Art. 179 - Condizioni per la riabilitazione

1. La riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (1).

2. Il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99 (2).

3. Il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l’ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro(3).

4. Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163, primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al primo comma decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena (4).

5. Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi del quarto comma dell’articolo 163, la riabilitazione è concessa allo scadere del termine di un anno di cui al medesimo quarto comma, purché sussistano le altre condizioni previste dal presente articolo (5).

6. La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato:

1) sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato, ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;

2) non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.

7. La riabilitazione concessa a norma dei commi precedenti non produce effetti sulle pene accessorie perpetue. Decorso un termine non inferiore a sette anni dalla riabilitazione, la pena accessoria perpetua è dichiarata estinta, quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (6).

(1) Comma così modificato dall’art. 3, L. 145/2004.

(2) Comma così modificato dall’art. 3, L. 145/2004.

(3) Comma così modificato dall’art. 3, L. 145/2004.

(4) Comma aggiunto dall’art. 3, L. 145/2004.

(5) Comma aggiunto dall’art. 3, L. 145/2004.

(6) Comma aggiunto dalla L. 3/2019.

Rassegna di giurisprudenza

Decorso del triennio

L’esecuzione della pena, quale condizione per la concessione della riabilitazione, segna il dies a quo per il computo del termine di tre anni indicato dall’art. 179. È di conseguenza inammissibile un’istanza di riabilitazione presentata mentre la pena è ancora in corso di esecuzione (Sez. 1, 11137/2018).

Poiché il termine triennale per la concedibilità della riabilitazione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che ha inflitto la condanna oggetto dell’istanza, di per sé non hanno automatico rilievo ostativo eventuali condanne per fatti commessi successivamente al decorso del termine sopra indicato.

L’interpretazione letterale enunciata riceve ulteriori conferme sul piano sistematico dalla considerazione dei commi 2 e 3 dell’art. 179, i quali stabiliscono termini differenziati e protratti per l’ammissione alla riabilitazione dei recidivi in un caso, dei delinquenti abituali, professionali e per tendenza nell’altro: il dato normativo dimostra che i comportamenti devianti e criminosi pregressi alla condanna, anche se integrino autonome fattispecie di reato e siano stati accertati con pronuncia di condanna irrevocabile che accerti anche la condizione della recidivazione, non costituiscono in sé elementi ostativi, ma giustificano un maggiore rigore nella valutazione dei presupposti applicativi, perché determinano l’aumento del periodo minimo durante il quale il condannato deve avere mantenuto buona condotta.

Altrettanto significativo è il 4 comma della stessa disposizione, perché prevede in modo analogo che, se sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, il momento di decorrenza del termine triennale è lo stesso previsto per il decorso del termine di sospensione (Sez. 1, 55063/2017).

 

Buona condotta

Ai fini dell'accertamento della buona condotta utile all’ottenimento della declaratoria riabilitativa ex art. 179, la personalità dell'istante va verificata alla luce di tutto quanto accaduto non solo nel periodo minimo di tre anni dall'esecuzione o dalla estinzione della pena inflitta, ma anche in quello successivo, sino alla data della decisione sull'istanza prodotta, e in tale valutazione globale bisogna ricercare e trovare non tanto un'assenza di ulteriori elementi negativi, bensì delle prove effettive e costanti di buona condotta. Ciò che si richiede è, dunque, l'emergenza positiva di fatti sintomatici dell'avvenuto recupero del soggetto ad un corretto modello di vita, l'instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale. (La Corte ha annullato il provvedimento di rigetto della istanza poiché il Tribunale di sorveglianza ha desunto, in via prioritaria, l'assenza di effettività e di costanza della buona condotta richiesta dalla legge da fatti non ricadenti nel triennio decorrente dalla cessata esecuzione della pena inflitta con la sentenza in relazione alla quale è stata chiesta la riabilitazione) (Sez. 1, 13665/2022).

La prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita (Sez. 6, 5164/2014); e, come affermato in tema di riabilitazione del condannato per fatti di criminalità organizzata, la frequentazione da parte dello stesso di soggetti pregiudicati e di persone inserite negli ambienti della criminalità organizzata, è incompatibile con l’accertamento della buona condotta, richiesto quale presupposto per l’accoglimento dell’istanza (Sez. 1, 52493/2016, secondo cui, ai fini dell’accertamento della buona condotta richiesta per la riabilitazione, difetta di qualsiasi fondamento logico e di esperienza l’affermazione che la frequentazione di pregiudicati o di tossicodipendenti non merita di essere considerata negativamente, allorché tale frequentazione avvenga in un piccolo centro di paese, in quanto la bontà della condotta di cui all’art. 179, richiedendo comportamenti significativi del ravvedimento del condannato, non si concilia con i rapporti che si instaurano con persone di dubbi costumi e di dubbia moralità perché con ciò il soggetto non mostra di rifuggire da concezioni di vita irregolari di cui le suddette persone sono portatrici) (Sez. 5, 39499/2018).

