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Art. 697 - Detenzione abusiva di armi

1. Chiunque detiene armi o caricatori soggetti a denuncia ai sensi dell’articolo 38 del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, o munizioni senza averne fatto denuncia all’autorità, quando la denuncia è richiesta, è punito con l’arresto fino a dodici mesi o con l’ammenda fino a euro 371 (1)(2).

2. Chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni, omette di farne denuncia all’autorità, è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda fino a euro 258 (3).

(1) Ammenda così aumentata ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981.

(2) Comma così modificato dall’art. 3, comma 3-octies, DL 7/2015, convertito, con modificazioni, dalla L. 43/2015.

(3) Comma così sostituito dall’art. 47, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di reati concernenti le armi, per arma in senso proprio deve intendersi quella la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, e che rientrano in tale categoria, secondo l’art. 30 TULPS e l’art. 45 comma primo, del relativo regolamento, sia le armi da sparo sia quelle cosiddette bianche, mentre non sono da ritenersi armi, e non è quindi loro applicabile, in caso di detenzione o porto, la relativa disciplina, quegli strumenti, che, pur avendo una specifica diversa destinazione (domestica, agricola, scientifica, sportiva, industriale e simili), possono tuttavia servire occasionalmente all’offesa personale, ed essere ritenuti strumenti atti a offendere, secondo le indicazioni date dall’art. 4 L.110/1975.

Delle armi proprie in genere è vietata la detenzione non previamente denunciata all’autorità di pubblica sicurezza); delle armi improprie è vietato solo il porto, non anche la detenzione, e non è, quindi, ipotizzabile la detenzione abusiva di cui all’art. 697.

Nella giurisprudenza di legittimità, si è anche affermato che il baricentro della distinzione tra la categoria delle armi proprie e quella delle armi improprie risiede non tanto nelle caratteristiche costruttive e strutturali dei singoli strumenti e nella idoneità all’offesa alla persona, comune sia all’una sia all’altra categoria, quanto nella individuazione, tra tutte le possibili destinazioni, di quella principale corrispondente all’uso normale da accertare con specifico riferimento a quello che rappresenta l’impiego naturale dei singoli strumenti in un determinato ambiente sociale alla stregua dei costumi, delle usanze, delle esperienze affermatisi in un dato momento e, con riferimento alle fattispecie concrete analizzate e tra l’altro, si è ritenuto non rientrare nel novero delle armi proprie e il loro porto ingiustificato integrare il reato di cui all’art. 4, comma 2, L. 110/1975 e non quello previsto dall’art. 699, il cosiddetto machete, che, in quanto strumento elettivamente concepito per impieghi agricoli o boschivi, non può essere considerato come naturalmente ed esclusivamente destinato all’offesa della persona e il coltello da lancio, normalmente destinato a uso sportivo per il tiro al bersaglio; si sono considerate armi proprie non da sparo o bianche, il cui porto senza licenza al di fuori della propria abitazione integra il reato di cui all’art. 699, la sciabola da samurai, il pugnale, il coltello a scatto, detto “molletta”, la “katana”, tipica spada utilizzata dai samurai giapponesi, il coltello a serramanico dotato di un sistema di blocco della lama; si sono ritenuti rientrare nel novero delle armi bianche proprie, la cui importazione senza licenza integra il reato di cui all’art. 695 le “katane” giapponesi, le spade, i pugnali, le scimitarre e le tesserine rettangolari taglienti e appuntite, che nascono come armi e sono destinate all’offesa; si è ricondotto alla categoria delle armi improprie l’attrezzo sportivo denominato “long chang”, utilizzato nelle arti marziali, il cui uso integra la circostanza aggravante prevista dall’art. 585, comma 2, n. 2 (lesione personale procurata con l’uso di strumenti atti a offendere) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 37208/2014).

In tema di armi, per giurisprudenza di legittimità consolidata, le cartucce calibro 9 x 19 “parabellum” devono essere considerate munizioni di arma comune da sparo, la cui detenzione integra la contravvenzione prevista dall’art. 697 (Sez. 5, 18509/2017).

