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Art. 102 - Abitualità presunta dalla legge

1. È dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti.

2. Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive.

Rassegna di giurisprudenza

La dichiarazione di abitualità presunta dalla legge richiede al giudice della cognizione nient’altro che l’accertamento dei presupposti stabiliti dall’art. 102 (Sez. 2, 1423/2013).

In senso decisamente contrario: Anche nei casi di abitualità presunta dalla legge, di cui all’articolo 102, il giudice chiamato a dichiararla deve accertare la pericolosità sociale in termini di attualità e concretezza.

Ciò è stato affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito il principio secondo cui "poiché, nel regime introdotto dagli artt. 21 e 31 L.663/1986, recante modifiche all’ordinamento penitenziario, la dichiarazione di abitualità nel delitto presunta dalla legge richiede la contemporanea sussistenza tanto dei presupposti indicati dall’art. 102 quanto della attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, ai sensi degli artt. 133 e 203, non soddisfa il correlativo obbligo di motivazione la pronuncia del tribunale di sorveglianza che, nel dichiarare taluno delinquente abituale, si limiti, sull’apodittica presupposizione delle condizioni di cui al citato art. 102, a richiamarsi, per quanto attiene il requisito della attuale pericolosità del soggetto (pur essendo questo dedito da tempo a stabile attività lavorativa), ai "numerosi e gravi precedenti penali" del medesimo, non esprimendosi in tal modo alcun valido giudizio critico in ordine alla probabilità o meno della futura commissione di nuovi reati".

È appena il caso di ricordare che l’articolo 31 L. 663/1986 (cd. legge Gozzini), di cui è richiamo nella massima appena trascritta, ha abrogato l’articolo 204, che regolava proprio i casi di pericolosità presunta, e ha stabilito che "tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa". Anche nei casi di abitualità presunta deve allora valere il principio secondo cui la lontananza nel tempo, della scadenza del titolo detentivo in esecuzione, legittima il magistrato di sorveglianza a soprassedere in ordine alla richiesta di dichiarazione della stessa, sul presupposto dell’impossibilità di formulare un giudizio di attualità della pericolosità sociale (Sez. 1, 24847/2018).

È nulla per difetto di contestazione, limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, la sentenza di condanna pronunciata in relazione ad imputazione che si limiti genericamente ad indicare la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale, in assenza d’espresso riferimento alla fattispecie d’abitualità presunta per legge ovvero a quella ritenuta dal giudice (Sez. 2, 18238/2018).

Per disporre la misura di sicurezza nei confronti di soggetto condannato e dichiarato delinquente abituale, è necessario accertare la persistenza della pericolosità sociale al momento della sua effettiva applicazione e che la pericolosità è sempre ancorata a fatti inevitabilmente pregressi rispetto a tale momento. Precipuamente, il giudizio di pericolosità deve essere ancorato alla perpetrazione di delitti, cui si aggiunge una sfavorevole prognosi in ordine alla possibilità che il soggetto commetta in futuro nuovi reati (Sez. 5, 32039/2018).

La dichiarazione di abitualità nel delitto, come tutte le altre dichiarazioni di pericolosità qualificata, non può essere scissa dall’applicazione della conseguente misura di sicurezza (art. 216). Per l’effetto, viene senz’altro in applicazione l’art. 31 L. 663/1986, che, oltre ad abrogare l’art. 204 (che prevedeva una pericolosità sociale presunta dalla legge), ha altresì stabilito, al comma 2, che "tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa".

Pertanto, come è stato affermato per l’abitualità presunta dalla legge, anche la declaratoria di abitualità di cui all’art. 103 non è consentita ove difetti il requisito dell’attuale pericolosità sociale del reo. Occorre poi evidenziare che l’abitualità nel reato costituisce una forma qualificata di pericolosità sociale; essa indica un particolare status del reo, individuato  a determinate condizioni, stabilite dal legislatore  come soggetto che presenta propensione al crimine. Il giudizio di abitualità nel reato, pur muovendo dal presupposto che determinati fatti illeciti siano stati commessi, è, in definitiva, un giudizio di valore che non riguarda i fatti in quanto tali, ma il soggetto agente, identificato come persona incline a violare la legge penale, siccome abitualmente coinvolto nella commissione di reati ("dedito al delitto", recita l’art. 103).

