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Art. 147 - Rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena (1)

1. L’esecuzione di una pena può essere differita:

1) se è presentata domanda di grazia, e l’esecuzione della pena non deve esser differita a norma dell’articolo precedente;

2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

3) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni (2).

2. Nel caso indicato nel n. 1, l’esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata.

3. Nel caso indicato nel numero 3) del primo comma il provvedimento è revocato, qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre (3).

4. Il provvedimento di cui al primo comma non può essere adottato o, se adottato, è revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti (4).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 279/2013, ha dichiarato, tra l’altro, inammissibili le questioni di legittimità del presente articolo, in riferimento agli articoli 2, 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 848/1955.

(2) Numero così sostituito dall’art. 1, L. 40/2001.

(3) Comma prima sostituito dall’art. 1, L. 40/2001 e poi così modificato dall’art. 93, comma 1, lettera h), DLGS 154/2013.

(4) Comma aggiunto dall’art. 1, L. 40/2001.

Rassegna di giurisprudenza

A fronte di rilievi medici indicanti una incompatibilità relativa e della menzione di apprezzabili criticità delle condizioni di salute del condannato, il mantenimento della detenzione inframuraria deve essere supportato dalla verifica della compatibilità, basata su dati aggiornati, all'occorrenza valutati con una nuova perizia (La Corte ha annullato con rinvio l’impugnata ordinanza essendo emersa - sia pure in tempo successivo al ricorso - la necessità di effettuare trattamenti non eseguibili in ambiente carcerario, seppure in centri clinici diagnostici e terapeutici del circuito penitenziario, evidenziando la necessità di un aggiornamento della situazione clinica che dia conto dell'attuale stato di salute del ricorrente) (Sez. 1, 20067/2022).

Ai fini del differimento facoltativo della pena detentiva, di cui all'art. 147, comma 1, n. 2), CP o della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, che ne mutua i presupposti, il giudice di sorveglianza deve avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria, rendendone ragione con adeguata motivazione (Sez. 5, 19535/2022).

I trattamenti sanitari nei confronti del detenuto sono incoercibili ma, se potenzialmente risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena, o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta (in sentenza la Corte ha stigmatizzato il contegno serbato dal ricorrente il quale non si è in alcun modo confrontato con quanto reiteratamente affermato nelle relazioni sanitarie che si sono succedute, ossia la necessità di un trasferimento in Istituto dotato di S.A.I. “Servizio assistenza intensificata”, limitandosi ad opporre un non motivato rifiuto) (Sez. 1, 453/2022).

L’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (in realtà, il richiamato principio di diritto, già espresso da Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Rv. 279578, non pare collimare perfettamente con il motivo di censura sollevato nel caso di specie dalla difesa ricorrente circa l’omessa valutazione di una consulenza tecnica; in effetti, afferma la Corte, il Tribunale di sorveglianza si era limitato a prendere in considerazione la richiesta di comparazione dei contenuti di una relazione redatta dai sanitari di un carcere con quella tempo prima redatta dai sanitari di altra struttura, ma nulla aveva rilevato circa la relazione ben più recente del consulente di parte che aveva denunciato l’assenza di un adeguato follow up per il paziente oncologico, alla luce della presenza di sospetti secondarismi, e la scarsa attenzione alla relazione, particolarmente stretta in ragione della maggiore vulnerabilità, tra patologie pregresse e l’esposizione al rischio di contagio da Covid-19). (Sez. 1, 452/2022).

Se vi è la elevata probabilità di commissione di nuovi reati da parte dell’istante ex art. 147, il differimento dell’esecuzione non può essere concesso a causa della condizione impeditiva prevista dall’ultimo comma della norma prima citata, in una valutazione che impone il bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (Sez. 1, 6790/2019).

