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Art. 20 - Pene principali e accessorie

1. Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 597, terzo comma, CPP non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibiti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti le pene accessorie (le quali, secondo il disposto dell’art. 20, conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa), con la conseguenza che al giudice di secondo grado è consentito applicare d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del PM (SU, 8411/1998).

È principio generale che deve considerarsi legittima l’applicazione d’ufficio, da parte del giudice di appello, delle pene accessorie non applicate in primo grado, ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del PM, in quanto la previsione di cui all’art. 597, comma 3, CPP  che sancisce il divieto della reformatio in peius quando appellante sia il solo imputato  non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi, inibiti al giudice di appello, quelli concernenti le pene accessorie, le quali, ex art. 20, conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa (Sez. 3. 30122/2017).

La pena principale e tutte le pene accessorie che conseguono di diritto alla sentenza di condanna, come effetti penali della stessa, ai sensi dell’art. 20, sono caducate in caso di proscioglimento dell’imputato, anche se pronunciato a seguito della estinzione del reato per prescrizione (Sez. 2, 38345/2016).

La confisca di valore o per equivalente persegue la finalità di colpire il patrimonio del responsabile del reato quando non sia possibile sottoporre a confisca "diretta" il bene derivato dal reato stesso perché non più nella sua disponibilità; a fronte della commissione di determinate tipologie di illeciti penali ed alla "trasformazione, l’alienazione o (al)la dispersione di ciò che rappresenti il prezzo o il profitto del reato" l’ordinamento reagisce con uno strumento che sottrae il vantaggio patrimoniale conseguitone, non più materialmente rintracciabile, mediante la privazione del valore corrispondente (SU, 31617/2015).

A ragione degli effetti prodotti e della "ratio" dell’istituto, orientato a prevenire la commissione degli illeciti ed a disincentivarne la vantaggiosità patrimoniale, le Sezioni unite hanno quindi aderito alla tesi della natura punitiva della confisca per equivalente, disciplinata dall’art. 322-ter, che assume così i tratti distintivi di una vera e propria sanzione, non parametrata né sulla colpevolezza dell’autore del reato, né sulla gravità della condotta.

Per rafforzare l’efficacia della misura, il legislatore ne ha stabilito l’obbligatoria imposizione secondo la testuale previsione dell’art. 322-ter, primo e secondo comma, per il quale la confisca "è sempre ordinata", anche quando l’imputato definisca il procedimento mediante sentenza di applicazione della pena su richiesta e la sua statuizione non rientri nell’accordo delle parti: la pattuizione raggiunta ai sensi dell’art. 444 riguarda unicamente il trattamento sanzionatorio in senso proprio e non include anche la confisca, la cui adozione è rimessa all’intervento decisorio del giudice che vi provvede, esercitando poteri cognitivi non diversi da quanto richiesto nel giudizio dibattimentale (Sez. 1, 23716/2017).

Sono riconducibili al novero delle pene accessorie, la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale, quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale, ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37, a quella della pena principale inflitta (SU, 6240/2015).

Il beneficio della sospensione condizionale della pena si applica alle pene principali ed accessorie, ma non alle sanzioni amministrative, tra le quali rientra l’ordine di demolizione delle opere edilizie abusivamente realizzate, il quale conserva la sua natura di sanzione amministrativa anche se irrogato con provvedimento giurisdizionale (Sez. 3, 34297/2007).

Soltanto in riferimento alle sanzioni principali l’onere di procedere ad esecuzione è soggetto al rispetto di un termine, coincidente con quello di prescrizione, previsto dall’art. 172, nel senso che la sottoposizione del condannato alla pena potrà avvenire in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato sino a che la stessa non sia estinta per l’inutile decorso del lasso di tempo previsto dalla legge. Ma analoga disciplina non è prevista in riferimento alle pene conseguenti a quelle principali, che, in quanto effetto penale della condanna ai sensi dell’art. 20, non sono soggette a prescrizione nel difetto di qualsiasi previsione normativa che stabilisca espressamente un regime parallelo a quello cui soggiacciono le pene principali (Sez. 1, 33541/2016).

Il divieto della reformatio in peius che, nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, l’ordinamento processuale impone al giudice di appello, attiene alle ipotesi di aggravamento  per specie o quantità  della pena, di applicazione di nuova o più grave misura di sicurezza, di pronunzia di proscioglimento con formula meno favorevole o di revoca di benefici; in detto divieto non è compreso l’ordine di demolizione della costruzione abusiva, impartito dal giudice ai sensi dell’art 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, trattandosi non di pena accessoria, ma di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, consequenziale alla sentenza di condanna e la cui irrogazione costituisce atto dovuto (Sez. 3. 30122/2017).

L’affidamento in prova, disciplinato all’art. 47 L. 354/1975, costituisce una misura alternativa alla detenzione che si realizza mediante l’affidamento del condannato ai servizi sociali per un dato periodo di tempo e la contestuale imposizione nei suoi confronti di determinate regole di condotta. Tale misura ricollega all’esito positivo della prova, fatto eventuale e condizionato, l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale (Sez. 5, 33138/2018).

Per "effetto penale" della condanna deve intendersi ogni conseguenza di essa che si risolva in incapacità giuridiche o che comporti limitazioni o preclusioni all’esercizio di facoltà o alla possibilità di ottenere benefici o che rappresenti il presupposto di inasprimento del sistema precettivo o sanzionatorio riguardante il successivo comportamento del soggetto (Sez. 1, 32428/2016).

Gli effetti penali della condanna si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, "ope legis", dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale (SU, 7/1994).

Poiché l’art. 20 definisce testualmente le pene accessorie come effetti penali della condanna, che conseguono di diritto alla stessa (così che la statuizione giudiziale che le applica ha natura eminentemente dichiarativa), deve concludersi che le pene stesse rientrano tra gli effetti automaticamente estinti, in forza del disposto dell’art. 47 comma 12 Ord. pen., dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale (Sez. 1, 52551/2014).