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Art. 200 - Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone

1. Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.

2. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione.

3. Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato.

4. Tuttavia l’applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l’espulsione di lui dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza.

Rassegna di giurisprudenza

La confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione è equiparata alle misure di sicurezza con la conseguente sottoposizione alla disciplina dettata dall’art. 200 in caso di successione nel tempo di leggi diverse, secondo il quale «le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione», non già dal principio di irretroattività della legge penale dettato dall’art. 2 (SU, 4880/2015).

La Corte di Strasburgo ha escluso che, in rapporto ai criteri identificativi della penalty e della matière pénale - come individuati da consolidata linea interpretativa, maturata sulla scia delle sentenze 8/6/1976, Engel c. Paesi Bassi; 9/1/1995, Welch c. Regno Unito; 30/8/2007, Sud Fondi c. Italia ed altre, alla luce degli artt. 6 e 7 CEDU, e cioè: natura dell’infrazione secondo il diritto interno; natura della sanzione e concreta gravità della stessa - fosse giustificabile l’inquadramento dell’istituto nella categoria sanzionatoria.

Proprio con riferimento alla confisca di prevenzione italiana, numerose pronunce della stessa Corte EDU hanno escluso l’operatività dei principi di irretroattività e del ne bis in idem dettati per la materia penale dall’art. 7 CEDU, mentre in altre pronunce (17/5/2011, Capitani e Campanella c. Italia; 2/2/2010, Leone c. Italia; 5/1/2010, Bongiorno c. Italia; 8/7/2008, Perre c. Italia; 13/11/2007, Bocellari e Rizza c. Italia), nel censurare la difformità della procedura di prevenzione italiana rispetto alla regola dell’udienza pubblica, si è puntualizzato che la previsione convenzionale violata, ex art. 6 CEDU, attiene a quella parte della disciplina del "giusto processo" che non è riservata all’ambito della "materia penale").

La sentenza della Corte EDU del 22/2/1994, Raimondo c. Italia, ha osservato che la confisca di prevenzione è «destinata a bloccare i movimenti di capitali sospetti per cui costituisce un’arma efficace e necessaria per combattere questo flagello». La sentenza del 15/06/1999, Prisco c. Italia, ha affermato che la confisca di prevenzione «colpisce beni di cui l’autorità giudiziaria ha contestato l’origine illegale allo scopo che il ricorrente potesse utilizzarli per realizzare ulteriormente vantaggio a proprio profitto o profitto dell’organizzazione criminale con la quale è sospettato di intrattenere relazione».

Va, del resto, considerato che l’ordinamento sovranazionale consente interventi dell’autorità invasivi del «diritto al rispetto dei beni» quando ciò sia determinato da ragioni di pubblica utilità, come sancito dall’art. 1, Prot. 1, CEDU, riconoscendo la potestà discrezionale degli Stati membri di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni «in modo conforme all’interesse generale».

Ed è utile, altresì, il riferimento alla decisione-quadro UE, GAI n. 212 del 2005, adottata nell’ambito del Titolo VI del TUE, e, da ultimo, la Direttiva 2014/42/UE, approvata dal Parlamento europeo il 25 febbraio 2014, che, nel considerando, stabilisce che «la confisca estesa dovrebbe essere possibile quando un’autorità giudiziaria è convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose. Ciò non significa che debba essere accertato che i beni in questione derivino da condotte criminose.

Gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività. In tale contesto, l’AG deve considerare le circostanze specifiche del caso, compresi i fatti e gli elementi di prova disponibile in base ai quali può essere adottata una decisione di confisca estesa. Una sproporzione tra il bene dell’interessato ed il suo reddito legittimo può rientrare tra i fatti idonei ad indurre l’autorità giudiziaria a concludere che i beni derivano da condotte criminose.

Gli Stati membri possono inoltre fissare un periodo di tempo entro il quale si può ritenere che i beni siano derivati da condotte criminose». «Alla stregua della vigente normativa, la precipua finalità della confisca di prevenzione è, dunque, quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza. Tale finalità si pone, dunque, in piena sintonia con la ratio decidendi delle menzionate pronunce EDU e con i principi informatori dell’ordinamento convenzionale.

È risaputo, d’altronde, che, nell’approccio ermeneutico agli istituti delle diverse legislazioni, la giurisprudenza comunitaria reputa decisiva, ai fini dell’accertamento della reale essenza giuridica, l’individuazione dei tratti sostanziali, enucleabili dalla disciplina positiva, applicando i menzionati parametri identificativi, al fine di scongiurare quella che, efficacemente, è stata definita la "truffa delle etichette", ovverosia la suggestione di ingannevoli qualificazioni nominalistiche degli stessi istituti da parte degli ordinamenti interni» (SU, 4880/2015) (riassunzione dovuta a Sez. 6, 53941/2018).

La confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dall’articolo 1, comma 143, L. 244/2007, ed ora prevista dall’artico 12-bis DLGS 74/2000, ha natura eminentemente sanzionatoria (SU, 18374/2013).

La natura sanzionatoria della confisca per equivalente è stata affermata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 143, L. 244/2007, nella parte in cui, prevedendo, per i reati tributari, la confisca obbligatoria per un valore corrispondente a quello del profitto, ha stabilito che essa non opera retroattivamente.

Invero, la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un "rapporto di pertinenzialità" tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell’art. 200, secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive, sottolineando che a tale conclusione si giunge sulla base della duplice considerazione che il secondo comma dell’art. 25 Cost. vieta l’applicazione retroattiva di una sanzione penale e che la giurisprudenza della Corte EDU ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall’art. 7 CEDU l’applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un’ipotesi di confisca per equivalente (Corte costituzionale, 301/2009).

Logico corollario di tali approdi è che la confisca di valore, avendo natura eminentemente sanzionatoria, partecipa alla disciplina delle sanzioni penali, con la conseguenza che essa non può essere disposta ed eseguita per un valore superiore al profitto del reato, risolvendosi, in caso contrario, nell’applicazione di una pena illegale, alla quale sarebbe pienamente equiparabile, sicché, nel caso di superamento del valore confiscato rispetto al prezzo o profitto del reato, l’importo deve essere ridotto anche d’ufficio (Sez. 3, 47107/2018).

La confisca per equivalente, prevista dall’art. 322-ter per il profitto o il prezzo di taluni reati contro la pubblica amministrazione, viene ormai pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità di natura sanzionatoria: la confisca per equivalente, infatti, viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza (SU, 31617/2015).