Quanto al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 147, esso può essere disposto dalla magistratura di sorveglianza nei confronti del condannato che si trovi in una condizione di "grave infermità fisica", ovvero in una situazione clinica connotata dalla presenza di patologie di qualificata serietà, tali da esporre a pericolo la sua vita o da provocare altre rilevanti conseguenze pregiudizievoli o, comunque, da esigere cure inattuabili nel circuito carcerario; valutazione che va condotta mediante il bilanciamento tra le sue esigenze personali e l’interesse alla sicurezza della collettività, tanto che il giudizio di perdurante pericolosità sociale del .condannato autorizza il rigetto della richiesta di differimento. Nondimeno, affinché la pena non si risolva in un trattamento degradante e contrario al senso di umanità, lo stato di salute non compatibile con il regime carcerario, tale da giustificare il differimento dell’esecuzione della pena, non deve considerarsi limitato alla presenza di una patologia implicante un pericolo per la vita del detenuto, dovendosi tenere in considerazione, alla luce dei principi di cui agli artt. 3 CEDU e 27 comma 3 Cost., ogni stato morboso o scadimento fisico che possa determinare un’esistenza al di sotto della soglia del necessario rispetto della dignità umana, che deve essere assicurato anche nella condizione di restrizione carceraria (Sez. 1, 27766/2017). Una condizione, quella appena descritta, che può ravvisarsi in presenza di un quadro patologico capace "ictu oculi" di essere causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di libertà (Sez. 1, 2665/2019).

L’istituto del differimento dell’esecuzione della pena, secondo la disciplina prescritta dagli artt. 146 e 147, deve essere applicato, oppure può essere accordato in via facoltativa e discrezionale sulla base di distinti requisiti: la prima norma impone l’obbligatorio rinvio dell’esecuzione della pena quando debba procedersi nei confronti di persona affetta da malattia particolarmente grave, a causa della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione o quando lo stadio raggiunto dalla patologia sia tale da non consentire ai trattamenti disponibili ed alle terapie praticabili di sortire effetto. Secondo la costante interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, l’istituto del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 n. 2 (così come la misura alternativa della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter Ord. pen.), traggono fondamento dal contemperamento dei principi costituzionali, egualmente riconosciuti e protetti, di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, di esecuzione delle pene non consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità e di tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo. L’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità al fine di conciliare tali contrapposti interessi  da un lato dell’ordinamento statuale all’esecuzione delle pene legittimamente inflitte, dall’altro del condannato a non essere sottoposto a trattamenti non tollerati dalle sue condizioni di salute e contrari alla dignità della persona  sostiene che lo stato morboso del condannato non è in assoluto ostativo all’esecuzione della pena detentiva, ma legittima il temporaneo differimento dell’espiazione in condizioni di restrizione carceraria quando le patologie autorizzino una prognosi infausta quoad vitam, oppure il soggetto in stato di libertà possa accedere a cure e trattamenti indispensabili, ma non praticabili in stato di detenzione nemmeno presso centri clinici dell’amministrazione penitenziaria, ovvero in condizioni di ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, oppure ancora l’esecuzione, per effetto della particolare serietà delle malattie o per le condizioni complessive del detenuto, risulti in contrasto con il senso di umanità e non possa sortire alcun effetto risocializzante e rieducativo. Attraverso la previsione del requisito della "grave infermità fisica" la disposizione di cui all’art. 147, per consentire il rinvio dell’esecuzione presuppone che il condannato sia affetto da patologie serie, tali da esporre a pericolo la sua vita o da provocare altre rilevanti conseguenze pregiudizievoli o, comunque, da esigere cure inattuabili nel circuito carcerario, la cui valutazione va condotta mediante contemperamento tra le sue esigenze personali e l’interesse di sicurezza e prevenzione della collettività, tanto che il giudizio di perdurante pericolosità sociale del condannato autorizza il rigetto della richiesta di differimento dell’esecuzione (Sez. 7, 57193/2018).

Il provvedimento di rigetto della richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica è affetto da vizio di motivazione solo se l’omesso riferimento alle necessità di tutela del diritto alla salute e al divieto di trattamenti contrari al senso di umanità si combina con l’accertata sussistenza di un quadro patologico particolarmente grave, capace ictu oculi di essere causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di libertà, nonostante il regime di detenzione possa assicurare la prestazione di adeguate cure mediche (Sez. 1, 32882/2014, richiamata da Sez. 1, 50974/2018).

In ordine alla patologia psichica occorre tenere a mente che essa può costituire causa di differimento della esecuzione della pena solo quando sia di tale gravità da produrre una infermità fisica non fronteggiabile in ambiente carcerario o da rendere l’espiazione della pena contraria, per le eccessive sofferenze, al senso di umanità (Sez. 1, 35826/2016).

L’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione del rinvio facoltativo od obbligatorio della esecuzione della pena preclude automaticamente l’applicabilità della detenzione domiciliare, poiché questa è istituto privo di un ambito applicativo autonomo, in quanto concedibile, in via surrogatoria, a condizione che ricorrano i presupposti legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 (Sez. 1, 25841/2015).

Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147, il Tribunale di sorveglianza, anche in mancanza di una richiesta dell’interessato, può disporre ex officio la detenzione domiciliare, ma solo ove ritenga tale misura più rispondente sia agli interessi della collettività che a quelli del condannato, valutati questi ultimi oggettivamente e complessivamente, anche nella prospettiva ineludibilità della esecuzione della pena, una volta venute meno le ragioni del rinvio (Sez. 7, 1075/2019).

Ai fini dell'accoglimento di un'istanza di differimento facoltativo dell'esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute ai sensi dell'art. 147 co. 1 n. 2 c.p., non è necessaria un'incompatibilità assoluta tra la patologia del condannato e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l'infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario, pertanto, il giudice investito della richiesta deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest'ultimo con riguardo sia all'astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al ristretto, valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (la Corte ha annullato l’impugnata ordinanza perché il tribunale, nella specie, aveva disatteso le valutazioni dei medici penitenziari ritenendo, apoditticamente, le patologie adeguatamente curate all'interno dell'istituto penitenziario nonostante il diverso parere dei sanitari operanti in tale struttura che, dopo avere segnalato la difficile gestione dell'equilibrio ormonale a seguito della terapia farmacologica e l'intensità dei controlli periodi per fronteggiare al meglio le patologie cardiache, avevano concluso per l'incompatibilità con il regime carcerario). (Sez. 1, 45642/2021).

Il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2, mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, quando la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti non praticabili in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. pen. Pertanto, a fronte dell’istanza di rinvio della esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura della infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo per l’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale (Sez. 7, 1055/2019).

La concessione del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 e della detenzione domiciliare ex art. 47-ter Ord. pen. si fonda sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo; - che, quindi, una volta esclusa l’incompatibilità assoluta delle condizioni di salute del condannato col regime carcerario ex art. 146, a fronte di una richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato; - che il giudice deve, quindi, operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza ed indefettibilità della pena, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza; - che di tale valutazione deve dare conto con motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento (Sez. 1, 54878/2018).

Provvedendo in materia di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve considerare, oltre al profilo della compatibilità o meno di tale infermità con le possibilità di assistenza e cura offerte al condannato dal sistema carcerario, anche l’esigenza di prevenire trattamenti contrari alle finalità rieducative e al senso di umanità della pena in violazione dei precetti costituzionali (art. 27 e 32 Cost.). E ciò in particolare in presenza di un complesso quadro patologico, comportante un tale scadimento delle condizioni fisiche da poter determinare un’esistenza in carcere al di sotto della soglia minima di dignità, facendo sì che la restrizione rappresenti una sofferenza aggiuntiva intollerabile da vivere in condizioni umane degradanti. Il giudice, a fronte della deduzione di citata condizione di incompatibilità con il supporto di documentazione  e tanto più ove prima non esaminata  se ritiene di non accogliere l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per motivi di salute, deve disporre gli accertamenti medici necessari, nominando un perito. Le valutazioni a tal riguardo debbono, comunque, tenere conto della necessità di operare un ragionato bilanciamento fra i diritti del condannato e le esigenze sicurezza della collettività in concreto esistenti al momento (Sez. 1, 57897/2018).

Il condannato affetto da infermità esclusivamente di tipo psichico, sopravvenuta alla condanna, che non abbia ricadute di tipo fisico non può accedere agli istituti del differimento obbligatorio o facoltativo della pena previsti dagli artt. 146 e 147, né alla particolare ipotesi di detenzione domiciliare "in deroga" di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, posto che nel corpo di tale disposizione vengono richiamate esclusivamente le condizioni di infermità fisica di cui agli artt. 146 e 147 e non anche quelle psichiche. 

È piuttosto la norma di cui all’art. 148 ad occuparsi delle problematiche psichiatriche dei condannati ed a prescriverne la sottoposizione a misura di sicurezza quando lo stato morboso, preesistente o sopravvenuto nel corso dell’esecuzione, sia di ostacolo alla sua attuazione; dagli accertamenti condotti dai giudici di merito e dai rilievi svolti nel provvedimento impugnato non emerge però la ricorrenza di patologia tale, da rendere necessaria l’applicazione dei rimedi stabiliti dall’art. 148 (Sez. 1, 41574/2018).