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Art. 270-quater - Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale

1. Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

2. Fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, e salvo il caso di addestramento, la persona arruolata è punita con la pena della reclusione da cinque a otto anni (1).

(1) Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, DL 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 43/2015.

Rassegna di giurisprudenza

La tipicità delle due fattispecie descritte agli artt. 270-quater.1 e 270-quater che puniscono le condotte di arruolamento con finalità di terrorismo e quelle di organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (frutto di successive interpolazioni del sistema introdotte dall’art. 15, comma 1, DL 144/2005 convertito con modifiche nella L. 155/2005 e dall’art. 1 comma 2 DL 7/2015 convertito nella L. 43/2015) è caratterizzata dalla presenza in entrambe le disposizioni indicate della clausola di riserva che ne segna chiaramente il loro ambito di operatività e la loro differenza rispetto alla fattispecie ex art. 270-bis.

Da ciò deriva che le due ipotesi in esame – che hanno carattere residuale e una tipicità "ristretta" rispetto a: delitto di partecipazione ad associazione di tipo terroristico  sono configurabili solo nei casi in cui non ricorra l’anzidetta adesione alla struttura, tradottasi in una condotta di inserimento nella compagine associativa con affectio societatis piena. In altri termini esse condotte di organizzazione di trasferimenti e di arruolamento con finalità di terrorismo possono essere poste in essere solo da soggetti che non risultino parimenti estranei alla struttura e siano privi di affectio societatis. In queste ipotesi i singoli segmenti dell’azione posti in essere risulteranno punibili ai sensi delle disposizioni indicate.

Là dove, al contrario, si tratti di atti che siano stati posti in essere da soggetti già incardinati nella struttura plurisoggettiva e che siano, appunto, legati dall’elemento dell’affectio, risultando gli autori in essa struttura integralmente compenetrati, eventuali atti di organizzazione di viaggi o di arruolamento saranno punibili già a titolo di partecipazione e risulteranno assorbiti nella fattispecie anzidetta, contribuendo alla vita dell’ente e alla sua sopravvivenza e concorrendo a integrare segmenti del fatto tipico che contraddistingue il modello di incriminazione (Sez. 1, 49728/2018).

Appare necessario esplorare la nozione di arruolamento di cui all’art. 270-quater calando l’utilizzo del termine nel contesto espressivo globale della disposizione, tenendo presente la forte valorizzazione normativa dello scopo dell’atto qualificato come illecito. In tal senso, pur non potendosi certo equiparare il termine «arruolamento», scelto dal legislatore, al diverso e più ampio concetto di «reclutamento», è necessario affermare che il significato è qui equiparabile alla nozione di ingaggio, intesa come raggiungimento di un «serio accordo» tra soggetto che propone (il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo) e soggetto che aderisce.

Tale conclusione è imposta da più considerazioni, esprimibili nel modo che segue: a) la differenza obiettiva tra i concetti di reclutamento e arruolamento è presente nella legislazione italiana in virtù dell’avvenuta ratifica, con L. 210/1995, della convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989. Detta convenzione internazionale mira a reprimere il fenomeno dell’ingaggio, in formazioni militari o paramilitari, caratterizzato non già da adesione ideologica a scopi latamente politici o religiosi quanto dal vantaggio economico che ne deriva per il soggetto reclutato, in presenza delle condizioni e finalità dell’azione descritte nel testo dell’atto.

Ora, all’art. 4 della legge di ratifica si punisce espressamente la condotta del «reclutare», intesa  come precisato da Sez. 6, 36776/2003  come comprensiva di ogni attività di reperimento di persone disponibili ad operazioni militari mercenarie e di raggiungimento di un accordo, finalizzato al loro impiego.

