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Art. 210 - Effetti della estinzione del reato o della pena

1. L’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione.

2. L’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, ma non impedisce l’esecuzione delle misure di sicurezza che sono state già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni. Nondimeno, alla colonia agricola e alla casa di lavoro è sostituita la libertà vigilata.

3. Qualora per effetto di indulto o di grazia non debba essere eseguita la pena di morte (1), ovvero, in tutto o in parte, la pena dell’ergastolo, il condannato è sottoposto a libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni.

(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abrogata dall’art. 1, DLGS LGT 224/1944 e sostituita con la pena dell’ergastolo.

Rassegna di giurisprudenza

Riguardo alla possibilità di una confisca conseguente a una pronuncia di estinzione del reato, si sono susseguite plurime decisioni di legittimità, non sempre concordanti, ed importanti interventi delle Sezioni unite, cui converrà pur sinteticamente riferirsi. Il fondamentale principio risale a SU, 5/1993, per cui  seppure la declaratoria di estinzione non sia astrattamente incompatibile con la misura di sicurezza patrimoniale, in forza del combinato disposto degli artt. 210 e 236, comma secondo  il provvedimento ablativo può in tal caso essere adottato solo quando, con riguardo alle previsioni di cui all’art. 240 (o a disposizioni speciali), la sua applicazione non presupponga la condanna, e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento.

Nella stessa pronuncia si sottolinea anche che la confisca, da disporsi nel caso di proscioglimento, costituisce una misura limite, che deve essere prevista dalla legge in termini non equivoci, come avviene nei casi in cui si sia a cospetto delle cose obiettivamente criminose (di cui sono vietati in modo assoluto la fabbricazione, l’uso, la detenzione, il porto o l’alienazione) previste dall’art. 240, secondo comma, n. 2, che difatti la impone, salvo che sia esclusa la materialità del fatto, «anche se non è stata pronunciata condanna»; ipotesi espressamente richiamata, in relazione a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi, dall’art. 6 L. 152/1975, che costituisce altro esempio paradigmatico di una confisca di tal genere.

Fuori dei casi espressamente previsti, per contro, l’estinzione del reato, per qualunque causa, preclude la confisca, a prescindere dalla sua connotazione come obbligatoria o facoltativa, giacché l’impiego dell’avverbio «sempre», che normalmente figura nella proposizione normativa che istituisce le confische del secondo genere, serve ad eliminare ogni discrezionalità nell’applicazione della misura, e a consentirne l’adozione anche in sede di esecuzione, me non sta a significare che essa debba essere disposta anche nel caso di proscioglimento.

Quest’ultimo principio è stato ribadito  con specifico riferimento a fattispecie di confisca obbligatoria (nella specie costituita dal «prezzo» del reato), e nel contesto di un’estinzione del reato dovuta a prescrizione – da SU, 38834/2008.

La pronuncia manifesta comunque una qualche «aperura» rispetto al precedente arresto  nella parte in cui questo spendeva l’ulteriore argomento secondo cui, per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato, il giudice avrebbe dovuto svolgere accertamenti che lo avrebbero portato a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale  sottolineando invero come la legge processuale preveda ampi poteri di accertamento in capo al giudice che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato; come testimoniato dall’art. 578 CPP, che affida al giudice dell’impugnazione, che dichiari estinto il reato per amnistia o per prescrizione, la cognizione del capo inerente gli interessi civili della sentenza riformata o annullata, ovvero dall’art. 425, comma 4, CPP, circa la possibilità di disporre la confisca in sede di sentenza di non luogo a procedere.

Nella stessa prospettiva le Sezioni unite sottolineano come esistano fattispecie di confisca obbligatoria, previste da leggi speciali (l’art. 44, comma 2, DPR 380/2001, in materia di lottizzazione abusiva di terreni, o l’art. 301 DPR 43/1973, in materia di contrabbando), interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, pur in assenza di esplicita previsione, come altrettante ipotesi di «confisca senza condanna», con il solo limite del riscontro della materialità del fatto che dunque il giudice è abilitato, pur prosciogliendo, a compiere.

