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Art. 101 - Reati della stessa indole

1. Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni.

Rassegna di giurisprudenza

In materia di misure cautelari personali, poiché il giudizio prognostico è basato su elementi obiettivi ("specifiche modalità e circostanze del fatto") e sulla "personalità dell’imputato" (da valutare nel complesso dei suoi elementi utili per l’analisi prognostica), quanto al pericolo della commissione di reati della stessa specie, il delitto prospettabile come risultante del giudizio prognostico deve imporsi con caratteristiche tali di compromissione della difesa sociale da legittimare la restrizione della libertà.

Dovendosi assumere come delitti della stessa specie fattispecie lesive della stessa categoria di interessi ovvero di valori aventi rilievo costituzionale, e non già come delitti che violano la stessa disposizione di legge, ovvero che presentano caratteri fondamentali comuni rispetto a quello commesso in precedenza (secondo la nozione offerta dall’art. 101 per definire i reati della stessa indole, che incentrandosi su una valutazione della tendenza a delinquere, esula dalla "ratio" della norma in esame), il legislatore ha ritenuto che la reiterazione di siffatti crimini rafforzi il rischio di sacrificio incisivo e talvolta irreversibile in termini apprezzabili socialmente dell’interesse tutelato (Sez. 6, 555/2019).

Per "reati della stessa indole", a norma dell’art. 101, devono intendersi innanzitutto le violazioni della medesima disposizione di legge ovvero quelle che aggrediscono il medesimo bene oggetto di protezione normativa, non richiedendo, peraltro, le disposizioni di cui all’art. 99 comma 2, n. 1) e comma 4, ai fini della sussistenza della recidiva reiterata specifica in presenza di una pluralità di reati, che quelli oggetto di precedenti condanne ed i reati dell’ultima condanna pronunciata a carico del soggetto siano tutti caratterizzati dalla "stessa indole" (Sez. 5, 42573/2018).

Ciò che connota i "reati della stessa indole", ai sensi dell’art. 101, non è l’identità delle norme violate ma i caratteri fondamentali comuni, o finanche i motivi che li hanno determinati (in questo senso Sez. 6, 53590/2014, con cui la Suprema Corte "ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva ravvisato la stessa indole nel reato di spaccio di stupefacenti ed in quello di furto in abitazione, assumendo rilevanza, in entrambi i casi, comportamenti dettati da omologhi motivi di indebito lucro"; Sez. 6, 15439/2016; Sez. 1, 44255/2014, fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva ravvisato identità di indole tra il reato di ricettazione e quello di cessione di stupefacenti, commessi in medesimo contesto temporale, in quanto connotati dalla identica finalità di profitto; Sez. 5, 52301/2016 in tema di misure cautelari personali) (Sez. 4, 41366/2018).

La risposta alla quaestio iuris «Se il furto e la detenzione o cessione illecite di sostanze stupefacenti possano essere considerate fattispecie criminose della stessa indole tali da integrare l’abitualità del comportamento che costituisce ragione di preclusione dell’applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis» esige un’interpretazione della norma di cui all’art. 101.  che individua le caratteristiche dei reati aventi la stessa indole  che tenga conto non solo della sua collocazione topografica  nel titolo IV (Del reo e della persona offesa), capo II (Della recidiva, dell’abitualità e della professionalità e della tendenza a delinquere) del codice penale, ma anche  stante l’incipit della disposizione «agli effetti della legge penale»  di tutte le altre disposizioni dell’ordinamento penale, sostanziale (artt. 102, 167, 168, 172, 177, art. 53 e ss. L. 689/1981) e processuale (art. 274, lett. c), CPP: «reati della medesima specie»; art. 445, comma 2, CPP) che evocano il concetto di un agire criminale sostanzialmente omogeneo.

In tal senso si è orientata l’elaborazione nomofilattica che è giunta ad affermare che, in tema di presupposti per l’applicazione di misure coercitive personali, il concetto di "reati della stessa specie" di cui all’art. 274, comma primo, lett. c), CPP deve riferirsi non solo a reati che offendono il medesimo bene giuridico, ma anche alle fattispecie criminose che, pur non previste dalla stessa disposizione di legge, presentano "uguaglianza di natura" in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive (Sez. 5, 52301/2016) e che, ai fini dell’operatività dell’art. 445, comma 2, CPP  secondo cui, in caso di applicazione di pena concordata, il reato è estinto se, nei termini indicati dalla disposizione, l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della "stessa indole"  il giudice deve in primo luogo valutare se l’eventuale ulteriore reato commesso nel periodo di osservazione sia formalmente omogeneo al primo, in quanto in violazione della medesima disposizione di legge e, in caso negativo, verificare se sussista comunque una identità di indole sostanziale, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati (Sez. 1, 27906/2014); ma anche che, ad esempio, ai fini dell’applicazione della recidiva "specifica" ex art. 99, comma 2, n. 1, il falso nummario, che tutela il bene della pubblica fede, non costituisce "reato della stessa indole" rispetto a precedenti penali relativi esclusivamente a delitti contro il patrimonio, posto che la specificità della recidiva non può desumersi dall’analogo movente economico alla base dei diversi reati (Sez. 5, 40281/2017).

