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Art. 319-quater - Induzione indebita a dare o promettere utilità (1)

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi (2).

2. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. (3)

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 75, lett. i), L. 190/2012.

(2) Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. h), L. 69/2015.

(3) l'ultimo periodo di questo comma (da "ovvero" in avanti) è stato aggiunto dall'art. 1, lettera c) del D. Lgs. 75/2020.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

Dopo quasi sei anni dall’entrata in vigore della cosiddetta legge anticorruzione (L. 190/2012), la giurisprudenza di legittimità continua ad essere impegnata nella elaborazione conseguente allo spacchettamento legislativo del previgente art. 317 nelle due fattispecie di concussione e d’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater). Si è registrato uno sforzo interpretativo volto a delineare i rapporti interni tra le fattispecie ed a definire i rapporti tra la nuova figura criminosa prevista dall’art. 319-quater e quelle più propriamente corruttive. L’elaborazione della Corte di cassazione ha originato anche un vivace dibattito dottrinario, caratterizzato da una diffusa rivisitazione critica non solo delle scelte legislative ma delle stesse opzioni della Corte, considerate, in taluni casi, influenzate da un approccio processuale - casistico, piuttosto che sistematico. Mentre le modificazioni apportate alla disciplina in tema di concussione hanno determinato un assetto nuovo e diverso, che, non avendo riferimenti preesistenti nel diritto vivente, ha posto una stringente esigenza di individuazione "ex novo" di nuovi criteri di interpretazione e di orientamento dell’interprete, viceversa, l’intervento di riforma in materia di corruzione ha operato in un ambito normativo che aveva già ricevuto rilevanti interventi conformativi da parte della giurisprudenza. Il punto di partenza è indubbiamente costituito dalla sentenza delle Sezioni unite (SU, 12228/2014) che, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale sorto immediatamente dopo l’entrata in vigore della L. 190, hanno affermato che sussiste continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319-quater; - l’abuso costrittivo ex art. 317 evoca una condotta di violenza e di minaccia con conseguente individuazione di un autore e di una vittima; - ai fini della configurazione del delitto di induzione indebita ex art. 319-quater, concorrono un elemento negativo, l’assenza di violenza-minaccia da parte dell’ intraneus, ed uno positivo, il conseguimento di un vantaggio indebito in capo all’extraneus. Le Sezioni unite, evidentemente consapevoli della difficoltà applicativa del criterio distintivo indicato ad una serie di situazioni non infrequenti, esplicitarono in motivazione la necessità di adattare e integrare il criterio generale in tutte quelle ipotesi caratterizzate dalla coesistenza, secondo differenti moduli di gradazione, del requisito del danno ingiusto e di quello del vantaggio indebito. Ci si riferisce alle situazioni cosiddette miste, di minaccia-offerta o minaccia-promessa, ai casi non classificabili, in cui è necessario impiegare il criterio sussidiario del bilanciamento dei beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale, alle ipotesi fondate sulla minaccia dell’uso di un potere discrezionale, alla prospettazione di un danno generico, per mezzo di autosuggestione o per metus ab intrinseco, alla presenza del c.d. abuso di qualità. In tali situazioni "il giudice dovrà procedere, innanzi tutto, all’esatta ricostruzione del fatto, cogliendone gli aspetti più qualificanti, e quindi al corretto inquadramento nella norma incriminatrice di riferimento, lasciandosi guidare, alla luce comunque dei parametri rivelatori dell’abuso costrittivo o di quello induttivo, verso la soluzione più applicativa più giusta" (cosi, testualmente, le Sezioni unite). Si è sottolineato come, dall’esame della giurisprudenza di legittimità successiva alla decisione delle Sezioni unite, sia individuabile: 1) un gruppo di pronunce in cui la Corte, rigettando i ricorsi, ha confermato la qualificazione giuridica del fatto, riconducendola alla fattispecie di concussione anche nella nuova formulazione normativa; 2) un gruppo di sentenze in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione impugnata perché, in relazione alla condotta originariamente contestata ai sensi del previgente art. 317, non poteva ritenersi raggiunta la prova necessaria per l’applicazione del criterio discretivo generale indicato dalle Sezioni unite; 3) un ulteriore gruppo di sentenze in cui la condotta, originariamente contestata ai sensi del previgente art. 317 nella modalità induttiva, è stata poi sussunta nel nuovo reato di induzione indebita ex art. 319-quater. Si è già detto di come in alcune occasioni la Corte di cassazione, in applicazione dei principi indicati dalle Sezioni unite, abbia annullato con rinvio la sentenza di merito richiedendo uno sforzo di accertamento e di motivazione al giudice di rinvio in relazione alla prova della costrizione ovvero del conseguimento del vantaggio indebito da parte del privato. Si tratta di fattispecie in cui il giudice di merito è tenuto a verificare con rigore, attraverso l’analisi di tutti gli elementi di prova, se i rilievi mossi dal pubblico ufficiale - imputato siano o meno legittimi e non pretestuosi, e se, pertanto, la dazione di denaro da parte dell’extraneus sia o meno correlata ad un preciso interesse ad "oliare" il corso della procedura in funzione di vantaggi che non avrebbe potuto ottenere. La prova di tali essenziali segmenti fattuali è in tali casi costitutiva  almeno in astratto  per sciogliere il nodo relativo al corretto inquadramento giuridico della fattispecie; essa è indispensabile al fine di accertare: 1) quale sia stata la condotta abusiva del pubblico ufficiale; 2) se, in presenza di essa, sia ravvisabile un indebito vantaggio personale della "persona offesa", che quindi, abbia potuto di conseguenza agire non tanto per evitare un danno contra ius, ma al fine di ottenere un trattamento di favore; 3) se i fatti possano essere ricondotti anche ad altre fattispecie criminose, corruttive o di frode (Sez. 6, 40887/2018).