Lo sfollagente non è un’arma in senso proprio, in quanto non ha come destinazione naturale l’offesa alla persona, ma può essere utilizzato anche per finalità diverse, per esempio come strumento per l’allontanamento o la separazione di persone, senza alcuna offesa alla loro incolumità. La sua detenzione, pertanto, non è punibile ai sensi dell’art. 697. L’art. 704 stabilisce, infatti, che, agli effetti delle disposizioni precedenti e, quindi, anche dell’art. 697, per armi si intendono quelle indicate nel n. 1 del capoverso dell’art. 585 cod. pen. nonché le bombe, le macchine e gli involucri contenenti materie esplodenti, i gas asfissianti e quelli accecanti.

Il n. 1 del capoverso dell’art. 585, poi, annovera le armi da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona. È quindi evidente che, una volta esclusa la natura di arma in senso proprio di uno sfollagente, e poiché esso non rientra in alcuna fra le altre categorie di oggetti di cui all’art. 704, deve negarsi che sia annoverato fra le armi di cui l’art. 697 punisce la detenzione non denunciata.

Per completezza, deve precisarsi che a disciplina ben diversa dalla mera detenzione è soggetto il porto dello sfollagente fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, comportamento punito, se compiuto in mancanza di autorizzazione, a norma dell’art. 4, comma 1, L.110/1975 (Sez. 1, 31933/2017).

La detenzione contemporanea di un’arma da sparo e delle relative munizioni concreta un’unica ipotesi di reato, in quanto resta assorbito nel reato di detenzione illegale dell’arma quello di cui all’art. 697 relativo alle munizioni, purché le stesse non eccedano il quantitativo che ordinariamente si conserva e non siano di calibro diverso oppure non siano di numero superiore a quello che può essere contenuto in un caricatore (Sez. 1, 7983/2019).

A seguito delle innovazioni di cui alla L. 497/1974, l’art. 697 non trova più applicazione per le armi comuni da sparo, ciò in quanto la legge speciale ha regolato interamente la materia concernente le condotte già previste dal codice penale e relative alle armi comuni da sparo, atte all’impiego, specificate dall’art. 44 RD 635/1940, ed ora dall’art. 2 L. 110/1975, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 15, la legge ordinaria è rimasta in vigore con riferimento a quelle armi che, non rientrando nella previsione di cui al citato art. 44 Regolamento TULPS, non possono essere considerate armi comuni da sparo (Sez. 7, 54764/2018).

L’art. 4 L. 110/1975 sanziona il porto di armi improprie, mentre le armi bianche sono riconducibili al paradigma dell’art. 697 (Sez. 7, 43677/2018).

Il concetto giuridico di detenzione, che si identifica in una generica disponibilità della cosa, prescinde da qualunque considerazione temporale e dalla possibilità di un utilizzo immediato (Sez. 3, 46622/2011).

Non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma l’erroneo convincimento dell’agente circa l’obbligo di denunciare il possesso dell’arma all’autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e che non possono, quindi, essere ricondotte alla disciplina di cui all’art. 47, terzo comma (Sez. 6, 33875/2014).

La detenzione illegale (perché non denunciata all’autorità di pubblica sicurezza) di munizioni per arma comune da sparo, non integra il delitto di cui agli artt. 2 e 7 L. 895/1967 (come sostituiti dagli artt. 10 e 14 L. 497/1974), bensì la fattispecie contravvenzionale sanzionata dall’art. 697, comma 1: la condotta penalmente sanzionata dall’art. 2 L. 895/1967 si riferisce infatti, mediante il richiamo al precedente art. 1, alle (sole) munizioni per arma da guerra, mentre la norma di cui al successivo art. 7 estende la punibilità della condotta, a titolo di delitto, alla detenzione abusiva di armi comuni da sparo (o parti di esse) atte all’impiego, ma non anche al relativo munizionamento, che continua pertanto a soggiacere alla sanzione residuale di cui all’originaria contravvenzione del codice penale (Sez. 1, 57886/2018).

L’ambito applicativo della norma di cui all’art. 697 è stato modificato a seguito delle novelle introdotte, dapprima, con le L. 895/1967 e 497/1974 con la conseguenza che, a seguito della L. 497 citata, l’art. 697 sanziona la detenzione di armi proprie da punta e da taglio e di munizioni di armi comuni da sparo, mentre la illegale detenzione di armi comuni da sparo è sanzionata dagli artt. 2 e 7 L. 895/1967, come modificata dalla L. 497/1974 (Sez. 1, 8098/2018).

Nel reato di detenzione illegale di armi e munizioni l’elemento psicologico consiste nel dolo generico e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l’arma o le munizioni senza averne fatto denuncia (Sez. 7, 28896/2018).