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Art. 45 - Caso fortuito o forza maggiore

1. Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore.

Rassegna di giurisprudenza

L’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 sussiste in tutti i casi nei quali l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica. Pertanto la forza maggiore non può che riferirsi ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della condotta previsto dal primo comma dell’art. 42. Tale interpretazione dell’esimente in oggetto è quella che meglio si sposa non solo con il significato fatto proprio dall’espressione, la quale prefigura la situazione di un soggetto assolutamente privo della possibilità di sottrarsi a una forza per lui irresistibile (in proposito si dice che il soggetto non agit, sed agitur), ma anche con il dato normativo, giacché, da una parte, l’art. 46 enuclea un’ipotesi speciale di forza maggiore disciplinando il costringimento fisico, peraltro esplicitandone i caratteri e, dall’altra, l’art. 54 regola l’ipotesi diversa in cui la volontà dell’autore sia coartata in modo non assoluto bensì relativo, residuando in capo al soggetto un margine di scelta (Sez. 5, 23026/2017).

Secondo la previsione contenuta nell’art. 45, è "non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore". Ciò posto, è assegnata al "caso fortuito" la valenza di una situazione "scusante", come tale idonea ad escludere l’elemento soggettivo in quanto consistente in un avvenimento "imprevisto e imprevedibile" che si sovrappone alla condotta dell’agente, la quale, conseguentemente, non può, in alcun modo e nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire alla dimensione psichica e soggettiva dell’agente (ex plurimis, Sez. 4, 6982/2013) mentre la "forza maggiore" si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesca dalla sfera di dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (in questa direzione Sez. 5, 23026/2017).

Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta. La forza maggiore che esclude la suitas della condotta è la vis cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agiturSecondo la costante giurisprudenza, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, 1492/1982); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. In coerenza con quanto osservato, è stato così sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, 4529/2008).

Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, 10116/1990), sì che il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta, mentre l’inadempimento penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, 43655/2018).

Il trattamento delle cause preesistenti, per il vero, non è del tutto equiparato a quella delle cause sopravvenute, ostandovi l’inequivoca formulazione testuale del comma 2 dell’art. 41 che limita alle cause sopravvenute, ove da sole sufficienti a determinare l’evento, l’effetto di esclusione del nesso causale (con eventuale punibilità lì dove l’azione o omissione precedentemente commessa costituisce di per sè reato). In giurisprudenza, quanto alle cause sopravvenute, si evidenzia che, al fine di escludere la rilevanza dell’azione commessa dall’accusato, devono identificarsi dei precisi fattori produttivi di una autonoma serie causale non correlata alla sequenza partita con il fatto delittuoso, connotati da eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 2, 17804/2015).

Da ciò la necessità di inquadrare il tema delle cause preesistenti  come sostenuto da autorevole dottrina  nella disciplina analoga dell’art. 45 (relativa al caso fortuito, con esclusione della punibilità) solo lì dove la causa preesistente assuma  in concreto  il carattere della assoluta eccezionalità e imprevedibilità, tale da rendere del tutto irrilevante la condotta tenuta dall’imputato nella serie produttiva dell’evento, trattandosi di un fattore di produzione assorbente, del tutto imprevisto ed imprevedibile (Sez. 1, 48852/2018).

Per attingere alla sfera del fortuito, come disciplinata dall’art. 45, e così far scaturire l’effetto di escludere la punibilità dell’agente  sul cui comportamento incide  l’accadimento deve emergere come totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente, sia dalla sua colpa: pertanto, in tutte le fattispecie in cui l’agente abbia dato materialmente causa al fenomeno o nei casi in cui, comunque, si rinviene un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente, nel senso che l’accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto ed evitato se l’agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito, deve escludersi che possa discorrersi di caso fortuito in senso giuridico. In sostanza, qualora non possa escludersi la colpa nella condotta dell’agente, l’evento  sebbene non sia stato previsto, né fosse prevedibile  non può essere ascritto al caso fortuito, in quanto esso è ricollegabile pur sempre ad un comportamento colposo: va, quindi, riaffermato il principio secondo cui deve escludersi la possibilità di considerare fortuito il caso prodotto da azione colposa dell’agente (Sez. 1, 431/2019).