La condotta punita dall'art. 319-quater c.p. richiede che la qualità o i poteri del pubblico agente siano avvertiti come fonte di iniziative pregiudizievoli, tali da determinare e rafforzare la posizione di assoggettamento del privato, sicché il reato di induzione indebita non è configurabile nel caso in cui il soggetto agente, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, non faccia valere tale qualità, bensì si limiti ad esercitare l'autorevolezza derivante dal ruolo politico svolto nel territorio di riferimento (Sez. 6, 12594/2021).

Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui all’art. 319-quater, non integra un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicché il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente (Sez. 6, 35271/2016).

La promessa di denaro o di altra utilità è sufficiente per la consumazione del reato solo quando il fatto è unico e relativo ad uno specifico atto e non quando la forza intimidatrice del pubblico ufficiale tende ad operare non solo in relazione ad un primo atto, ma anche nel futuro, con riferimento ad una pluralità di atti e di comportamenti dilazionati nel tempo; in tal caso, l’esecuzione di ogni prestazione determinata dalla costante riproduzione del metus assume valenza giuridica autonoma, tanto da qualificare il fatto come reato continuato (Sez. 6, 51774/2018).

Le modalità della condotta induttiva non possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio, nell’inganno, anche variamente e opportunamente collegati e combinati tra di loro, purché tali atteggiamenti non si risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l’extraneus che, invece, nella fattispecie di cui all’art. 319-quater, mira a conseguire un vantaggio indebito, che ben può consistere, in un contesto nel quale i rapporti con il pubblico funzionario non siano ancora esauriti nell’assicurarsi per il futuro un trattamento di favore. L’induzione indebita, è contrassegnata da uno stato di soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è innescato, in sequenza causale, dall’abuso del funzionario pubblico, che volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo (Sez. 6, 51774/2018).

L’abuso della qualità che concorre ad integrare il reato di cui all’art. 319-quater sussiste allorquando il pubblico ufficiale pone in essere una strumentalizzazione della sua posizione di preminenza sul privato (Sez. 6, 51774/2018).

Per la sussistenza del reato di corruzione o di quello di istigazione alla corruzione non si richiede che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto o che rientrino pure nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio: basta che si tratti di un atto o comportamento rientrante nelle competenze del settore all’interno del quale l’agente svolge la sua funzione e in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (Sez. 6, 23355/2016).

Ai fini della consumazione del delitto di induzione indebita di cui all’art. 319-quater, è sufficiente la promessa di denaro o altra utilità fatta dall’indotto al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, senza che abbia rilevanza alcuna né la riserva mentale di non adempiere né l’intendimento di sollecitare l’intervento della PG affinché la dazione avvenga sotto il suo controllo (Sez. 6, 27723/2018).

Non integra la fattispecie di concussione ex art. 317 o di induzione ex art. 319-quater la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale, in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o induzione (Sez. 6, 11946/2013).

Deve qualificarsi come consumata la fattispecie nella quale il soggetto passivo abbia sollecitato l’intervento della PG dopo aver già promesso l’indebita prestazione al pubblico ufficiale, essendo, a tal fine, irrilevante l’eventuale riserva mentale di non adempiere (Sez. 6, 30394/2018).

Il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta che, per le modalità con cui è formulata, eserciti un più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione, la quale si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori. Elementi qualificanti della condotta, dunque, sono l’abuso del funzionario pubblico, lo stato di soggezione del privato e la derivazione causale del secondo dal primo (Sez. 6, 3621/2019).

Il tentativo di induzione indebita prevista dagli artt. 56 e 319-quater non implica la necessità dell’ulteriore requisito costituito dal perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei privati, là dove detto requisito, giustifica  in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza – la punibilità dell’indotto che abbia dato o promesso l’utilità al pubblico ufficiale, secondo quanto sottolineato dalle Sezioni unite (SU, 12228/2014), secondo cui esso assurge al rango di "criterio di essenza" della fattispecie induttiva.

Nondimeno, detto elemento è necessario solo nell’ipotesi della consumazione del reato di cui all’art. 319-quater e non anche in quella del tentativo atteso che, qualora il privato non dia o non prometta denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle illecite richieste di quest’ultimo, viene meno la ratio posta a base del requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte del privato (Sez. 6, 37589/2018).