Da ultimo, SU, 31617/2015  nel quadro di un’ampia ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale, anche di rango costituzionale e sovranazionale, e dopo aver motivatamente escluso che la confisca del «prezzo» del reato (a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1), o la confisca «diretta» del «prezzo» o del «profitto» (ove obbligatoria, come nei casi previsti dall’art. 322-ter), si atteggi alla stregua di una pena  ha affermato il principio per cui tali misure ablative, dalla natura cautelare, perché pur sempre collegate alla pericolosità della res e tendenti a prevenire la reiterazione criminosa, non presuppongano un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da titolo che le legittimi.

Ciò che risulta «convenzionalmente imposto», alla luce della pronuncia della Corte EDU 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, e «costituzionalmente compatibile», in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza 49/2015, è che la responsabilità del destinatario della misura reale sia stata nel processo accertata, in modo non meramente incidentale, anche se il processo stesso sia stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; il che si verifica, propriamente, allorché il giudice dell’impugnazione dichiari una tale estinzione, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come «prezzo» o «profitto» sia rimasto inalterato nel merito in tale successivo grado.

Allo stato, dunque, la giurisprudenza di legittimità, quale espressa dal suo più alto consesso, pur in evoluzione, riflette il principio per cui la confisca pertinenziale  prevista dall’art. 240, o da disposizioni speciali  sia strettamente correlata alla pronuncia irrevocabile di condanna. Tale principio, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, può essere derogato solo a fronte di un accertamento di responsabilità intervenuto nel corso del processo, non a titolo meramente incidentale ma consacrato da una sentenza almeno di primo grado, dopo la quale sia maturata la prescrizione del reato. La deroga, inoltre, si riferisce ai soli casi di confisca per legge obbligatoria, in cui la «pericolosità» della cosa sussiste in re ipsa (Sez. 1, 9983/2018).

Se la prescrizione non è concettualmente incompatibile con un accertamento di responsabilità idoneo a legittimare l’applicazione di una misura ablatoria e se, ancora, la inapplicabilità della misura renderebbe il sistema "scoperto" sul versante della tutela di diritti anch’essi di rango costituzionale, così come evidenziato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 49/2015, l’opzione interpretativa del giudice comune deve orientarsi per quella soluzione che, nel rispettare i principi convenzionali  per come "interpretati" dalla Corte di Strasburgo  si collochi in una linea che risulti integralmente satisfattiva anche e soprattutto dei valori costituzionali che, altrimenti, risulterebbero compromessi.

Difatti, con la sentenza 49/2015, il giudice delle leggi, chiamato a pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 2, DPR 380/2001, denunciato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 Cost., nella parte in cui in forza proprio della interpretazione della Corte EDU, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi», pur pervenendo, per ragioni varie, ad una declaratoria di inammissibilità della questione, ha offerto una serie di affermazioni di indubbio rilievo, evidenziando come il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU «è, ovviamente, subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione alla CEDU», e confermando  sulla scia di precedenti pronunce relative proprio al tema della confisca urbanistica  il principio secondo il quale «nel nostro ordinamento, l’accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo in mala fede acquirente del bene».

Su questa scia, non sarebbe di per sé «escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato».

Motivazione che non costituirebbe una facoltà del giudice, «ma un obbligo dal cui assolvimento dipende la legalità della confisca». Più in generale, è stato rilevato che la questione da risolvere, alla luce di una interpretazione «costituzionalmente e convenzionalmente conforme», consiste nello stabilire se il giudice europeo allorché si esprime «in termini di "condanna", abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia, laddove essa infligga una sanzione criminale ai sensi dell’art. 7 della CEDU, vale a dire l’accertamento della responsabilità».

Come è noto, la Corte EDU, con la sentenza del 29 settembre 2013, Varvara c. Italia, ha deciso la questione diretta a stabilire se le garanzie convenzionali risultino o meno violate dall’applicazione della confisca urbanistica non più mediante una sentenza di assoluzione (come nel caso Sud Fondi c. Italia), bensì mediante una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione.