Trattasi pertanto di condotta inclusiva  sotto il profilo del rilievo penale  della fase che precede l’accordo (oltre che l’effettivo inserimento nella struttura) ritenuta, in presenza del particolare finalismo, meritevole di sanzione sotto il profilo del reato consumato. b) la scelta, da parte del legislatore nel 2005, del termine «arruola» (in luogo di recluta) non può pertanto ritenersi priva di valore, nel senso che è da ritenersi espressiva  fermo restando quanto detto in precedenza – della volontà di ‘fissare’ il momento consumativo del reato in una fase più avanzata rispetto a quella della mera proposta (da parte del reclutante) o trattativa, anche in ragione del particolare settore in cui è collocata la norma (la finalità di terrorismo) e del relativo rischio di confondere l’attività di mero proselitismo ideologico con il fatto tipico di reato ; e) ciò, tuttavia, non consente di affermare che la consumazione del delitto di arruolamento debba essere collocata «oltre» rispetto al momento del raggiungimento del «serio accordo» tra arruolante e arruolato, ove l’accordo risulti qualificato dalla «doppia finalità» prevista dalla norma incriminatrice (compimento di atti di violenza o sabotaggio con finalità di terrorismo) e ciò in virtù del fatto che, oltre a quanto già detto, è il raggiungimento dell’accordo (nei suddetti termini) ad integrare il disvalore del fatto ed a porsi come momento di raggiungimento dell’elevato pericolo (in tesi presunto) cui è correlata la punibilità.

In effetti, ciò che la norma intende reprimere è l’accrescimento umano (anche un di un solo soggetto) della potenzialità di offesa del sottostante gruppo (militare, paramilitare, semplice cellula operativa) avente la finalità «specializzante» di cui all’art. 270 sexies  in ragione del particolare valore dei plurimi beni giuridici protetti  e tale effetto si raggiunge in virtù della conclusione dell’accordo, al di là degli eventi successivi, che non appaiono presi in considerazione da tale segmento del più ampio sistema di tutela. È stato, tra l’altro, evidenziato che la mancata punibilità nella previsione originaria della norma dell’arruolato, ben può essere dipesa dalla considerazione (lì dove gli atti programmati siano stati dal medesimo realizzati con inserimento effettivo nella struttura operativa) della sua possibile punibilità ai sensi dell’art. 270-bis (Sez. 5, 39430/2008) in una logica legislativa di estensione dell’area di punibilità incentrata, all’epoca, sulla condotta «concludente» dell’arruolante.

Del resto, l’assetto che qui si ricostruisce  con identificazione del momento consumativo del reato in quello del serio accordo  appare rafforzato, sul piano logico, proprio dalla recente introduzione della punibilità dell’arruolato, peraltro prevista con pena inferiore rispetto al massimo edittale stabilito per il partecipe, posto che viene valorizzato il semplice effetto di incremento della potenzialità di offesa del gruppo. Ciò che rileva è che l’accordo di arruolamento abbia non solo il carattere della serietà  intesa da un lato come autorevolezza della proposta (il proponente deve avere la concreta possibilità di inserire l’aspirante nella struttura operativa una volta concluso l’ingaggio) e dall’altro come fermezza della volontà di adesione al progetto  ma soprattutto sia caratterizzato in modo evidente dalla doppia finalizzazione prevista dalla norma (con relativa pienezza dell’elemento psicologico) il che giustifica la sua incriminazione, per quanto sinora detto.

Una volta raggiunto tale assetto  relativo alla consumazione del reato  non può, peraltro, escludersi in via generalizzante e dogmatica l’ipotesi del tentativo punibile in rapporto a condotte poste in essere dal soggetto proponente e tese, con i caratteri di cui all’art. 56, (ed in presenza dei descritti presupposti di contesto e finalistici) al raggiungimento del suddetto accordo. Non è infatti la particolare natura del reato (di pericolo) ad impedire  di per sè  l’applicazione della generale previsione estensiva di cui all’art. 56, quanto la struttura della singola fattispecie (il che rende non pertinenti i richiami esposti dal Tribunale ad arresti di questa corte relativi a reato del tutto diverso) e la possibilità o meno di identificare in concreto una «progressione della esposizione a pericolo» dei beni giuridici protetti, come ritenuto  pur nell’ovvio contrasto di opinioni  da autorevole dottrina.

Nel caso in esame, essendo il reato consumato incentrato su un evento (per quanto detto, il serio accordo) altamente pericoloso, è da ritenersi tollerabile ed identificabile in concreto (ferme restando le complessità probatorie) una progressione (nell’attività tesa alla promozione e realizzazione dell’accordo) tale da integrare la soglia di punibilità della condotta, con l’ovvia necessità di distinguere i caratteri del tentativo punibile rispetto alla attività di mero proselitismo o libera manifestazione del pensiero (Sez. 1, 40699/2015).