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Art. 346-bis - Traffico di influenze illecite (1)

1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.

2. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità.

3. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

4. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 75, lett. r), L. 190/2012 e di seguito sostituito dalla L. 3/2019.

Rassegna di giurisprudenza

Si riporta anche la giurisprudenza correlata all’abrogato art. 346.

In tema di traffico di influenze illecite, la mediazione può ritenersi illecita quando è finalizzata alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente. Diversamente, in presenza dell'ipotesi aggravata prevista dal terzo comma dell'art. 346-bis della "mediazione qualificata" ovvero del traffico influenze illecite che vede protagonista, come trafficante, un pubblico agente, il carattere illecito della mediazione c.d. onerosa realizzata dal ricorrente discende, ancor prima e indipendentemente dal risultato illecito che le parti intendevano perseguire, dalla vendita da parte del pubblico ufficiale della sua influenza su altri pubblici agenti. In tale evenienza, infatti, la stessa mediazione (farsi promettere o ricevere denaro in cambio della propria interferenza) costituisce per il pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri di ufficio e quindi sufficiente a costituire il disvalore apprezzabile penalmente tutelato dalla norma (Sez. 6, 40518/2021).

Con riferimento alla condotta di chi, vantando un'influenza  effettiva o meramente asserita  presso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, si faccia dare denaro e/o altre utilità come prezzo della propria mediazione, sussiste piena continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 346, formalmente abrogata dall'art. 1, comma 1 lett. s), della L. 3/2019, e la fattispecie di cui all'art. 346-bis, come novellato dall'art. 1, comma 1 lett. t), stessa legge (Sez. 36222/2019).

In tema di millantato credito di cui all’art. 346, l’ipotesi del secondo comma, diversamente da quella prevista dal primo comma, integra una figura particolare di truffa, non essendovi riferimenti espressi né alla mediazione e né alla millanteria, che, includendo anche la tutela del patrimonio della persona ingannata, comporta l’assorbimento della truffa con la conseguente esclusione del concorso formale tra i due reati. Il millantato credito, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, si configura come reato plurioffensivo, che lede in ogni caso anche il patrimonio della vittima dell’inganno, con l’effetto che la tutela del patrimonio resta assicurata dalla sola applicazione di siffatta norma incriminatrice senza il concorso della truffa, e senza che rilevino gli ulteriori raggiri che fuoriescono dallo schema tipico del millantato, atteso che, come nella truffa, anche se i raggiri sono plurimi e differenziati, il reato rimane unitario (Sez. 6, 12210/2019).

Il millantato credito, sia nell’ipotesi del primo sia del secondo comma dell’art. 346, presuppone che il pubblico ufficiale rimanga estraneo all’accordo illecito che deve intercorrere unicamente tra l’autore del reato ed il soggetto indotto a dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della illecita mediazione o con il pretesto di dover comprare o remunerare il pubblico ufficiale. Proprio perché presuppone come necessaria la mediazione illecita tra il millantatore ed il pubblico impiegato destinatario del denaro, detto delitto non è configurabile nel caso in cui si verifichi la partecipazione diretta anche di altro soggetto che si attribuisca falsamente la qualifica del predetto soggetto pubblico, perché un tale intervento è incompatibile con la struttura del reato che richiede che il pubblico ufficiale denigrato rimanga estraneo all’accordo (Sez. 6, 12210/2019).

