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Art. 390 - Procurata inosservanza di pena

1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta taluno a sottrarsi all’esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di condannato per contravvenzione (1).

2. Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell’articolo 386.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Gli artt. 378 e 390 definiscono reati di pericolo a forma libera, che sono integrati da qualunque condotta, attiva o omissiva, che provochi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le ricerche (e le investigazioni) sono già in corso (o si potrebbero iniziare), non essendo necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito (Sez. 6, 9415/2016), ma occorrendo solo la prova della oggettiva idoneità della condotta favoreggiatrice ad intralciare il corso della giustizia (Sez. 6, 24535/2015) (riassunzione dovuta a Sez. 6, 29816/2017).

Integra il reato di procurata inosservanza di pena (art. 390) - che è reato a forma libera - la condotta che costituisce concausa produttiva dell’effetto conseguito dal condannato, sicché l’aiuto prestato deve essere in connessione causale con l’intenzione del condannato di sottrarsi all’esecuzione della pena; l’elemento soggettivo richiede il dolo generico, che presuppone la consapevolezza da parte dell’agente della posizione di condannato della persona aiutata (Sez. 5, 18368/2014).

La condotta del reato di procurata inosservanza di pena consiste in un’attività volontaria, specificamente diretta ad eludere l’esecuzione della pena, che concorre con quella del condannato ricercato e che l’aiuto prestato dal terzo integra gli estremi del reato in questione solo quando è in rapporto di causalità con l’intenzione del condannato di sottrarsi all’esecuzione della pena. Sulla base di tali principi, si è esclusa la responsabilità di chi, pur consapevole della condizione di condannato che si sottrae all’ordine di carcerazione, non svolge alcuna specifica attività di copertura del latitante rispetto alle ricerche degli organi di polizia, ma intrattiene con questi rapporti interpersonali leciti, non svolgendo nessuna attività concreta per favorirne l’intento (Sez. 6, 9936/2003).

La condotta del reato di procurata inosservanza di pena, secondo la consolidata interpretazione di legittimità, consiste in un’attività volontaria, specificamente diretta ad eludere l’esecuzione della pena, che concorre con quella del condannato ricercato; tale attività, che può assumere le forme più diverse, trattandosi di reato a forma libera, deve tuttavia risolversi in uno specifico aiuto prestato al condannato, idoneo a conseguire l’effetto di sottrarlo all’esecuzione della pena e ad assicurargli effettiva copertura :in particolare l’aiuto deve essere in rapporto di causalità con l’intenzione del condannato di sottrarsi all’esecuzione della pena.

Ne consegue che non può ritenersi responsabile del reato in esame colui che, anche se a conoscenza della qualità di condannato di una persona e del suo proposito di sottrarsi all’esecuzione della pena, non svolge alcuna specifica attività di copertura del latitante rispetto alle ricerche degli organi di polizia, ma intrattiene con questi rapporti interpersonali leciti (Sez. 6, 3613/2005).