x

x

Art. 444 - Commercio di sostanze alimentari nocive

1. Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 51 (1).

2. La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 444 che punisce l’attività di commercializzazione e comunque di messa in circolazione di sostanze alimentari nocive, rappresenta la norma di chiusura posta a presidio del bene della salute pubblica, ponendosi in linea di continuità con le disposizioni precedenti che sanzionano le condotte poste in essere nella fase preparatoria e produttiva, garantendo così la copertura di tutela dell’intero ciclo distributivo.

La fonte di pericolosità delle res di cui all’art. 444 viene tradizionalmente ricondotta a fenomeni naturali come l’insorgere di processi modificativi di spontanea degenerazione degli alimenti che sono originariamente genuini (il che può avvenire per effetto di decomposizione, ammuffimento, putrefazione per lo più riconducibili, nella forma colposa, a cattivi stati di conservazione) o a trasformazioni indotte dall’uomo che non ne devono concretizzarsi in una modificazione della composizione organolettica dell’alimento mediante l’aggiunta di elementi estranei, tale da comportare una immutatio tra quelle descritte dalle norme precedentemente richiamate, ovvero l’adulterazione, il corrompimento e la contraffazione.

Orbene, l’acqua trattata e non trattata destinata all’alimentazione fornita tramite una rete di distribuzione dell’acquedotto non è suscettibile di subire i processi di trasformazione naturale previsti da detta norma in ragione della elementare composizione chimica né può essere ricondotta alla nozione di «sostanze alimentari».

A differenti conclusioni deve pervenirsi con riferimento alle acque minerali confezionate ed immesse sul mercato, previa autorizzazione dell’autorità sanitaria, e dalle bevande in genere che vanno qualificate tra gli «alimenti». Si rammenta che, ai sensi dell’art. 2 Reg. CE n. 178/2002, il termine alimento designa qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento.

Ad ulteriore supporto di tali conclusioni perviene autorevole dottrina la quale sostiene che l’acqua destinata all’alimentazione esula dall’oggetto di tutela dell’art. 444. A sostegno di tale tesi, viene rimarcata l’evidente eterogeneità della formulazione letterale di detta norma laddove vengono richiamate solo le «sostanze destinate all’alimentazione» rispetto agli artt. 440 e 442. che menzionano espressamente le «acque», in aggiunta alle «sostanze alimentari».

Ed ancora risulta significativo il fatto che manca nell’art. 444. il riferimento alla condotta del «corrompimento», tradizionalmente associata al concetto di acqua, per quanto è dato evincere dall’art. 318 del codice Zanardelli che dalla legislazione sanitaria dell’epoca (art. 44 legge 22 dicembre 1888, n. 5849), mentre essa è puntualmente menzionata negli artt. 440 e 442 che hanno ad oggetto proprio la tutela delle «acque (Sez. 5, 17979/2013).

Il reato di commercio di sostanze alimentari nocive è reato di pericolo per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute, la quale non necessariamente deve essere accertata tramite indagini peritali (Sez. 4, 3457/2015, in fattispecie in cui si è ritenuta integrata la prova del reato dalla tossinfezione contratta da un cospicuo numero di commensali ai quali erano stati somministrati i medesimi pasti in determinate mense scolastiche, considerata unitamente all’inosservanza eclatante delle norme igieniche di base negli ambienti destinati alla conservazione degli alimenti ed alla preparazione dei pasti).

La attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica non può certamente essere meramente ipotetica, occorrendo un pericolo concreto la cui dimostrazione tuttavia non abbisogna necessariamente di indagini peritali, poiché il giudice di merito può ricavarla da qualsiasi mezzo di prova e dalla comune esperienza (Sez. 4, 5472/2018).

Allorché nella condotta tenuta siano ritenuti sussistenti gli estremi della pericolosità per la salute pubblica, è esclusa l’applicabilità degli artt. 5 e 6 L. 283/1962, restando le relative contravvenzioni assorbite nei delitti previsti dagli artt. 444 e 452 (Sez. 4 44779/2007).

La pericolosità per la salute pubblica va intesa ovviamente non con riferimento all’intera collettività, ma in “incertam personam”, con riferimento cioè a quanti possano usufruire di quel tipo di bene o servizio (Sez. 4, 36345/2005).