Ribadita la qualificazione della misura come sanzione "penale" ai fini della CEDU e dei suoi protocolli (in precedenza, Corte EDU, 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito e Corte EDU, 8 giugno 1995, Jamil c. Francia), la Corte di Strasburgo ha ritenuto, anche nel caso in questione, violato il principio di legalità in materia penale di cui all’articolo 7 CEDU, in ciò risultando assorbito il profilo di violazione  pure dedotto dai ricorrenti  dei principi del fair trial di cui all’articolo 6 CEDU: conseguentemente ha ritenuto violato pure il diritto di proprietà di cui all’articolo 1 Prot. 1 CEDU, in conseguenza dell’avvenuta compressione del diritto medesimo ad opera di una sanzione penale illegittimamente applicata.

Secondo i giudici europei sarebbe inconcepibile un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza subisca una pena, in quanto "[...] la logica della "pena" e della "punizione", e la nozione di "guilty" (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di "personne coupable" (nella versione francese) depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore". I giudici di Strasburgo hanno quindi operato un collegamento fra il concetto di "colpevolezza", intesa come rimproverabilità di un soggetto per un comportamento, e la necessità che tale comportamento sia accertato in una sentenza di condanna, cui devono essere collegate le garanzie previste dall’articolo 7 CEDU.

In considerazione di ciò, la Corte costituzionale ha allora osservato come «sia proprio l’accertamento della responsabilità a premere al giudice europeo» laddove nella stessa sentenza Varvara la pena è evocata proprio come conseguenza dell’accertamento della responsabilità, concludendo dunque nel senso che «simili espressioni linguisticamente aperte ad un’interpretazione che non costringa l’accertamento di responsabilità nelle sole forme della condanna penale, ben si accordano sul piano logico con la funzione, propria della Corte EDU, di percepire la lesione del diritto umano nella sua dimensione concreta, quale che sia stata la formula astratta con cui il legislatore nazionale ha qualificato i fatti».

E, come già puntualizzato, «nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità». 4.

Dopo aver preso atto degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità nella sua più autorevole espressione e riprendendo il filo del discorso con specifico riferimento alle questioni poste con il gravame, occorre dunque interrogarsi, in tema di confisca urbanistica, se ed eventualmente a quali condizioni la misura ablativa possa essere disposta in via generale e più in particolare, essendo questo il thema decidendum, possa essere disposta unitamente ad una sentenza di non doversi procedere per prescrizione emessa, ai sensi dell’articolo 129 CPP, nel corso o, se la prescrizione sia maturata, come si assume nel caso in esame, durante il processo, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, questione che, in tale ultimo caso, richiede la soluzione del problema se il giudice, in presenza di un reato prescritto, sia titolare di un generale potere di accertamento della responsabilità per disporre la confisca e quindi se possa o meno continuare a celebrare il processo, acquisendo prove in funzione di quell’accertamento strumentale all’emanazione del provvedimento ablativo.

Sul punto è d’obbligo richiamare la premessa metodologica svolta dalle Sezioni unite (SU, 31617/2015) secondo la quale i diversificati aspetti che possono caratterizzare l’istituto della confisca impongono di condurre l’analisi non avendo come riferimento un archetipo valido in assoluto, dovendo invece l’interprete concentrarsi sulla particolare ipotesi di confisca, così come positivamente disciplinata dalla legge.

Come si è visto, sia la sentenza De Maio (SU, 38834/2008) che la sentenza Lucci hanno ricordato che, in tema di confisca urbanistica, l’articolo 44, comma secondo, DPR 380/2001 stabilisce che: "La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite ...". Da ciò consegue che la disposizione normativa, in tema di confisca urbanistica, non opera alcun riferimento alla sentenza penale di condanna per il reato di lottizzazione abusiva.