La L. 190/2012 ha introdotto  in adempimento alle indicazioni provenienti dalle Convenzioni Internazionali in materia di corruzione ratificate dall’Italia  la nuova fattispecie di cui all’art. 346-bis che, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione di cui agli artt. 319 e 319-bis, punisce la condotta di colui che, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. A differenza del millantato credito, inoltre, viene punito anche il soggetto privato che dà o promette il denaro o il vantaggio patrimoniale, sia per il fine della prima parte che per quello della seconda (art. 346-bis, comma 2). Il privato  si è osservato in dottrina  cessa, così, di essere il malcapitato "compratore di fumo", beffato nel millantato credito, eventualmente da tutelare sotto il profilo dell’interesse patrimoniale leso, e diviene punibile per il pactum sceleris contratto quale controparte dell’accordo inteso a sfruttare le relazioni del mediatore, che devono dunque esistere in concreto. Dalla figura delittuosa in esame è stata espunta ogni nota di frode od inganno, polarizzando la fattispecie incriminatrice sul disvalore del mercanteggiamento dell’ingerenza nell’attività della pubblica amministrazione con lo scopo di colpire il fenomeno di intermediazione illecita tra il privato e il pubblico funzionario, finalizzato alla corruzione di quest’ultimo. Scomparsa ogni assonanza del delitto in esame con quello di truffa  assonanza che ancora connota il delitto di cui all’art. 346 , l’art. 346-bis mira a colpire la lesione o messa in pericolo dell’immagine e dell’interesse alla trasparenza della pubblica amministrazione cui fa da sfondo la probità dei suoi funzionari. Le indicazioni ricavabili dal complesso degli obblighi internazionali cui si è voluto corrispondere attraverso la incriminazione della condotta di traffico di influenze; la enunciazione del presupposto negativo del fatto tipico (fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319-ter); la incriminazione anche del soggetto privato che dà o promette denaro, rendono evidente la finalità della norma incriminatrice, intesa a sanzionare un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione, ratio vieppiù palese ove si rifletta che la figura del trading in influence, nota nel contesto internazionale, secondo la giurisprudenza di legittimità, si poneva al di fuori della tipicità delle norme incriminatrici della corruzione contemplate dall’ordinamento, presupponendo, questa, un nesso tra il pubblico ufficiale e l’atto d’ufficio oggetto del mercimonio e non potendo essere dilatata fino al punto da comprendervi, con una operazione analogica non consentita in materia penale anche la mera venalità della carica. Con la introduzione della fattispecie si intende, così, intralciare, mediante una tecnica di tipizzazione anticipata, la realizzazione di condotte concretamente pericolose per i valori del buon andamento e dell’imparzialità dei funzionari della pubblica amministrazione, colpendo uno dei momenti anteriori a quelli dell’adozione, a vantaggio dell’istigatore iniziale, di un atto contrario ai doveri di ufficio o l’omissione/ritardo di un atto di ufficio e, cioè, la sollecitazione o offerta di denaro o altro vantaggio patrimoniale  cioè di benefici economicamente quantificabili  in vista dello sfruttamento di relazioni esistenti con il pubblico agente, momento che normalmente costituisce il primo stadio di una trattativa illecita, rispetto alla quale rimangono irrilevanti sia l’effettivo esercizio dell’influenza sia, a fortiori, il raggiungimento dell’esito voluto dall’istigatore iniziale. Sotto altro aspetto, la collocazione della norma, che segue quella del millantato credito; la prospettazione, da parte dell’agente intermediario, della necessità di esercitare opera di mediazione verso il soggetto pubblico rispetto alle attese e richieste del privato e la stessa scansione della fattispecie incriminatrice, avvicinano la figura delittuosa in esame al reato di millantato credito e pongono la questione della individuazione degli elementi di diversificazione tra le due fattispecie e che, nel caso in esame, alla stregua del diverso inquadramento contenuto nella sentenza di primo grado e in quella di appello, è dato dalla esistenza delle relazioni con il pubblico funzionario o incaricato di pubblico servizio destinatario della mediazione, esistenza della relazione che costituisce il presupposto della mediazione e l’oggetto dello sfruttamento e che è stata valorizzata nella sentenza di primo grado come elemento di rilievo per la sussunzione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 346-bis e posta a fondamento della mediazione da parte del ricorrente ovvero nella prospettazione della corruttibilità del destinatario della mediazione, rivelatasi del tutto infondata, valorizzata nella sentenza impugnata ai fini dell’inquadramento del fatto nella fattispecie di cui all’art. 346. Ciò premesso, si rileva che la norma incriminatrice di cui all’art. 346-bis non precisa se il reato sia configurabile anche nel caso in cui la stessa sia effettivamente esercitata nei confronti del soggetto pubblico  in mancanza della promessa o corresponsione alcunché, ricadendosi, altrimenti nella ipotesi della istigazione alla corruzione, in caso di mancata accettazione, ovvero di corruzione, nel caso di accettazione  o debba, invece, restare unicamente a livello di prospettazione, senza che l’intermediario abbia effettivamente ad agire, scelta ermeneutica, quest’ultima, che accentua la funzione della fattispecie in esame di tutela anticipata all’imparzialità della pubblica amministrazione, punendo chi offre e chi acquista una mediazione illecita nei confronti di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio  e, dunque, ne fa commercio  a prescindere che tale mediazione possa diventare episodio corruttivo. Né la norma di cui all’art. 346-bis chiarisce il grado di relazione con il soggetto pubblico, necessario affinché l’esistenza possa ritenersi realizzata: al di là dell’indistinto richiamo alla esistenza, l’aggettivazione sfugge ad una più precisa descrizione, circa l’intensità e la durata, ed è idonea a ricomprendere sia rapporti occasionali e sporadici, sia rapporti stabili e duraturi. È, però, indubbio che la esistenza della relazione con il soggetto pubblico costituisce il sostrato dello sfruttamento della influenza che l’agente è in grado di esercitare per soddisfare le esigenze di un soggetto che è ben consapevole di dovere comprare i favori del pubblico ufficiale, e che per questa ragione viene punito, sicché è necessario che, nel reato in esame, lo sfruttamento delle relazioni esistenti si leghi in modo inscindibile con la dazione o la promessa del denaro o altro vantaggio patrimoniale, nel senso che lo sfruttamento costituisce la ragione per cui avviene tale dazione o tale promessa atteggiandosi l’uno come risorsa e l’altra come vantaggio. In altre parole, la dazione o la promessa costituiscono il corrispettivo dello sfruttamento di relazioni esistenti e tale sfruttamento in favore del compratore di influenze deve costituire la causa o quanto meno il motivo determinante dell’accordo con l’intermediario. Può, dunque, pervenirsi ad una prima conclusione secondo la quale l’esistenza delle relazioni tra intermediario e soggetto pubblico, che nell’ottica del patto dovranno essere sfruttate, è il presupposto del reatoMa la realtà della relazione non è da sola sufficiente a connotare la sussistenza del reato poiché, come accennato, la vera causa del negozio illecito tra il mediatore e il soggetto privato interessato è costituita dallo sfruttamento della esistente relazione per determinare, o perlomeno, orientare il comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Indubbiamente un peso specifico, in termini di capacità di influenza, possiedono alcune relazioni  si pensi alle relazioni di parentela, sentimentali, amicali, di subordinazione o di rapporto lavorativo, presenti al momento del reato  rispetto ad altre, saltuarie, incostanti o desuete, ma pure esse reali, al pari di quelle di chi, occasionalmente e senza alcuna confidenza, incontra il pubblico agente, situazioni, soprattutto queste ultime, che presentano connotati di affinità con le ipotesi di millantato credito esaminate nella giurisprudenza fino all’entrata in vigore della L. 190/2012 nelle quali l’autore del reato aveva un rapporto reale con il pubblico ufficiale e, amplificando  il proprio credito verso di lui, abbia indotto il soggetto passivo a credere di poter ottenere il favore e a riconoscergli il prezzo della mediazione o del corrispettivo dovuto al pubblico ufficiale o incaricato del pubblico servizio per comprarne il favore o remunerarlo. Ne consegue che i rispettivi ambiti delle fattispecie di cui all’art. 346 e 346-bis possono essere così ricostruiti: il traffico di influenze incrimina le condotte nelle quali le relazioni tra mediatore e pubblico agente siano esistenti e reale sia il potere di influenza del mediatore sul pubblico funzionario. Invece il millantato credito incrimina i casi in cui il potere di influenza non ci sia, siano le relazioni esistenti o inesistenti, ma tale potere è ostentato ugualmente dal millantatore, al fine di ricevere un indebito vantaggio da chi, raggirato, è configurato come vittima del reato. Il compratore di influenze, per essere considerato soggetto attivo, deve essere consapevole che il potere di influenza sia esistente e che quindi il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo concretamente perseguibile. Viceversa, la fattispecie di millantato credito verrà in rilievo in tutte le ipotesi in cui il credito sia fasullo e posticcio e, pertanto, non esista né la relazione con il pubblico ufficiale, tanto meno l’influenza (Sez. 6, 53332/2017).