La rilevanza giuridica del caso fortuito è inesorabilmente legata ad un’azione umana, come riconosce la dottrina assolutamente prevalente, e come è rilevato dalla stessa formulazione dell’art. 45 che, adoperando l’espressione «commettere», suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo. Dall’incrocio di questo con l’avvenimento casuale deriva la produzione dell’evento, nel senso che questo, secondo il principio della equivalenza delle cause, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell’uomo, il quale tuttavia non ne risponde per l’intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l’integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l’evento, collocando, come causa (soggettiva) di esclusione della punibilità. Questa concezione è contrastata da quella, oggettiva, secondo la quale il fortuito escluderebbe il rapporto materiale. In linea di principio, questa Corte ritiene che la concezione soggettiva risponda compiutamente alla logica del sistema normativo, sia perché l’art. 45, pur non definendo il fortuito, si riferisce a questo come ad un evento (imprevedibile) che si inserisce nel corso di un’azione umana, sia perché la tesi che esclude il rapporto di causalità determinerebbe il carattere pleonastico dell’art. 45, che sarebbe un duplicato dell’art. 41 capoverso; il che sembra inammissibile, per la presunzione di coordinata razionalità che deve pur assistere la redazione di un testo normativo improntato a sistematicità. D’altro canto, questa medesima teoria finisce per ammettere che il caso fortuito esclude la colpevolezza, sia pure come conseguenza riflessa del venir meno del rapporto di causalità materiale. Dunque, l’accadimento fortuito, per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell’agente  sul comportamento del quale viene ad incidere  deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente, sia dalla sua colpa. Ne consegue che in tutti i casi in cui l’agente abbia dato materialmente causa al fenomeno  solo, dunque, apparentemente fortuito  ovvero nei casi in cui, comunque, è possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente, (nel senso che l’accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto ed evitato se l’agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito) non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico (Sez. 4, 36883/2015).

Il caso fortuito si concreta nell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce ex abrupto nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica. Perciò, esso si verifica quando sussiste il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento, ma risulta assente la colpa, in quanto l’agente non ha causato l’evento per sua negligenza o imprudenza. Per converso, allorché una colpa, pur se di modesta entità, debba essere attribuita all’agente, in relazione all’evento dannoso realizzatosi, per ciò solo svanisce l’applicabilità dell’art. 45 (Sez. 4, 1500/2014).

Non è possibile riconoscere alcuna valenza esimente o anche semplicemente scusante a una situazione astrattamente idonea a escludere l’elemento soggettivo e finanche la suitas della condotta, quando tale situazione sia stata preordinata alla realizzazione della condotta medesima o anche solo prevista come certa o altamente probabile, secondo uno schema riconducibile al cd. dolo eventuale. Nel caso di specie, anche a voler ritenere dimostrata l’impossibilità del versamento alla scadenza del termine per gli adempimenti contributivi, l’agente doveva avere previsto come risultato certo che, a fronte della reiterazione, mese dopo mese, del pagamento delle retribuzioni, non avrebbe potuto adempiere agli obblighi contributivi, essendo necessario procedere all’ulteriore pagamento delle spettanze dei lavoratori (Sez. 3, 19671/2018).

Nel reato di omesso versamento delle ritenute certificate, la situazione di difficoltà finanziaria dell’imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che esclude la responsabilità prevista dall’art. 10-bis DLGS 74/2000; l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Sez. 3, 38814/2018).

Il caso fortuito, così come la forza maggiore, è espressamente preso in esame dall’articolo 45, il quale stabilisce che "non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore". Secondo i principi generali individuati da dottrina e giurisprudenza, il caso fortuito è rappresentato da un avvenimento non previsto e non prevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione di un soggetto, cosicché in nessun modo, neppure a titolo di colpa, lo stesso possa essere ricondotto all’attività psichica del soggetto medesimo (Sez. 4, 6982/2013; Sez. 4, 36883/2015). Conseguentemente, il caso fortuito (e la forza maggiore) non sono invocabili nel caso in cui l’agente stesso si sia posto in condizioni di illegittimità ponendo in essere una condotta non conforme alla legge o alle regole generali di prudenza e diligenza (Sez. 4, 10823/2010).

