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Art. 684 - Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (1)

1. Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da euro 51 a euro 258.

(1) Articolo così sostituito dall’art. 45, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

La notifica all’imputato dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere fa venir meno l’obbligo del segreto intraprocessuale, ma non esclude il divieto di pubblicazione, atteso che va fatta distinzione tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicati, in quanto, mentre il segreto opera all’interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale (Sez. 132846/2014).

Viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la pronuncia di condanna per la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, di cui all’art. 684, a fronte di una imputazione per il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio, previsto dall’art. 326, attesa l’eterogeneità delle condotte oggetto delle due distinte fattispecie incriminatrici (Sez. 1, 10611/2015).

La contravvenzione di cui all’art. 684 sanziona “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione”. È perciò evidente che la condotta di arbitraria pubblicazione deve riguardare “atti” o  con pari rilevanza  “documenti” che ineriscano a un procedimento penale, dei quali la pubblicazione sia vietata per legge; e che tale ultima espressa indicazione normativa  divieto per legge  impone di percorrere l’unica strada ermeneutica dotata di legittimità e cioè quella volta a rinvenire nell’ordinamento penale i termini di legge che attengano al divieto di pubblicazione di atti e documenti di un procedimento penale.

In tal senso il riferimento obbligato è senza dubbio alcuno quello dell’art. 114 CPP il quale stabilisce al primo comma: “È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto, o anche solo del loro contenuto”.

Quanto sopra premesso, per individuare gli atti e i documenti coperti dal segreto, per i quali vige il divieto di pubblicazione, ex art. 114 CPP e che dunque costituiscono materia del reato di cui all’art. 684, è necessario fare riferimento all’art. 329, comma 1, CPP, che indica espressamente come coperti dal segreto “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”: dunque, si deve trattare di atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa (o delega) dei predetti organi pubblici.

Ebbene, per gli atti di indagine in senso stretto formati dal PM o dalla PG, come ad esempio gli esami di persone informate e gli interrogatori degli indagati, non si pone alcun problema relativamente alla loro segretezza, dal momento che si tratta di atti in ogni caso ricompresi nel primo comma dell’art. 329 CPP; mentre per la categoria dei documenti che siano entrati a far parte del contenitore processuale, la questione è ben diversa. E infatti  secondo la giurisprudenza di legittimità  tali documenti, ai fini del segreto, rientrano nella previsione di legge ove abbiano origine nell’azione diretta o nell’iniziativa del PM o della PG e perciò quando il loro momento genetico, e la strutturale ragion d’essere, sia in tali organi.

Con la conseguenza che tale conclusione non può valere ove si tratti di documenti aventi origine autonoma, privata o pubblica che essa sia, non processuale, generati non da iniziativa degli organi delle indagini, ma da diversa fonte soggettiva e secondo linee giustificative a sé stanti. Dunque, non possono rientrare nella categoria del segreto, ai fini in esame, i documenti che non siano stati compiuti dal PM o dalla PG, in conformità a quanto stabilito dall’art. 329, comma 1, CPP, ma provengano da privati e siano entrati a far parte degli atti processuali per loro iniziativa.

A tal proposito va ribadito che tale conclusione si impone da un lato per il principio di tipicità, stante il tenore letterale di una norma integratrice di quella penale (“atti di indagine compiuti dal P.M., ecc.”), dall’altro per la logica giuridica che impone di ritenere che qualità e matrice genetica di un documento possa perdere o mutare valore e significato se versato agli atti di un procedimento penale, neppure se in forza di una eventuale acquisizione disposta dagli inquirenti.

E in vero, non può darsi, al termine “compiuti”, di cui all’articolo 329 CPP, un significato tanto ampio da farlo fuoriuscire dal suo intrinseco valore semantico; del resto, diversamente opinando, la disposta acquisizione in ambito processuale, a fini di indagine, renderebbe in pratica inutilizzabili documenti, come ad esempio una delibera societaria o un provvedimento amministrativo, che invece pacificamente conservano la loro piena autonomia giuridica.

A maggior ragione, dunque, la denunzia scritta da una parte e da questa presentata ai PM o alla PG non può essere considerata alla stregua di atto “compiuto” da costoro (Sez. 1, 21290/2017).

Il giornalista che diffonda notizie su di un procedimento penale di cui sia vietata la pubblicazione, in concorso con il pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio, è responsabile di un’unica violazione dell’art. 326 in concorso con il soggetto qualificato o c.d. intraneus, mentre la fattispecie contravvenzionale ex art. 684 ricorre per il solo intraneus nel caso in cui la notizia non sia stata rivelata dall’intraneus in vista della pubblicazione ed a questa il privato si sia determinato successivamente e autonomamente.

Nel reato di rivelazione di segreto d’ufficio è configurabile la partecipazione eventuale del destinatario delle rivelazioni, normalmente non punibile, qualora la condotta del soggetto che riceve la notizia non sia meramente recettiva, ma articolata nello svolgimento di un’attività ulteriore che eccede la descrizione del modello legale.

Va escluso l’assorbimento per specialità, ma non il concorso della contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale nel delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, qualora i fatti siano stati realizzati con azioni diverse, distinte nel tempo (SU, 420/1982).