Si è anche visto che tale mancato riferimento non è del tutto dirimente perché, in considerazione dei principi espressi dalla Corte EDU, ai quali il giudice comune deve prestare piena osservanza, anche la confisca cosiddetta urbanistica, risolvendosi nell’applicazione di una "pena" in colui che la subisce, presuppone un pieno accertamento della responsabilità sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo (Corte EDU, 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia), in maniera che, attraverso l’equo processo, possa risultare vinta la presunzione d’innocenza (Corte EDU, 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia).

Ciò tuttavia non vuol dire, almeno allo stato, che l’accertamento della responsabilità debba essere necessariamente contenuto in una statuizione di condanna per il reato in ordine al quale si procede, epilogo che appare escluso (non certo in assoluto, ma ope legis ipotizzabile) proprio dal tenore dell’articolo 44, comma secondo, DPR 380/2001 nonché dalla ratio legis e dalla natura dell’istituto il quale, come è noto, è sussunto nella categoria riservata alla sanzione amministrativa, sul presupposto che la confisca urbanistica sia istituto ontologicamente diverso dalla confisca disciplinata nell’articolo 240 del codice penale essendo finalizzata ad una espropriazione a favore dell’autorità comunale, a differenza della confisca codicistica che realizza una espropriazione a favore dello Stato, con la conseguenza che la confisca urbanistica rientra, al pari dell’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive di cui all’articolo 31, comma 9, DPR 380/2001, nella categoria riservata alla sanzione amministrativa, applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (ai sensi dei commi 7 e 8 dell’articolo 30 DPR 380/2001).

È evidente come siffatta ricostruzione debba tenere conto delle pronunce della Corte EDU che, vagliando analiticamente la forma della confisca urbanistica alla luce dei principi elaborati dalla stessa Corte, in particolare nella sentenza Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995, ha ritenuto come la stessa, in ragione degli scopi prevalentemente repressivi che la connotano, abbia natura penale, risultando pertanto attratta nella sfera di applicabilità dell’articolo 7 CEDU.

Da ciò il corollario che la legge dalla quale scaturisce la possibilità di infliggere una sanzione di tipo penale deve presentare i caratteri della accessibilità e della prevedibilità: vale a dire, da un lato, essa deve essere conoscibile e intelligibile da parte del soggetto al quale si rimprovera la violazione del precetto contenuto nella norma giuridica e, dall’altro, occorre la previsione delle conseguenze sanzionatorie cui si espone il contravventore, sicché, a tal fine, non rileva il nomen iuris o l’inquadramento che un istituto riceve da parte della legislazione nazionale in quanto  ad evitare da parte di queste una "truffa delle etichette" in relazione alla qualificazione giuridica del proprio apparato sanzionatorio mediante il declassamento a livello amministrativo di sanzioni che invece presentano indicatori tali da farle refluire nel terreno delle pene  è necessario procedere ad una disamina concreta delle singole misure, secondo una linea che superi il mero dato formale costituito dalla qualificazione attribuita ad un istituto dalle singole legislazioni nazionali.

Fermi tali principi, che si risolvono nel ritenere che la confisca urbanistica è formalmente una sanzione amministrativa, diversa dalla confisca "tipica", ma che, sostanzialmente e al tempo stesso, ha natura penale, essendo soggetta dunque all’apparato di garanzie predisposto specificamente per la materia penale, resta fermo anche il dato normativo, contenuto expressis verbis nella legislazione nazionale, secondo il quale, nel processo penale, la confisca urbanistica può essere disposta a seguito di un’azione (penale) di accertamento (dichiarativa) e non necessariamente (anche o solo) di condanna, il che non vuol dire che la declaratoria possa prescindere da un completo e pieno accertamento della responsabilità dell’imputato, come richiesto dalla giurisprudenza di Strasburgo, ma vuol dire che il richiesto accertamento deve essere espletato, per espressa volontà della legge nazionale, anche nell’ipotesi in cui il processo non possa concludersi con una sentenza di condanna in ordine al reato oggetto dell’imputazione penale, cosicché la confisca urbanistica può essere disposta anche in assenza di una statuizione del genere ma all’inderogabile condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva colpevole.