Ai fini dell’accertamento della buona condotta, non è sufficiente il mancato accertamento di elementi negativi attinenti al comportamento del condannato, ma è richiesta l’emergenza positiva di "prove effettive e costanti" di fatti sintomatici dell’avvenuto recupero del soggetto ad un corretto modello di vita; in altri termini, non assume rilievo la mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato, quanto l’instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale (Sez. 1, 52493/2016).

Ai fini della valutazione della buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, non rilevano meri incontri sporadici ed occasionali con persone gravate da precedenti o pregiudizi penali, ma soltanto frequentazioni che, per la non sporadicità e significatività, escludano la rescissione del condannato da logiche e modelli illegali (Sez. 5, 39499/2018).

In tema di riabilitazione relativa a misura di prevenzione, rileva, ai fini dell’accoglimento della relativa domanda, una serie di parametri valutativi che hanno in comune la circostanza che, la prova costante ed effettiva di buona condotta, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita (Sez. 6, 5164/2014, richiamata da Sez. 6, 37478/2017).

 

Adempimento delle obbligazioni civili

Ai sensi dell’art. 179, la riabilitazione non può essere concessa "se il condannato non abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta" e se non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempiere. Inoltre, la pena principale deve essere stata eseguita o deve essere estinta. Con riferimento all’adempimento delle obbligazioni civili, l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria, o comunque l’attivarsi del condannato al fine di eliminare tutte le conseguenze di ordine civile derivanti dal reato, costituisce condizione imprescindibile per la concessione del beneficio anche quando sia mancata nel processo la costituzione di parte civile e non vi sia stata alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato (Sez. 1, 49446/2014); quindi, anche in relazione ad una sentenza di patteggiamento, il giudice è tenuto ad accertare se il condannato che richiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare le conseguenze civilistiche derivate dalla sua condotta criminosa ovvero quali siano le ragioni per le quali il medesimo sia stato nella impossibilità di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato ascrittogli (Sez. 1, 4004/2014) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 37337/2018).

Tra le obbligazioni civili derivanti da reato che il condannato deve soddisfare per ottenere la riabilitazione va compresa anche quella del pagamento delle spese processuali (Sez. 1, 1844/2009).

È onere dell’istante allegare la sussistenza delle condizioni pretese dall’ordinamento per l’ammissione alla riabilitazione e, in caso deduca l’impossibilità di provvedere all’adempimento delle obbligazioni civili, gli compete un vero e proprio onere della prova, impostogli dalla disposizione di cui all’art. 179 comma 4, secondo la quale "la riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato non abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle", dimostrazione che comunque può essere offerta con ogni mezzo idoneo ed utile. A tal proposito, la dimostrazione da parte del condannato di non aver potuto assolvere le obbligazioni civili nascenti dal reato, idonea a prevalere sull’onere all’adempimento indicato dall’art. 179 n. 2, comma ultimo, come presupposto necessario per la riabilitazione, deve offrire elementi oggettivi di valutazione, ad esempio concernenti gli introiti disponibili ed il carico familiare, e non può ritenersi raggiunta con allegazioni generiche o con un’autocertificazione, priva di valore oggettivo, nella quale si faccia riferimento ad entrate limitate a quanto necessario al mantenimento della famiglia, tale da non consentire alcuna verifica. Inoltre, l’impossibilità di adempimento non può essere intesa in senso limitativo come riferita a sole condizioni ostative di natura economica, ma ricomprende tutte le situazioni non imputabili al soggetto condannato ed impedienti l’assolvimento delle obbligazioni civili. E per quanto in ossequio ai principi generali, valevoli per gli incidenti di esecuzione, spetti all’AG, a fronte dell’allegazione di circostanze specifiche da parte dell’interessato, condurre le opportune indagini per verificare le sue reali condizioni economiche e patrimoniali, è sempre sul richiedente che grava l’onere di fornire qualche elemento conoscitivo, indicativo del suo sforzo e della buona condotta tenuta (Sez. 1, 55059/2017).

Il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato non osta alla concessione della riabilitazione quando esso derivi, come risulta dal comma quarto n. 2 dell’art. 179, dall’impossibilità di adempiere, ossia quando il condannato dimostri di non essere in condizioni di adempiere, nel senso che egli, pur non essendo indigente, non dispone di mezzi patrimoniali che gli consentano di eseguire il risarcimento stesso senza subire un sensibile sacrificio o le parti offese abbiano rinunciato al risarcimento oppure siano irreperibili. In definitiva, la suddetta impossibilità, non potendosi frapporre un ingiustificato ostacolo al reinserimento sociale del riabilitando che abbia, per altro verso, dato prova, attraverso la buona condotta tenuta, di essere meritevole della riabilitazione, non va intesa in senso restrittivo, ma deve essere valutata in relazione a tutti quegli eventi che comunque possono impedire l’adempimento. Ciò attesta l’infondatezza manifesta della questione di costituzionalità prospettata della disparità di trattamento tra condannati abbienti e non abbienti (Sez. 7, 37758/2017).

Per la concessione del beneficio della riabilitazione, l’attivazione da parte del condannato per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non deve essere valutata soltanto alla stregua delle regole proprie del codice civile, bensì anche quale l’effetto dell’onere imposto al condannato in funzione del valore dimostrativo dell’emenda e della condotta successiva alla condanna (Sez. 1, 7425/2017).