di conclusione delle indagini è, in vero, atto dovuto del PM che serve a porre l’indagato in condizioni di interloquire, nel termine di 20 giorni sulla stessa deliberazione di chiusura delle indagini, mediante l’offerta di ragioni difensive di carattere sostanziale e tecnico, ostative dell’esercizio dell’azione penale e, a questo fine, non è possibile scindere la deliberazione personale del magistrato del PM di chiudere le indagini, per sé provvisoria e revocabile, dall’esecuzione da parte del suo ufficio della comunicazione ai soggetti legittimati a riceverla.

E qualora la persona sottoposta ad indagini abbia nominato un difensore di fiducia prima che l’avviso gli sia notificato, lo stesso avviso deve essere notificato anche a tale difensore, ancorché nel disporne la notifica dell’avviso il PM abbia indicato quale altro destinatario, oltre all’indagato, un difensore di ufficio non potendo l’AG sostituirsi all’imputato, ovvero all’indagato, nella scelta da questi compiuta, se non violando palesemente i principi fondamentali in tema di diritto alla difesa.

Dalla mancata notifica dell’avviso previsto dall’art. 415-bis nei termini appena descritti, consegue, a mente dell’art. 416, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio ovvero del decreto di citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 552, comma 2. Si tratta di una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 1, 2382/2018).

L’art. 416, comma 1 limita la previsione di nullità al caso della mancanza dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Previsione, questa, che non può essere estesa alle situazioni di carenza di singoli contenuti propri dell’avviso per il solo fatto che una distinta causa di nullità sia prevista per l’omissione riguardante il diverso ed eventualmente successivo atto dell’invito dell’imputato a presentarsi per rendere l’interrogatorio richiesto all’esito nella notifica dell’avviso di conclusione dalle indagini preliminari.

Al contrario, la specifica previsione di nullità per l’omissione dell’interrogatorio, e non anche per il mancato espletamento delle indagini richieste dall’imputato (Sez. 1, 16908/2009).

Non è configurabile l’inosservanza da parte del PM dell’obbligo di cui all’art. 416, comma 2, di depositare, con la richiesta di rinvio a giudizio, tutta la documentazione relativa alle indagini espletate, allorché, pur difettando l’immediata disponibilità di parte del materiale probatorio, esso risulti, in base gli atti, trasmesso sicché la difesa è in condizione di chiederne l’acquisizione al fine di prenderne visione ed estrarne copia (Sez. 6, 10567/2018).

Le Sezioni unite (SU, 33885/2010) hanno chiarito che la mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini ex art. 414 determina non solo l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione ma anche la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del PM. Ciò vale anche qualora il nuovo atto di impulso processuale passi attraverso un vaglio preventivo del giudice, come nel caso della richiesta di rinvio a giudizio, che dà luogo all’udienza preliminare.

L’esercizio dell’azione penale è, infatti, espressione di una scelta che il pubblico ministero compie , in relazione a una determinata notitia criminis, al termine delle indagini preliminari in alternativa alla richiesta di archiviazione, sicché, archiviato il procedimento, il p.m. perde il potere di adottare ulteriori opzioni sul medesimo fatto, a meno che non chieda e ottenga il decreto di riapertura delle indagini, dal quale infatti consegue una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (Sez. 2, 41573/2017).

La condizione che consente di escludere la sussistenza della nullità della richiesta di rinvio a giudizio, qualora il PM, successivamente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, non dia corso alla richiesta della difesa di ottenere copia di tutte le registrazioni delle conversazioni intercettate, è rappresentata dall’essere stata la detta richiesta proposta dopo l’attivazione da parte dello stesso PM dello speciale procedimento di cui all’art. 268, commi 6, 7 e 8.

Diverso, quindi, appare il caso in cui lo stesso non sia stato attivato, in quanto appare comunque necessario tutelare le esigenze difensive in funzione delle quali si richieda copia degli atti di indagine, intercettazioni incluse.

Nel caso in esame il provvedimento di diniego del PM finisce, sostanzialmente, per precludere in radice al difensore la possibilità di procedere ad un vaglio critico del tenore effettivo delle captazioni, determinando quindi una illegittima compressione del diritto di difesa, con conseguente integrazione di una nullità di ordine generale e regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lettera c).

Deve quindi ritenersi che i casi di nullità contemplati dall’art. 416, specificamente inerenti alla richiesta di rinvio a giudizio, si pongano su di un piano operativo e funzionale del tutto diverso rispetto a quello in cui si collocano le nullità di ordine generale, individuate dall’art. 178, tra cui la nullità generale a regime intermedio verificatasi nel caso in esame, tempestivamente eccepita nel corso dell’udienza preliminare.

In altri termini, la previsione di casi tassativi di nullità, previsti dall’ art. 416, non esclude, in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio, così come in relazione agli altri provvedimenti ed atti in cui si snoda il procedimento, l’incidenza che su di essi possa avere il verificarsi di uno dei casi di nullità previsti in via generale dall’ordinamento, sub specie dall’art. 178 (Sez. 5, 30409/2017).

In tema di decorso del termine di prescrizione previsto dall’art. 22 del D. Lgs. 231/2001 per le sanzioni amministrative conseguenti al riconoscimento della responsabilità da reato delle persone giuridiche. In materia con specifico riguardo alla identificazione dell’atto interruttivo della prescrizione si registra un contrasto di giurisprudenza.

Da un lato si è deciso che la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione solo se, oltre che “emessa”, sia stata anche “notificata” entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. r), L. 300/2000, le norme del Cod. civ. che regolano l’operatività dell’interruzione della prescrizione (Sez. 6, 18257/2015).

Secondo altro orientamento, che merita di essere preferito, in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del D. Lgs. 231/2001.

La ragione per la quale si predilige tale seconda interpretazione sta nel fatto che l’art. 59 (richiamato dall’art. 22 dello stesso testo) rinvia al 405 comma 1 che individua come atto di contestazione dell’illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge.

Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente infatti di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l’effetto interruttivo alla notifica dell’avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto. Il collegio ricorda inoltre che in tema di interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo.

Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell’interesse punitivo (Sez. 2, 41012/2018).