Inoltre, incombe, su colui che invoca l’applicazione dell’esimente, un onere di allegazione di elementi precisi e specifici che consentano al giudice di verificare la sussistenza del caso fortuito o della forza maggiore (Sez. 2, 20171/2013). Con riferimento alle norme di tutela ambientale, la giurisprudenza ha più volte preso in esame l’ambito di operatività dell’esimente in esame, specificando, in più occasioni, che incombe in capo al titolare di un insediamento un obbligo specifico di controllo e adozione di ogni possibile cautela al fine di prevenire i fenomeni di inquinamento, con la conseguenza che eventi, quali l’inclemenza delle condizioni atmosferiche o il verificarsi di guasti agli impianti, debbono ritenersi ampiamente prevedibili e non ascrivibili ad ipotesi di caso fortuito (o forza maggiore). La casistica, specie in tema di inquinamento idrico, è particolarmente nutrita e, come ricordato in una recente pronuncia (Sez. 3, 2433/2014) riguardo ad inconvenienti di natura tecnica, l’applicabilità dell’articolo 45 cod. pen. è stata esclusa con riferimento alla rottura di un tubo, al guasto ad una pompa che determini il cattivo funzionamento di impianti di depurazione, alla rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia, alla corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente all’acidità dei reflui medesimi, all’intasamento di un depuratore per la presenza di scorie all’interno ed al piegamento di un tubo destinato ad immettere nell’impianto sostanze atte all’abbattimento dei valori di determinati inquinanti. L’insussistenza del caso fortuito è stata ritenuta, si ricorda ancora nella sentenza appena citata, anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici. La validità dei principi affermati nelle precedenti decisioni, anche risalenti nel tempo, è stata conseguentemente riconosciuta anche con riferimento al DLGS 152\2006 ora vigente. L’art. 45 è stato preso poi in considerazione con riferimento ad altri settori della normativa di tutela ambientale e, tra questi, ad esempio, anche quella dei rifiuti, affermandosi che la eccezionalità della condotta, rispetto all’usuale "modus operandi", non è equiparabile al caso fortuito e non fa venire meno l’elemento psicologico, poiché l’interessato ha l’obbligo di un costante controllo anche per evitare il verificarsi di un singolo specifico episodio di negligenza (Sez. 3, 520/1993), mentre in tema di inquinamento atmosferico si è, invece, ritenuto che la causa di inesigibilità per caso fortuito, di cui all’art. 45 non possa essere richiamata quando l’evento sia riconducibile al titolare dell’insediamento, anche soltanto per omissione, allorché trattasi di conseguenze prevedibili ed evitabili con misure strutturali di prevenzione (Sez. F, 38697/2017).

Il guasto meccanico  quand’anche dovuto a più fattori concausali  non esonera da responsabilità il titolare dell’impianto, essendo in tal caso ascrivibile una responsabilità non certo oggettiva ma indubbiamente "colposa", posto che il fatto in sè del guasto nel funzionamento dell’impianto di depurazione, senza che sia individuabile una causa, per sua natura imprevedibile od inevitabile, lungi dall’escludere, vale a comprovare l’insufficienza delle misure predisposte e, dunque, a dimostrare la responsabilità del soggetto, quanto meno a titolo di colpa. Più volte, sul punto, questa Corte ha infatti affermato che il titolare di un insediamento produttivo ha un dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie attinenti al ciclo produttivo, ai presidi tecnici, all’organizzazione del lavoro, alla costante vigilanza. Pertanto, il guasto dell’impianto di depurazione non costituisce caso fortuito, quando poteva essere preveduto e comunque neutralizzato nelle sue conseguenze. Il titolare di un insediamento produttivo ha inoltre il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza. Di conseguenza l’inclemenza atmosferica (dovuta a pioggia abbondante o freddo intenso), i guasti meccanici dell’impianto di depurazione, i comportamenti irregolari dei dipendenti non sono fatti imprevedibili e pertanto non costituiscono caso fortuito o forza maggiore. In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’improvviso guasto verificatosi nell’impianto di decantazione dei fanghi (costituito, nella specie, dalla bruciatura di una resistenza) che abbia causato lo sversamento dei reflui ed il relativo inquinamento idrico, non costituisce ipotesi di caso fortuito escludente la responsabilità, in quanto siffatto evento non realizza quel "quid" di imponderabile ed imprevedibile che deve concretare il caso fortuito, risultando i guasti meccanici tutt’altro che episodici ed occasionali. In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, non integra l’ipotesi del caso fortuito il guasto meccanico dell’impianto, che è correttamente ascrivibile ad una condotta negligente dell’imputato, atteso che questi era obbligato a mantenere l’impianto in condizioni di sicuro funzionamento ed a controllare costantemente l’efficacia dello stesso, non potendo annoverarsi nella categoria dei fattori inevitabili ed imprevedibili il guasto cd. improvviso di un meccanismo il cui funzionamento dipende dall’attività di manutenzione dello stesso (Sez. 3, 31262/2017).

La prevalente giurisprudenza di legittimità esclude che integri il caso fortuito o la forza maggiore, che possono legittimare la restituzione nel termine, l’errore del difensore di fiducia nell’individuazione dei termini di impugnazione della sentenza, causato da ignoranza della legge processuale. Si afferma, al riguardo, che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, insuperabile mediante la normale diligenza ed attenzione. Né può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. 4, 15183/2017).

Ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter DLGS 74/2000), non rileva quale causa di forza maggiore per il legale rappresentante di un’impresa lo stato di dissesto imputabile alla precedente gestione, quando risulta che l’agente al momento del suo subentro nella carica aveva la consapevolezza della crisi di liquidità e non era nell’impossibilità a lui non ascrivibile di intraprendere alcuna iniziativa per fronteggiare tale situazione (Sez. 3, 9/2019).