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Art. 230 - Casi nei quali deve essere ordinata la libertà vigilata

1. La libertà vigilata è sempre ordinata:

1) se è inflitta la pena della reclusione per non meno di dieci anni: e non può, in tal caso, avere durata inferiore a tre anni;

2) quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale;

3) se il contravventore abituale o professionale, non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un nuovo reato, il quale sia nuova manifestazione di abitualità o professionalità;

4) negli altri casi determinati dalla legge.

2. Nel caso in cui sia stata disposta l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, il giudice, al termine dell’assegnazione, può ordinare che la persona da dimettere sia posta in libertà vigilata, ovvero può obbligarla a cauzione di buona condotta.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 230, comma primo, n. 1) impone l’applicazione della libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni, sempre che sia stata accertata l’attuale pericolosità di colui che è stato condannato a non meno di dieci anni di reclusione, ma non esclude, nella lettura della medesima norma coordinata con quella prevista dall’art. 228, comma terzo, (lì dove è previsto solo il limite minimo di un anno), che il giudice possa applicare la libertà vigilata per il medesimo tempo di tre anni anche al condannato a pena inferiore a dieci anni (Sez. 1, 42804/2017).

In coerenza con le indicazioni della Consulta (Corte costituzionale, 270/1993), per la quale, sebbene detenzione e libertà vigilata non siano omogenee e nemmeno equiparabili nelle conseguenze concretamente afflittive per il sottoposto, tali istituti sono comunque accomunati dall’effetto limitativo della libertà individuale che comportano e dalla funzione rieducativa che perseguono, da considerarsi prevalente sulle esigenze punitive e social-preventive, anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato la riconducibilità della libertà vigilata conseguente a liberazione condizionale al novero delle misure alternative alla detenzione e ha riconosciuto che il relativo periodo debba essere considerato come "esecuzione della pena a tutti gli effetti".

Ed in forza di tali considerazioni si è ravvisato nel delitto non colposo commesso nel periodo di sottoposizione a libertà vigilata, per il quale sia intervenuta condanna irrevocabile, legittima causa di revoca della liberazione anticipata ai sensi del terzo comma dell’art. 54 Ord. pen. (Sez. 1, 39854/2012).

Mentre con la procedura prevista per gli incidenti di esecuzione possono essere applicate le pene accessorie che conseguono per legge alla condanna, non può essere applicata con la predetta procedura alcuna misura di sicurezza, che ha come presupposto il giudizio sulla pericolosità del condannato, demandato al giudice della cognizione ovvero al magistrato di sorveglianza (Sez. 1, 20925/2015).