Questa visione di sistema, se non disconosce la validità di un approccio pragmatico al problema, quale è quello che risulta dalle massime di orientamento secondo cui: "La definizione di reati "della stessa indole", posta dall’art 101 e rilevante per l’applicazione della recidiva ex art. 99, comma secondo, n. 1, prescinde dalla identità della norma incriminatrice e fa riferimento ai criteri del bene giuridico violato o del movente delittuoso, che consentono di accertare, nei casi concreti, i caratteri fondamentali comuni fra i diversi reati" (Sez. 6, 15439/2016), e se non intende mettere in discussione il ruolo primario, nella valutazione da compiersi, della discrezionalità del giudice, il cui esercizio se adeguatamente motivato non è censurabile in Cassazione, induce a tener conto del fatto che il criterio sostanziale  pur evocato dal legislatore nell’art. 101 per l’accertamento dell’omogeneità fra i reati quando vengano violate diverse disposizioni di legge, mediante il riferimento alla natura dei fatti o ai motivi dell’agire  dilata sensibilmente l’area dei reati della stessa indole, determinando, nelle diverse ipotesi che tale concetto si richiamano, un trattamento più sfavorevole per il soggetto che ne è attinto.

Da quanto sin qui riferito deriva, che, se è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ammette l’assimilazione per indole tra il furto (o la ricettazione) e la detenzione di stupefacenti (Sez. 6, 53590/2014), in ragione dell’omogeneità dello scopo di lucro, tuttavia il profilo dei motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa non può essere esteso sino al punto da qualificare automaticamente come della stessa indole tutti i delitti che siano connotati dalla natura economica della spinta a delinquere, posto che questa costituisce, pur sempre, una delle principali e, anzi, la più frequente motivazione dei comportamenti criminali.

Consegue che, come già affermato dal diritto vivente (Sez. 4, 27323/2017), ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis, l’identità dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (Sez. 5, 53401/2018).

Vanno considerati "della stessa indole", ai sensi della citata disposizione, non soltanto i reati che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che presentano profili di omogeneità: - sul piano oggettivo, in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive; - ovvero sul piano soggettivo, in relazione ai motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa (come nel caso di delitti tutti connotati dallo scopo di lucro). In applicazione del principio, è stata unanimemente configurata la medesimezza di indole tra reati contro il patrimonio e reati di traffico di sostanze stupefacenti ex art. 73 DPR 309/1990, proprio perché tutti connotati dallo scopo di lucro.

Così, in particolare, si sono espresse: - Sez. 1, 2097/1989, che ha ravvisato la stessa indole nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti ed in quello di furto in abitazione, in quanto connotati da una identica finalità di profitto; - Sez. 2, 10185/1992, che ha ravvisato la stessa indole nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti ed in quello di furto; - Sez. 1, 44255/2014, che ha ravvisato la stessa indole nel reato di cessione di sostanze stupefacenti ed in quello di ricettazione, in quanto connotati da una identica finalità di profitto; - Sez. 6, 53590/2014, che ha ravvisato la stessa indole nel reato di spaccio di sostanze stupefacenti ed in quello di furto in abitazione, assumendo rilevanza, in entrambi i casi, omologhi motivi di indebito lucro.

Si è precisato che, ai fini della configurabilità dell’abitualità del comportamento, ostativa all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis, l’identità dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (Sez. 4, 27323/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso la applicabilità della causa di non punibilità essendo l’imputato gravato da precedenti condanne per reati contro il patrimonio, senza tuttavia confrontarsi con la condotta in concreto contestata, relativa ad una ipotesi di concorso in spaccio di stupefacenti commesso al fine di ottenere una somma pari ad euro 2, da ritenersi, pertanto, talmente esigua da rendere irrilevante il fine di lucro) (Sez. 2, 32577/2018).

Nella giurisprudenza di legittimità, per spiegare il criterio che assimila l’indole di due o più reati, si è fatto riferimento a vari parametri: alle circostanze oggettive, alle condizioni di ambiente e di persona nelle quali le azioni sono state compiute, ad aspetti che in qualche guisa rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, a modalità di esecuzione che rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa.

Più in generale, quindi, possono essere ritenuti «reati della stessa indole» non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni, desunti, anche a prescindere dall’identità del bene protetto, dalle modalità di esecuzione o dai moventi economici del reo.

Si è, dunque, in presenza di un giudizio rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, che potrà prescindere dall’identità della norma violata ed anche dall’identità del bene giuridico tutelato da diverse norme incriminatrici. In tal caso, tuttavia, il giudice sarà tenuto a giustificare il criterio di valutazione adottato nell’individuare i caratteri fondamentali comuni tra più condotte od omissioni penalmente rilevanti (Sez. 4, 8601/2018).