x

x

Art. 262 - Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione

1. Chiunque rivela notizie, delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.

2. Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o l’efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena è della reclusione non inferiore a dieci anni.

3. Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la reclusione non inferiore a quindici anni; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena di morte (1).

4. Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia.

5. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso.

(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1 del DLGS LGT 224/1944 e sostituita con la pena dell’ergastolo.

Rassegna di giurisprudenza

Il delitto di rivelazione di notizie di cui sia vietata la divulgazione è disciplinato dall’art. 262, nel cui primo comma è stabilito: «Chiunque rivela notizie, delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni». Tale disposizione deve essere correlata alla norma contenuta nel quarto comma della stessa previsione, a tenore della quale: «Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia». Allo scopo di inquadrare la fattispecie in esame è necessario premettere che l’originaria disciplina codicistica del segreto di Stato (artt. 256-263) ruotava attorno alle due categorie tradizionali delle notizie segrete e delle notizie riservate.

Le notizie segrete erano quelle che, nell’interesse della sicurezza o nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato dovevano rimanere segrete; le notizie riservate, invece, erano quelle di cui l’autorità competente vietava la divulgazione in ossequio agli stessi interessi politico-statuali. Successivamente, il legislatore  sollecitato da alcuni interventi della Corte costituzionale (sentenze 82/1976 e 86/1977)  rivisitava la materia, introducendo la L. 801/1977 recante «Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato», attraverso la quale operava una radicale ridefinizione delle aree di segretezza penalmente rilevanti, secondo parametri di legalità oggettivi e vincolanti per la pubblica amministrazione, destinati a sostituire la nozione di segreto di Stato tradizionale.

A tale intervento normativo facevano seguito la L. 241/1990 recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» e la L. 124/2007 recante «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto», che, in tema di notizie segrete o riservate, davano vita a un sistema normativo costituente uno sviluppo delle citate sentenze della Corte costituzionale e con i principi che vi erano affermati.

Da questo stratificato contesto normativo e dagli interventi giurisprudenziali succedutisi nel corso degli anni discende che, a seguito delle riforme dell’originario impianto codicistico, gli elementi costitutivi della nozione di segreto di Stato nelle fattispecie del codice penale sono rappresentati dall’inerenza delle notizie agli specifici interessi statuali che si sono richiamati e dall’idoneità della loro diffusione a recare un concreto pregiudizio agli stessi interessi. Questi requisiti oggettivi di pertinenza e di idoneità offensiva devono sussistere anche per la categoria delle notizie riservate, delle quali, pur conosciute o conoscibili da un numero indeterminato di persone in un determinato ambito, è vietata la divulgazione con apposito provvedimento dell’autorità amministrativa.

L’applicabilità di questi requisiti alle notizie riservate discende dalla loro omogeneità sostanziale rispetto alle notizie segrete, riguardando le relative informazioni categorie di interessi che giustificano il segreto di Stato secondo l’originaria norma dell’art. 12 L. 801/1977 (Sez. 1, 23036/2009). Si consideri, in proposito, che, come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza 295/2002, per notizie riservate, protette dall’art. 262, devono intendersi quelle assimilabili, sul piano dei requisiti oggettivi di pertinenza e di idoneità offensiva, alle notizie sottoposte a segreto di Stato. Ne consegue che la loro diffusione deve risultare idonea, al pari di quanto avviene per le notizie sottoposte a segreto di Stato, a recare un concreto pregiudizio agli stessi interessi, dovendosi evidenziare «non soltanto che le notizie riservate debbono inerire ai medesimi interessi che, a mente dell’art. 12 della legge n. 801 del 1977, giustificano il segreto di Stato; ma altresì che la loro diffusione deve risultare idonea - al pari di quanto avviene per le notizie sottoposte a segreto di Stato [...]  a recare un concreto pregiudizio ai predetti interessi» (Corte costituzionale, sentenza 295/2002).

La Corte costituzionale, al contempo, sottolineava che, il divieto di divulgazione, analogamente a quello impositivo del segreto di Stato, concorrendo a integrare la componente precettiva della norma incriminatrice, resta soggetto a sindacato di legittimità da parte del giudice penale, relativamente ai requisiti di attitudine offensiva della notizia che ne costituisce oggetto (sentenza 295 citata). In questo ambito, per inquadrare la nozione di segretezza, cui si correla la tutela delle notizie riservate prefigurata dall’art. 262 occorre richiamare la giurisprudenza consolidata di legittimità, secondo cui: «In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuate senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto» (Sez. 5, 15950/2015).

L’apposizione del segreto di Stato e il divieto di divulgazione, dunque, possono essere disposti dalle autorità competenti solo in relazione a finalità determinate, con la conseguenza che la natura segreta o riservata di un atto, di un documento o di una notizia, deve essere accertata, caso per caso, in relazione alle finalità indicate dal legislatore, come più volte ribadito dagli interventi normativi che si sono succeduti nel corso degli anni, a partire dalla L. 801/1977. Questo contesto normativo, ferma restando la distinzione tra segretezza e riservatezza, appare chiaramente caratterizzato dall’esigenza di assicurare che il regime di segretezza di atti, documenti o notizie risulti finalizzato, per il loro obiettivo contenuto, al perseguimento delle finalità indicate dalle leggi che si sono richiamate. Deve, al contempo, ribadirsi che il provvedimento impositivo del segreto di Stato ovvero recante il divieto di divulgazione di atti, documenti e notizie, concorrendo a integrare la fattispecie di cui all’art. 262, è soggetto al sindacato di legittimità del giudice penale sotto un duplice profilo. Tale sindacato, infatti, riguarda l’inerenza del segreto o del divieto di divulgazione a uno degli specifici interessi politico-statuali indicati dalla normativa di riferimento e l’idoneità della loro diffusione a recare un concreto pregiudizio agli interessi oggetto della tutela penale.

