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Art. 146 - Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena

1. L’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:

1) se deve aver luogo nei confronti di donna incinta;

2) se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno;

3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

2. Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) del primo comma il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale sul figlio ai sensi dell’articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi (1)(2).

(1) Comma così modificato dall’art. 93, comma 1, lettera g), DLGS 154/2013.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 40/2001.

Rassegna di giurisprudenza

 

Secondo quanto stabilito dall’art. 146, comma 1, n. 3, il rinvio dell’esecuzione della pena deve essere obbligatoriamente disposto quando la persona condannata sia affetta da una "malattia particolarmente grave" a causa della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili’ con l’espiazione carceraria inframuraria o quando lo stadio evolutivo raggiunto dalla malattia, sia tale da non consentire ai trattamenti disponibili ed alle terapie praticabili di sortire effetto, in quel contesto detentivo o in altro diverso. Ciò coerentemente con la funzione dell’istituto in esame, posto a tutela dei "beni primari della persona, quali il diritto alla salute, il diritto alla vita, il divieto di sottoposizione a trattamenti detentivi contrari al senso di umanità", a prescindere dal dato relativo alla pericolosità sociale del detenuto (Sez. 1, 2665/2019).

 

L’istituto del differimento dell’esecuzione della pena, secondo la disciplina prescritta dagli artt. 146 e 147, deve essere applicato, oppure può essere accordato in via facoltativa e discrezionale sulla base di distinti requisiti: la prima norma impone l’obbligatorio rinvio dell’esecuzione della pena quando debba procedersi nei confronti di persona affetta da malattia particolarmente grave, a causa della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione o quando lo stadio raggiunto dalla patologia sia tale da non consentire ai trattamenti disponibili ed alle terapie praticabili di sortire effetto.

 

Secondo la costante interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, l’istituto del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 n. 2 (così come la misura alternativa della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter Ord. pen.), traggono fondamento dal contemperamento dei principi costituzionali, egualmente riconosciuti e protetti, di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, di esecuzione delle pene non consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità e di tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo.

 

L’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità al fine di conciliare tali contrapposti interessi  da un lato dell’ordinamento statuale all’esecuzione delle pene legittimamente inflitte, dall’altro del condannato a non essere sottoposto a trattamenti non tollerati dalle sue condizioni di salute e contrari alla dignità della persona  sostiene che lo stato morboso del condannato non è in assoluto ostativo all’esecuzione della pena detentiva, ma legittima il temporaneo differimento dell’espiazione in condizioni di restrizione carceraria quando le patologie autorizzino una prognosi infausta quoad vitam, oppure il soggetto in stato di libertà possa accedere a cure e trattamenti indispensabili, ma non praticabili in stato di detenzione nemmeno presso centri clinici dell’amministrazione penitenziaria, ovvero in condizioni di ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, oppure ancora l’esecuzione, per effetto della particolare serietà delle malattie o per le condizioni complessive del detenuto, risulti in contrasto con il senso di umanità e non possa sortire alcun effetto risocializzante e rieducativo.

 

Attraverso la previsione del requisito della "grave infermità fisica" la disposizione di cui all’art. 147, per consentire il rinvio dell’esecuzione presuppone che il condannato sia affetto da patologie serie, tali da esporre a pericolo la sua vita o da provocare altre rilevanti conseguenze pregiudizievoli o, comunque, da esigere cure inattuabili nel circuito carcerario, la cui valutazione va condotta mediante contemperamento tra le sue esigenze personali e l’interesse di sicurezza e prevenzione della collettività, tanto che il giudizio di perdurante pericolosità sociale del condannato autorizza il rigetto della richiesta di differimento dell’esecuzione (Sez. 7, 57193/2018).

 

L’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione del rinvio facoltativo od obbligatorio della esecuzione della pena preclude automaticamente l’applicabilità della detenzione domiciliare, poiché questa è istituto privo di un ambito applicativo autonomo, in quanto concedibile, in via surrogatoria, a condizione che ricorrano i presupposti legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 (Sez. 1, 25841/2015).

 

Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147, il Tribunale di sorveglianza, anche in mancanza di una richiesta dell’interessato, può disporre ex officio la detenzione domiciliare, ma solo ove ritenga tale misura più rispondente sia agli interessi della collettività che a quelli del condannato, valutati questi ultimi oggettivamente e complessivamente, anche nella prospettiva ineludibilità della esecuzione della pena, una volta venute meno le ragioni del rinvio (Sez. 7, 1075/2019).

 

Il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2, mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, quando la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti non praticabili in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. pen.

 

Pertanto, a fronte dell’istanza di rinvio della esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura della infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo per l’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale (Sez. 7, 1055/2019).

 

La concessione del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 e della detenzione domiciliare ex art. 47-ter Ord. pen. si fonda sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo; - che, quindi, una volta esclusa l’incompatibilità assoluta delle condizioni di salute del condannato col regime carcerario ex art. 146, a fronte di una richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice deve  valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato; - che il giudice deve, quindi, operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza ed indefettibilità della pena, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza; - che di tale valutazione deve dare conto con motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento (Sez. 1, 54878/2018).

 

Il condannato affetto da infermità esclusivamente di tipo psichico, sopravvenuta alla condanna, che non abbia ricadute di tipo fisico non può accedere agli istituti del differimento obbligatorio o facoltativo della pena previsti dagli artt. 146 e 147, né alla particolare ipotesi di detenzione domiciliare "in deroga" di cui all’art. 47-ter Ord. pen., comma 1-ter, posto che nel corpo di tale disposizione vengono richiamate esclusivamente le condizioni di infermità fisica di cui agli artt. 146 e 147 e non anche quelle psichiche.

 

È piuttosto la norma di cui all’art. 148 ad occuparsi delle problematiche psichiatriche dei condannati ed a prescriverne la sottoposizione a misura di sicurezza quando lo stato morboso, preesistente o sopravvenuto nel corso dell’esecuzione, sia di ostacolo alla sua attuazione; dagli accertamenti condotti dai giudici di merito e dai rilievi svolti nel provvedimento impugnato non emerge però la ricorrenza di patologia tale, da rendere necessaria l’applicazione dei rimedi stabiliti dall’art. 148 (Sez. 1, 41574/2018).