Ciò non abilita certo ad un esercizio dell’azione penale di mero accertamento, disgiunta dall’esercizio dell’azione penale di condanna in relazione ad un determinato reato, ma impone di considerare, secondo i principi che informano la teoria generale dell’azione, che la domanda di punizione (l’esercizio cioè della pretesa punitiva statuale in senso stretto e quindi diretta all’applicazione delle cd. "pene principali") ossia l’azione (penale) di condanna ad una pena detentiva e/o pecuniaria, come azione (penale) di cognizione, presuppone l’accertamento del fatto oggetto dell’imputazione penale e la sua piena riconducibilità, anche soggettiva, alla persona accusata di averlo commesso.

Questo completo accertamento della responsabilità personale  che, di regola, è contenuto nella statuizione di condanna allorquando, esercitata l’azione penale per l’applicazione delle sanzioni espressamente previste dalla norma penale violata, il processo penale procede ordinariamente verso la sua naturale definizione potendo essere applicate, nei casi espressamente previsti dalla legge, anche altre sanzioni di "natura penale", tipologicamente diverse perché penali-amministrative, accessorie o complementari rispetto all’azione penale in senso stretto  non è precluso (per le misure di sicurezza patrimoniali il principio è positivizzato nell’articolo 236, comma secondo, che estende il medesimo principio stabilito dall’articolo 205 per le misure di sicurezza personali) dalla presenza di condizioni che impediscono al processo penale di sfociare in una sentenza di condanna a pene principali (come nel caso della sopravvenienza di cause di estinzione del reato), sempre che l’applicazione di una misura afflittiva personale o reale sia prevista obbligatoriamente dalla legge (come nel caso, ad esempio, della confisca urbanistica che, tra l’altro, esplicitamente ammette la sentenza di accertamento nella previsione che la sentenza penale possa accertare la lottizzazione e disporre la confisca a prescindere dalla formale pronuncia di condanna), l’azione penale "principale" sia stata esercitata e la legge non richieda espressamente la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparabile (sentenza di applicazione della pena).

Quanto al requisito del previo esercizio dell’azione penale, la Corte regolatrice ha già affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei terreni oggetto di ipotizzata lottizzazione abusiva non può essere legittimamente adottato quando l’esercizio dell’azione penale risulti precluso, essendo già maturata la prescrizione del reato, poiché in tal caso è impedito al giudice di compiere, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e della sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura, presupposto necessario per disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva del reato (Sez. 3, 35313/2016).

La questione  circa la compatibilità di un completo accertamento oggettivo e soggettivo della responsabilità da espletare nel contraddittorio delle parti secondo le regole del processo equo (artt. 6 CEDU e 111 Cost.) con l’obbligo imposto al giudice, in via generale, dall’articolo 129 CPP di immediata declaratoria di una causa di non punibilità  impone poi di considerare che il riconoscimento, in capo al giudice, di poteri di accertamento - finalizzati all’adozione di una misura che incide negativamente sulla posizione dell’imputato (seppur nella sola sfera patrimoniale dell’interessato) e che presuppone l’accertamento della penale responsabilità del soggetto - rende recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato rispetto al correlativo e coesistente obbligo di accertamento.

Ciò in quanto  essendo proprio detto accertamento richiesto dalla legge (articolo 44, comma 2, DPR 380/2001) e dovendo la disposizione essere interpretata da parte del giudice nazionale in senso convenzionalmente conforme nel senso che, anche in presenza di una causa estintiva del reato, è necessario, per disporre la confisca urbanistica, procedere all’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e verificare la sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura  il principio generale risulta implicitamente derogato dalle disposizioni speciali che prevedono l’applicazione di misure le quali, per essere disposte, richiedono inevitabilmente la prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove in funzione di quell’accertamento strumentale all’emanazione del provvedimento finale.