La segretezza di notizie e di documenti che possano essere classificati a fini di sicurezza, dunque, è soggetta al controllo di legalità da parte dell’autorità giudiziaria con riferimento all’effettiva lesione dell’interesse protetto secondo i parametri normativi che si sono richiamati (Sez. 6, 56776/1999). Si tratta, allora, di valutazioni e apprezzamenti che, anche in presenza di atti impositivi del divieto da parte dell’autorità amministrativa competente, concorrono a integrare la fattispecie incriminatrice, nel senso che l’elemento costitutivo della segretezza o della riservatezza della notizia può essere validamente assunto a fondamento di un giudizio di responsabilità, a condizione che concerna le finalità riconosciute dalla normativa di riferimento e fondanti il divieto di divulgazione. In questa cornice, il divieto di rivelazione imposto dall’art. 262 si riferisce a quelle sole notizie di cui la competente autorità amministrativa ha vietato la divulgazione, ritenendo di sottrarle a una conoscenza diffusa e indiscriminata, sulla base di valutazioni discrezionali e per tutelare interessi assimilabili a quelli protetti dal segreto di Stato.

Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata legittimità, secondo cui: «Il reato di rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione previsto dall’art. 262 ha ad oggetto non solo le notizie coperte dal segreto di Stato, ma anche quelle, diverse dalle prime, che l’autorità competente, in base a valutazioni discrezionali e per la tutela di interessi generali di natura assimilabile a quelli tutelati dal segreto di Stato, abbia ritenuto di sottrarre a una conoscenza diffusa e indiscriminata» (Sez. 1, 39514/2007; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, 47224/2013). La classificazione della notizia come riservata, dunque, possiede una valenza amministrativa, rispetto alla quale il giudice penale è competente a intervenire nei limiti che si sono evidenziati.

Ne discende che spetta all’autorità amministrativa accertare il carattere riservato della notizia, stabilendo, sulla base di una valutazione complessiva di tutti gli elementi a sua disposizione, se impedirne o meno la diffusione. In questo caso, pertanto, sarà l’autorità amministrativa, di volta in volta individuata, a stabilire la natura riservato della notizia, con apposito atto ovvero con gli altri strumenti consentiti dalla legge. Compete, invece, all’autorità giudiziaria verificare se ed eventualmente con quali modalità l’autorità amministrativa competente abbia manifestato la volontà che la notizia resti riservata, rispetto alle quali il giudice penale dispone di poteri che gli consentono di sindacare il merito della decisione entro limiti precisamente delimitati.

Ne deriva che soltanto l’accertamento processuale che le notizie riservate siano diventate di dominio pubblico priva di offensività le eventuali divulgazioni delle relative informazioni. La previsione dell’art. 262, infatti, configura un reato di pericolo volto a sanzionare la diffusione di notizie a soggetti diversi da quelli che, per i loro compiti istituzionali, espressamente demandatigli dallo Stato, debbano necessariamente conoscerle. Ne deriva ulteriormente che resta giuridicamente irrilevante che le notizie riservate siano note a un numero indeterminato di persone. La fattispecie in esame, infatti, punisce i soli comportamenti finalizzati a diffondere la conoscenza di notizie al di fuori delle persone che necessariamente debbono conoscerle per adempiere ai loro compiti istituzionali (Sez. 1, 3929/1989). L’esclusione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 262, dunque, può ipotizzarsi nelle sole ipotesi in cui l’agente sia convinto che la notizia di cui si assume la riservatezza sia di dominio pubblico (Sez. 1, 42887/2018).

Vanno comprese nella nozione della fattispecie di cui all’art. 262 tutte le notizie di cui l’autorità competente (nella specie il SISDE), in base a valutazioni di sua esclusiva competenza e per il migliore adempimento dei propri compiti istituzionali, abbia vietato la divulgazione, sottraendole alla libera circolazione, essendo esse, nell’interesse pubblico, conosciute o conoscibili solo da un ristretto novero di persone (Sez. 1, 39514/2007).

In tema di procacciamento e rivelazione di notizie di carattere segreto o riservato concernenti la sicurezza dello Stato, è sindacabile da parte del giudice il provvedimento impositivo del segreto ovvero del divieto di divulgazione, che concorre ad integrare l’elemento costitutivo della «segretezza» o «riservatezza» dei delitti di cui agli artt. 256, 261 e 262, in ordine al duplice profilo della pertinenza ed idoneità offensiva delle informazioni procurate o rivelate in relazione agli interessi pubblici indicati dall’art. 12 L. 801/1977 e della natura non eversiva dell’ordine costituzionale dei fatti segretati (in applicazione di tale principio, è stata ritenuta corretta sotto il profilo giuridico e logicamente motivata quanto all’apprezzamento del fatto la decisione di merito che aveva considerato idonea a mettere in pericolo la sicurezza dello Stato la divulgazione di documenti riservati in cui erano descritti compiti e poteri di organismi preposti alla sicurezza internazionale, erano elencati nominativi e qualifiche di funzionari UCSI, e, infine, si faceva riferimento a procedure di copertura per il porto d’armi ed ai documenti di riconoscimento del personale SISMI, mentre aveva escluso la riferibilità di tale tutela al contenuto del documento relativo all’impiego di «Operatori Speciali del Servizio Italiano» nell’organizzazione della «Guerra non ortodossa», finalizzata ad azioni di guerra e di sabotaggio sul territorio nazionale, sulla base del suo carattere eversivo dell’assetto costituzionale) (Sez. 1, 3348/2002).