In tema di reati contro l’incolumità pubblica, tra l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 442 (commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate) e quella di cui all’art. 444 (commercio di sostanze alimentari nocive) la differenza sostanziale non risiede nella natura delle sostanze prese in considerazione, bensì nell’attività posta in essere dal soggetto agente, considerato che l’elemento materiale della prima ipotesi è costituito dall’opera di corruzione o adulterazione delle sostanze alimentari destinate all’alimentazione o al commercio compiuta “da altri”, mentre l’elemento oggettivo della seconda consiste nella detenzione per il commercio o nella distribuzione per il consumo di sostanze che non siano state contraffatte o adulterate, ma che siano, comunque, pericolose per il consumatore, di guisa che il carattere nocivo della sostanza non dipende in quest’ultima ipotesi da una “immutatio” tra quelle descritte nella prima ipotesi (alterazione, corruzione, adulterazione), ma da altre cause, quali ad esempio il cattivo stato di conservazione o la provenienza delle carni da animali malati.

Ciò che distingue l’una fattispecie dall’altra è l’attività posta in essere dal soggetto agente, nel senso che l’elemento materiale della prima ipotesi si configura nell’opera di corruzione o adulterazione delle sostanze alimentari destinate all’alimentazione o al commercio compiuta da altri, mentre l’elemento oggettivo della seconda si configura nella detenzione per il commercio o nella distribuzione per il consumo.

In conseguenza, oggetto degli accertamenti è, in un caso se “altri” abbia corrotto o adulterato le sostanze alimentari (nel qual caso si configura la fattispecie di cui all’art. 442), o se invece, l’agente senza avere posto in essere alcuna attività di adulterazione, si sia limitato a detenere o a porre in commercio sostanze alimentari comunque nocive alla salute pubblica, nel qual caso la fattispecie ravvisabile è quella di cui all’art. 444 (Sez. 4, 3842/2018).

Il requisito della pericolosità per la salute pubblica, necessario per poter configurare i reati di cui agli artt. 440 e 444, che non richiedono la verificazione di alcun effettivo pregiudizio, deve essere accertato concretamente, di volta in volta, attraverso l’individuazione dei requisiti specifici della sostanza alimentare in contestazione. Nella considerazione del legislatore l’attitudine che devono possedere le condotte incriminate non può risolversi in una mera ipotesi, né in un’astrazione, ma occorre il pericolo concreto di un pregiudizio al bene tutelato, la cui sussistenza va dimostrata specificamente mediante indagine tecnica, oppure tramite qualsiasi altro mezzo di prova.

L’opzione esegetica qui ribadita si avvale dell’autorevole conferma offerta dalla giurisprudenza costituzionale. La Consulta nella sentenza 326/1993, nell’affrontare la questione d’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, del DLGS 118/1992, il quale punisce la somministrazione di sostanze stilbeniche ad animali “da azienda”, ossia allevati per essere destinati all’alimentazione umana, sotto qualunque forma e per qualunque via, ha trattato anche il tema dei rapporti tra la norma scrutinata e quella di cui all’art. 440, di cui ha riconosciuto la reciproca autonomia.

Nell’analisi dei connotati fondamentali e tipici delle fattispecie penali a raffronto, che ha rimarcato come nettamente distinti, ha evidenziato la distinta struttura dei due illeciti, che richiedono sul piano oggettivo, nel caso della contravvenzione la mera somministrazione delle sostanze cancerogene, nel caso del delitto di cui all’art. 440 il compimento dell’attività di corruzione o adulterazione di sostanze destinate all’alimentazione” ed il realizzarsi del “pericolo concreto per la salute pubblica, elemento, questo, che non si riscontra nella fattispecie legale di reato introdotta dalla norma denunziata: con quest’ultima il legislatore, sulla base di una generica previsione di pericolo astratto, più coerente con una fattispecie contravvenzionale, ha arretrato la soglia della punibilità di interventi su sostanze destinate all’alimentazione umana, alla somministrazione in sé considerata” (Sez. 1, 54083/2017).

L’art. 444 vieta la detenzione per il commercio, la messa in commercio ovvero la distribuzione per il consumo di sostanze destinate all’alimentazione non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica. La norma tutela in modo specifico la salute pubblica e si riferisce alle sole sostanze destinate all’alimentazione umana, tra le quali vanno certamente ricompresi anche i cosiddetti integratori alimentari (Sez. 3, 26518/2008).

Per cui la messa in circolazione di integratori dietetici di libera vendita, contenenti, tra gli altri, un componente con effetto farmacologico, nella rilevata percentuale dello 0,22% sul peso totale pari a mg. 26 per ogni busta integra il reato di commercio di sostanze alimentari nocive, per la concreta e verificata attitudine del prodotto a recare nocumento alla salute pubblica, in quanto la presenza non dichiarata del detto componente costituiva grave rischio per la salute dei consumatori, specie di quelli di età matura sottoposti a terapia cardiotonica (Sez. 1, 39114/2016).

Gli animali vivi, pur non potendosi considerare, sotto un profilo strettamente fisiologico, “sostanze alimentari”, tali devono considerarsi sotto quello funzionale, data la loro destinazione all’alimentazione (Sez. 1, 5536/2001).