Il che impedisce al giudice (dibattimentale) di ritenersi esonerato dal compiere l’attività istruttoria sulla base delle prove richieste dalle parti o, in quanto assolutamente necessarie, disposte d’ufficio e, al tempo stesso, gli impedisce anche di disporre, previa declaratoria di estinzione del reato, la confisca sulla base degli atti sino a quel punto acquisiti e, dunque, sulla base di un accertamento della responsabilità penale dell’imputato che  parametrato esclusivamente alla confisca  sarebbe compiuto su basi probatorie parziali ed incomplete, così da vulnerare la presunzione d’innocenza nel suo significato più sostanziale.

La conseguenza è che, preclusa la condanna a "pene principali", residua l’azione di accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato finalizzata alla confisca (urbanistica) che impedisce la immediata declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva e, in ogni caso, impedisce l’applicazione della confisca, fermo restando che o il giudice accerta, con la sentenza, che vi è stata lottizzazione abusiva in tutti i suoi estremi oggettivi e soggettivi ed è allora legittimato a disporre la confisca urbanistica oppure l’imputato può maturare, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, con formula assolutoria prevalente rispetto alla causa di estinzione del reato, con conseguente diritto allo svincolo dei beni sequestrati ed il tutto con efficacia di giudicato in altri giudizi.

Sulla base di tale quadro di riferimento, un’interpretazione convenzionalmente conforme, cui il giudice nazionale è tenuto, dell’articolo 44, comma secondo, DPR 380/2001 implica che, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), non ha l’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità ex articolo 129 CPP.

Ulteriore conseguenza è che il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), proseguire nell’istruttoria dibattimentale, differendo, se del caso, la declaratoria di estinzione del reato all’esito del giudizio e disponendo la confisca urbanistica a condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.

Tale esegesi deve inoltre ritenersi anche costituzionalmente conforme perché in linea con le pronunce della Corte costituzionale (sentenza 49/2015 ed ordinanza 187/2015), la quale ha affermato che la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, con la conseguenza che i canoni dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme devono orientare il giudice comune ad escludere che la condanna penale costituisca presupposto esclusivo per disporre la confisca urbanistica, non potendosi esigere la condanna penale per l’applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale è, secondo la giurisprudenza costante, la confisca di una lottizzazione abusiva), per quanto assistita dalle garanzie della "pena" ai sensi dell’art. 7 CEDU, determinandosi altrimenti l’integrale assorbimento della misura nell’ambito del diritto penale e rappresentando una soluzione di dubbia compatibilità con il «principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell’ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire» (sentenza 487/1989; in seguito, sentenza 49/2015).

Il giudice delle leggi ha poi considerato che, ai fini dell’osservanza della CEDU, rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell’accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza, con la conseguenza che il pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze 49/2015, 239/2009 e 85/2008).

Epiloghi, quelli sin qui richiamati, cui era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità quando ha affermato che la confisca dei terreni può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, della prescrizione), purché sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere.

Da tutto ciò discende come sia del tutto inconferente il richiamo al principio recentemente affermato, ad altri fini, dalle Sezioni unite secondo il quale l’articolo 129 CPP si muove nella prospettiva di interrompere, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, cristallizzando l’accertamento a quanto già acquisito agli atti (SU, 28954/2017) in quanto, come si è visto, tale principio trova, nel caso della confisca urbanistica, smentita proprio nella disciplina positiva, come in precedenza ricostruita, e nella necessità di assicurare una interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente conforme dell’articolo 44, comma secondo, DPR 380/2001 in una cornice di tutela dei diritti della persona, non privata di un accertamento in contraddittorio quanto al fatto che vi sia stata o meno lottizzazione e senza che possa risultare pregiudicata l’applicazione della causa estintiva suscettibile di essere superata esclusivamente da una formula di proscioglimento nel merito, qualora si accerti l’insussistenza della lottizzazione (la ricostruzione sistematica si deve a Sez. 3, 15126/2018).