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Art. 428 - Naufragio, sommersione o disastro aviatorio

1. Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

2. La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.

3. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.

Rassegna di giurisprudenza

Ai fini della configurabilità del delitto di naufragio colposo di natante di altrui proprietà, costituente un reato di pericolo astratto, va comunque accertata l’offensività in concreto del fatto alla luce del criterio della “contestualizzazione dell’evento”, con giudizio ex ante, verificando se, alla luce degli elementi concretamente determinatisi quali le dimensioni del mezzo, il numero di passeggeri che può essere trasportato, il luogo effettivo di naufragio, l’espansività e la potenza del danno materiale, il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone (Sez. 4, 12631/2018,  in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza di condanna impugnata, per l’omessa valutazione di una serie di elementi che si ponevano in contrasto con la ritenuta situazione di pericolo, quali il fatto che si era trattato di un naufragio che aveva riguardato un’imbarcazione da diporto con sei persone a bordo, immediatamente tratte in salvo, affondata a pochi metri dalla costa, d’estate, in pieno giorno e con mare calmo ed in prossimità di altre barche di diportisti che avrebbero potuto fornire immediata assistenza) (Sez. 4, 14918/2019).

Ai fini della sussistenza del delitto di cui agli artt. 428 e 449, comma secondo, perché si abbia naufragio non è necessario che il natante sia affondato, essendo sufficiente che lo stesso non sia più in grado di galleggiare regolarmente, risultando così inutilizzabile per la navigazione. Il principio è stato affermato in riferimento all’inabissamento parziale di un’imbarcazione a motore dovuto alla falla apertasi nello scafo a seguito dell’urto della porzione poppiera dell’unità contro alcuni scogli (Sez. 4, 19137/2015).

L’ordinamento della navigazione marittima delineato dal Codice della navigazione attribuisce icasticamente al comandante un ruolo di autorità egemone, oltre a varie funzioni di carattere giuridico ed amministrativo che in vario modo coinvolgono la vita delle persone nel corso della navigazione. Tale ruolo è espresso con forza, riassuntivamente, dall’art. 186 che attribuisce a tale figura autorità nei confronti di tutte le persone presenti a bordo.

La norma va coordinata con il successivo art. 190 che obbliga tutti i componenti dell’equipaggio a cooperare alla salvezza della nave, delle persone e del carico, fino a quando il comandante non ordini l’abbandono dell’imbarcazione. È dunque chiaro che il comandante sovraintende a tutte le funzioni che attengano alla “salvezza” delle persone e delle cose (Sez. 4, 48295/2017).

Nel caso di naufragio di imbarcazione di proprietà dell’imputato si richiede (art. 428, comma 3) che l’evento non solo risulti potenzialmente idoneo a creare la situazione di pericolo, ma che determini una situazione di pericolo concreto per i naviganti ovverosia per le persone imbarcate, senza che rilevi, agli effetti della sussistenza del contestato reato, che nessuna di costoro abbia riportato lesioni, atteso che l’apprezzamento del pericolo va fatto con valutazione ex ante (Sez. 4, 19137/2015).

Con specifico riferimento al disastro aviatorio, occorre rilevare che l’art. 428, che richiama la caduta di aeromobili ed al quale fa anche espresso rinvio l’art. 449, distingue il caso che la caduta riguardi un velivolo di proprietà altrui, cioè di soggetto diverso dall’autore del fatto (comma 1) dal caso in cui costui ne è proprietario (comma 3).

Mentre nel primo caso la norma non fa riferimento alcuno al requisito del pericolo per l’incolumità pubblica, nel secondo caso la sussistenza di tale requisito è espressamente prevista, di guisa che è stato sostenuto che, allorché a cadere sia un velivolo di proprietà del reo, occorre, per la sussistenza del reato, che dal fatto derivi un concreto pericolo per la pubblica incolumità; requisito ritenuto, viceversa, non necessario nel caso di caduta di un velivolo di proprietà altrui, in relazione al quale il pericolo sarebbe presunto dalla legge.

La fattispecie descritta sub comma 1 dell’art. 428 integrerebbe, quindi, un’ipotesi di reato di pericolo presunto, sul rilievo che la caduta di un aeromobile provoca comunque allarme e determina situazioni di generale pericolo, di guisa che, ai fini della sussistenza del delitto in questione, non occorre che il giudice accerti che la caduta dell’aeromobile abbia posto in pericolo la pubblica incolumità.

Tale interpretazione, tuttavia, è stata, da alcun tempo, riconsiderata, nel senso che è stato ritenuto necessario che la situazione di pericolo che comunque rappresenta il presupposto al quale si ricollega la fattispecie in esame, debba comunque presentare una pur apprezzabile concretezza, in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità.

Si è quindi inteso sostituire a concetto di pericolo presunto quello di pericolo astratto, di un pericolo, cioè, che presenti la concreta potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone. È stato, quindi, in proposito recentemente affermato (Cass. 36639/12) che “non integra il reato qualsiasi precipitare a terra (di un aeromobile) governato dalla sola forza di gravità ma va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, quali le dimensioni del mezzo, il numero dei passeggeri che può essere trasportato, il luogo effettivo di caduta, l’espansività e la potenza del danno materiale, se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone”.

Tale verifica, è stato precisato, deve essere eseguita dal giudice con giudizio ex ante, ovvero accertando, alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente, “se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, richiedendo il pericolo astratto, nella specie, la verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di persone nella sfera di esplicazione del fatto”. Con riguardo al delitto oggetto d’esame, la verifica che deve essere eseguita concerne, quindi, il possibile coinvolgimento nell’evento “di un numero indeterminato di persone” che si trovino presenti nella sfera di esplicazione del fatto (Sez. 4, 5397/2015).

Ai fini della legge penale, deve considerarsi nave, con riguardo ai delitti di naufragio, l’imbarcazione atta al trasporto di più persone quali che siano la sua stazza, la sua portata, il suo mezzo di propulsione e la sua funzione (Sez. 4, 15 maggio 1987).

Per la configurabilità del delitto di naufragio è sufficiente che il natante non sia più in grado di galleggiare e navigare regolarmente. Non essendo richiesto, quindi, un inabissamento del mezzo, è sufficiente un capovolgimento dello stesso e non è richiesta, di conseguenza, la perdita del natante (Sez. 4, 1° maggio 1987).

Costituiscono elementi per la valutazione della sussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 428, comma 3, la circostanza che l’equipaggio di una nave, affondata dolosamente, sia stato abbandonato in mare su imbarcazioni di salvataggio inadeguate e che i “containers” che si trovavano a bordo, dopo l’affondamento della nave siano rimasti in parte galleggianti a pelo d’acqua e in parte sommersi, costituendo così un pericolo per la navigazione (Sez. 1, 10 maggio 2001).

Perché sussista il reato di naufragio è necessario che si verifichi un evento tale che sia di per sé potenzialmente idoneo a determinare una situazione di pericolo per la pubblica incolumità, come nel caso in cui il natante non sia più in grado di galleggiare regolarmente, di portare il proprio carico e di navigare con esso (Sez. 4, 23 marzo 1977).