Il tentativo di induzione indebita è certamente configurabile nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni (Sez. 6, 20538/2018).

 

Rapporti con altre fattispecie

Gli artt. 317 e 319-quater si limitano ad indicare il soggetto destinatario dell’abuso con il termine "taluno", il che vuol dire che la sua qualifica soggettiva è indifferente ai fini della configurazione di tali fattispecie; tra le possibili vittime della concussioni o i correi della induzione indebita possono, pertanto, annoverarsi, oltre ai privati, anche coloro che rivesto la qualifica di pubblici ufficiali, sempre che la peculiarità della situazione concreta ne denunci uno stato di reale coartazione ovvero una prospettiva utilitaristica (sia pure indotta) dagli stessi perseguita (Sez. 6, 22526/2015).

La condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell’art. 322, si distingue sia da quella di costrizione (cui fa riferimento l’art. 317, nel testo modificato dall’art. 1, comma 75 L. 190/2012) che da quella di induzione (che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell’art. 319-quater, introdotta dalla medesima L. 190) in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori, connotato dall’assenza sia di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore abuso della qualità o dei poteri (Sez. 6, 12208/2019).

Il delitto di concussione si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. 6, 10278/2019).

Il delitto di concussione, di cui all’art. 317, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita; e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. 6, 9429/2016).

In punto di analisi differenziale tra l’induzione e la costrizione, qualora rispetto al vantaggio prospettato quale conseguenza della promessa o della dazione indebita dell’utilità, si accompagni anche un male ingiusto di portata assolutamente spropositata, la presenza di un utile immediato e contingente per il destinatario dell’azione illecita risulta priva di rilievo ai fini della possibile distinzione tra costrizione da concussione ed induzione indebita, in quanto, in tal caso, il beneficio conseguito o conseguibile risulta integralmente assorbito dalla netta preponderanza del male ingiusto (Sez. 6, 8963/2015).

L’induzione indebita di cui all’art. 319-quater si fonda sull’abuso del soggetto qualificato, che, strumentalizzando poteri o qualità, attraverso un’azione suggestiva di convincimento, crea condizioni propizie all’accoglimento da parte del privato della propria richiesta di riconoscimento di un’utilità, a fronte del tornaconto personale che il privato può nondimeno realizzare.

In questo caso dunque l’abuso rileva non tanto in ragione del contenuto che assume l’esercizio delle funzioni pubbliche quanto in ragione del fatto che queste costituiscono la premessa, esplicitamente o implicitamente evocata, dell’opera di convincimento rivolta nei confronti di un soggetto che avverte uno stato di soggezione ed è così indotto ad erogare l’utilità, in una situazione in cui egli conserva nondimeno un margine di libertà nel valutarla, prospettandosi il conseguimento di un vantaggio indebito.

Nella corruzione propria invece le parti si determinano paritariamente all’accordo illecito, in cui l’abuso viene a qualificare il concreto contenuto dell’esercizio delle funzioni. In entrambe le ipotesi vi è dunque un patto, che tuttavia nell’induzione indebita risulta all’origine asimmetrico e squilibrato (SU, 12228/2014).

 

Casistica

La persona che in adesione a proposta venuta da uno dei componenti del collegio giudicante, o per lui da un esterno intermediario, si determini a versare del denaro in vista del risultato a sé favorevole del giudizio, nella incertezza propria degli esiti di quest’ultimo e quindi dell’oggetto dell’intervenuto mercimonio, non può qualificarsi quale soggetto concusso, ma quale partecipe di una trattativa per induzione ai sensi dell’art. 319-quater, connotata dalla posizione paritaria delle parti.

Colui che si determini a pagare in ragione di una trattativa che abbia ad oggetto l’esito favorevole di un giudizio non vuole evitare un danno che insieme all’esito favorevole non è certo nella sua oggettività, restando anche un siffatto evento definito dalle logiche incerte della camera di consiglio ove essa investa l’operatività di un organo collegiale.

Egli intende piuttosto costruire per sé una chance di successo che, se pure suscettibile di stima economica, o di un prezzo, non lo pone però in posizione di soggezione rispetto a chi faccia richiesta del denaro per la prestazione, ma gli attribuisce, invece, nella incertezza degli esiti, da declinarsi sia in positivo che in negativo, una posizione paritaria rispetto al proponente che lo accosta a colui che intenda per la prestazione resa conseguire un lucro, per una trattativa paritaria esito di induzione indebita ex art. 319-quater.

La natura stessa della prestazione finale, che resta connotata da obiettiva incertezza ove l’organo giudicante sia a composizione collegiale, rende per ciò stesso equiordinate le posizioni di chi richieda la prestazione per incidere sulla decisione giurisdizionale minacciata come di sfavore ove non intervenga il pagamento e di chi della prima corrisponda il prezzo volendo quest’ultimo comunque, nella bidirezionale incertezza della prestazione finale, come tale non soggiogabile negli esiti al pagamento di una remunerazione, conseguire un vantaggio e non evitare un danno (Sez. 6, 12203/2019).