Quel che differenzia, dal punto di vista strutturale, il reato di traffico di influenze illecite dalle fattispecie di corruzione è la connotazione causale del prezzo, finalizzato in tal caso a retribuire soltanto l’opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all’agente pubblico (Sez. 6, 4113/2017).

Risponde di corruzione, e non di traffico di influenze illecite, colui il quale pone in essere un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra corruttore e corrotto (Sez. 6, 3606/2017).

Il discrimine fra il delitto di millantato credito previsto dall’art. 346 e quello di traffico di influenze di cui all’art. 346-bis si individua nell’esistenza o meno della relazione con il pubblico ufficiale suscettibile di essere sfruttata per favorire il privato: il millantato credito presuppone, difatti, che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l’influenza, mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale (Sez. 6, 37463/2017).

Le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o un’altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, riconducibili, prima della L. 190/2012, al reato di millantato credito, devono essere sussunte dopo l’entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, nella fattispecie di cui all’art. 346-bis, che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità tra norma generale e quella speciale (Sez. 6, 51688/2014).

I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere qualora allo specifico raggiro della fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni un’ulteriore attività diretta alla induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno (Sez. 6, 9961/2017).

Nella diversità dell’oggetto della tutela penale, consistente nel millantato credito di cui al secondo comma dell’art. 346 nel prestigio della pubblica amministrazione e nella truffa patrimonio, può aversi concorso tra i due reati là dove allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni un’ulteriore attività diretta all’induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno (Sez. 6, 9960/2017).

La fattispecie di cui all’art. art. 346-bis è configurabile soltanto in rapporto alla indebita "mediazione" verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (e non in genere verso un qualsiasi dipendente pubblico: id est "pubblico impiegato"); mediazione da correlare necessariamente al compimento della funzione o del servizio pubblico svolti dal potenziale destinatario della mediazione o influenza illecita prefigurate, grazie alle "relazioni esistenti" con costui e - dunque - reali e non soltanto vantate o millantate, dal soggetto interpostosi come "mediatore" (Sez. 6, 17941/2013).