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Art. 177 - Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena

1. Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l’esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato sottoposto con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo. La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell’articolo 230, n. 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale (1).

2. Decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all’ergastolo, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo (2).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 282/1989, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 177, primo comma nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. La stessa Corte, con sentenza 270/1993, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 177, primo comma, c.p., in riferimento all’art. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost.; con sentenza 161/1997, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 177, primo comma, ultimo periodo, nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell’ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi presupposti; con sentenza 418/1998, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 177, primo comma, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anziché stabilire che la liberazione condizionale è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.

(2) Articolo così modificato dall’art. 2, L. 1634/1962, che modifica le norme del codice penale relative all’ergastolo e alla liberazione condizionale. L’art. 3 della legge ora citata stabilisce: «Il condannato all’ergastolo prima del ripristino delle attenuanti generiche di cui all’art. 2 del DLGS LGT 14 settembre 1944, n. 228, può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia effettivamente scontato almeno venticinque anni di pena».

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 177 subordina la revoca della liberazione condizionale a due essenziali condizioni, in relazione di alternatività, e cioè la commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole, accertata con sentenza irrevocabile, oppure la trasgressione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata, con la differenza che, mentre nel primo caso la revoca ha carattere automatico, nel secondo caso occorre che le trasgressioni siano tali da far ritenere il mancato ravvedimento della persona cui sia stata concessa la liberazione condizionale, nel senso che il giudice deve compiere una penetrante indagine diretta ad accertare, senza ombra di dubbio, se l’addebito possa concretare, o non, una grave trasgressione al regime di vita cui il liberato è stato sottoposto, e se costituisca un sicuro elemento rivelatore della mancanza di ravvedimento e della non meritevolezza dell’anticipato reinserimento nella vita sociale.

L’esito del giudizio sulla revoca del beneficio non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta si è in concreto realizzata (Sez. 1, 46285/2018).

L’applicazione del beneficio della liberazione condizionale presuppone l’accertato ravvedimento del condannato, inteso quale convinta revisione critica delle anteatte scelte criminali di vita, che faccia ritenere pressoché certo l’adeguamento della sua futura condotta di vita al quadro di riferimento ordinamentale e sociale con cui egli era in passato entrato in conflitto.

Dunque, se i successivi comportamenti comprovano l’erroneità del favorevole giudizio prognostico e il fallimento della misura, si può e si deve addivenire alla revoca del beneficio, revoca che va disposta in presenza delle condizioni richieste, in relazione di alternatività, dall’art. 177, e cioè la commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole che deve essere accertata con sentenza irrevocabile oppure la trasgressione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata.

E, nel secondo caso, non è sufficiente la mera segnalazione degli organi incaricati della vigilanza, ma la trasgressione va individuata in primo luogo attraverso l’accertamento della volontarietà del fatto addebitato e, quindi, valutando se essa sia di tale gravità da investire l’intero regime di vita al quale il liberato è stato sottoposto e se costituisca sicuro elemento rivelatore della mancanza di ravvedimento e di non meritevolezza dell’anticipato reinserimento nella vita sociale (Sez. 1, 5497/2018).

L’art. 177, disciplinando l’estinzione della pena in esito a positiva esecuzione della liberazione condizionale, non fa alcun cenno agli effetti penali, a differenza del successivo art. 178 (che invero prevede, per la riabilitazione, la cessazione "di ogni altro effetto penale della condanna"). È del tutto evidente, pertanto, che l’ordinamento penale pone una gradazione degli effetti della cessazione della pena a seconda della causa della stessa, nel senso che solo a cause ritenute particolarmente rilevanti consegue anche la cessazione degli effetti penali.

Essendoci, dunque, non irragionevole riserva di legge, non pare possibile procedere con interpretazione analogica, sia pure in bonam partem, di tal che non può comunque accedersi alla tesi di un’intervenuta completa equiparazione giurisprudenziale tra liberazione condizionale ed affidamento in prova (Sez. 1, 25473/2017).