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Art. 366 - Rifiuto di uffici legalmente dovuti

1. Chiunque, nominato dall’autorità giudiziaria perito, interprete, ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 a euro 516 (1).

2. Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime.

3. Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all’autorità giudiziaria e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria.

4. Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa l’interdizione dalla professione o dall’arte.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 366 contempla varie modalità di consumazione del reato. Quella di cui al comma 1 è di tipo commissivo e a struttura di evento, poiché l’agente ottiene con mezzi fraudolenti il risultato di essere esentato dall’obbligo di comparire e di prestare l’ufficio richiestogli. Quella di cui ai commi 2 e 3 è di tipo omissivo, integrando in maniera propria il rifiuto penalmente sanzionato.

Orbene, se appare indubitabile che il dolo del reato, anche nella sua forma omissiva, è generico, nondimeno esso non può non tenere conto di alcune situazioni che l’ordinamento considera espressamente o è tenuto a considerare. Esse rilevano come cause scriminanti come nel caso degli impedimenti (ad es. il caso fortuito o la forza maggiore, art. 45, o lo stato di necessità, art. 54) o quando è la stessa legge a prevedere la facoltà di sottrarsi all’esercizio di determinate funzioni giudiziarie (art. 384), ma possono diversamente incidere anche sull’elemento psicologico del reato, in particolare quando il possesso delle ‘particolari competenze previste dalla legge conservi al consulente tecnico un ambito residuo di valutazioni tecniche opponibili anche al PM conferente l’incarico.

Il rifiuto opposto dal consulente può essere giustificato ove attenga a questioni riguardanti le modalità di conferimento e di espletamento dell’incarico, in maniera corrispondente al grado di specializzazione tecnica del consulente stesso o al livello tecnologico degli strumenti e/o dei materiali da impiegare (a mero titolo di esempio, si pensi ad una consulenza geologica comportante l’esecuzione di carotaggi profondi nel terreno con impiego di mezzi tecnici inadeguati per ragioni di contenimento della spesa), non potendo escludersi l’eventualità che un contrasto, limitato agli aspetti eminentemente tecnici dell’incarico, tra conferente ed incaricato possa dar luogo in determinate circostanze a divergenze inconciliabili che finiscono inevitabilmente per rifluire sulla accettazione stessa del mandato (Sez. 6, 42962/2016).

Il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti di cui all’art. 366 sanziona comportamenti prodromici all’assunzione di funzioni pubbliche, con l’esclusione, pertanto, di quelli riguardanti la fase dell’esecuzione dell’incarico, i quali possono rilevare ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 328, comma primo. Ne consegue che l’omesso deposito della relazione da parte di un consulente tecnico d’ufficio nominato in una causa civile integra il reato di cui all’art. 328, comma 1 (Sez. 6, 6903/2012).

Non integra il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti, previsto dall’art. 366 comma secondo, la condotta del perito che, nominato dal giudice per l’espletamento di un incarico, non compaia all’udienza fissata per il giuramento senza giustificare il motivo dell’assenza, non potendo essere equiparata la mancata comparizione al rifiuto di assumere l’incarico, in quanto tale comportamento non determina una situazione di ostacolo al funzionamento della giustizia, potendo il giudice disporre, in base all’art. 133., l’accompagnamento coattivo del perito (Sez. 6, 26925/2005).

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 366, riferito al rifiuto di assumere o di adempiere le funzioni di custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, occorre che l’incarico sia stato conferito dall’AG, tassativamente indicata dalla norma quale unico soggetto legittimato (fattispecie in cui è stata esclusa la sussistenza del reato, essendo stato conferito l’incarico da parte della polizia giudiziaria) (Sez, 6, 7762/2003).

Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 366 non è richiesto che il rifiuto di assumere l’incarico o le funzioni sia espressamente dichiarato, ma, pure non essendo sufficienti una mera tergiversazione o un perdurante ritardo ad adempiere, il rifiuto può desumersi dal comportamento tenuto dal soggetto attivo del reato quando esso si manifesti attraverso un fatto positivo univoco e concludente (Sez. 3, 5676/1982).