A differenza che nell’abitualità presunta, di cui all’art. 102 (anch’esso, comunque, decisamente ridimensionato dalla L. 663/1986, di cui sopra), l’abitualità ritenuta dal giudice esige l’accertamento in concreto della effettiva probabilità di reiterazione criminosa, desunta da tutti gli elementi che hanno significato criminologico (enunciati nell’art. 133) e non, quindi, sulla base dei soli reati commessi. Ciò perché ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato, occorre che il giudice fornisca specifica motivazione in ordine agli elementi indicativi dell’attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, tali da evidenziare fino a che punto la tendenza criminosa manifestata nello specifico delitto sia radicata nella personalità di quest’ultimo, mostrandone la capacità criminale (Sez. 5, 32039/2018).

La Corte di cassazione, nel rappresentare che l’abitualità ritenuta dal giudice, prevista dall’art. 103, a differenza di quella presunta dalla legge, prevista dal precedente art. 102, è rimessa al potere discrezionale del magistrato, cui è demandato di verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge e di accertare la pericolosità sociale del soggetto, ha rimarcato che la pericolosità deve essere desunta dalla valutazione complessiva della condotta tenuta dallo stesso senza che rilevino termini o periodi prefissati entro i quali siano stati commessi i reati, invece indicati nelle disposizioni concernenti l’abitualità presunta, nonché della qualità dei fatti commessi e dei beni giuridici offesi, elementi tutti che, insieme con la reiterazione delle condotte illecite, sono indicativi della pervicacia del reo nel delinquere.

Sotto concorrente profilo si è anche affermato che, qualora le condanne definitive siano già sussistenti nel numero prescritto e per i reati previsti, qualsiasi comportamento o circostanza che si aggiunga alle suddette condanne e riveli una precisa tendenza a delinquere (come, ad esempio, una condanna non definitiva per altri gravi reati, tanto più se di indole omogenea), è sintomo ulteriore della qualificata pericolosità sociale del soggetto, tale da giustificare la dichiarazione di abitualità nel delitto (Sez. 1, 19224/2016).

L’abitualità a delinquere ritenuta dal giudice, ai sensi dell’art. 103, è rimessa al potere discrezionale del magistrato, il quale, dovendo prima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge ed accertare, poi, la pericolosità sociale del soggetto, è tenuto a darne giustificazione con un’adeguata motivazione. La dichiarazione di abitualità esige la valutazione complessiva della condotta tenuta dal soggetto sia in precedenza che nel periodo ultimo di libertà, nonché della natura e qualità dei reati commessi e dei beni giuridici offesi, elementi tutti che, insieme con la reiterazione delle condotte illecite, sono indicativi della pervicacia del reo nel delinquere. Inoltre, l’art. 103, a differenza delle disposizioni concernenti l’abitualità presunta dalla legge ex art. 102, non fa alcun riferimento a termini o periodi prefissati entro i quali i reati siano stati posti in essere.

L’attualità della pericolosità sociale può essere desunta da qualsiasi elemento utile, oltre alla natura e alla gravità dei reati commessi, e anche da semplici indizi, sempre che questi siano costituiti da elementi di fatto certi dai quali sia possibile far discendere, sul piano congetturale, la formulazione del giudizio probabilistico in ordine alla futura commissione dei reati (Sez. 1, 9965/2015).

Ai fini della preclusione di cui all’art. 444, comma 1-bis, CPP, occorre distinguere, la condizione dei delinquenti abituali, professionali e per tendenza da quella dei recidivi soltanto per i primi è prevista la sussistenza della relativa dichiarazione al momento della richiesta di applicazione della pena, non anche per i recidivi, cosicché, per il sorgere della detta preclusione, non è necessario che il sospetto sia stato dichiarato recidivo, ma è sufficiente che si trovi nelle condizioni per esserlo, anche con la sentenza nel procedimento in cui è proposto il patteggiamento.

Del resto, come emerge, dalla lettura degli art. 102, 103, 104, 105 e 108, in tema di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere, e 99 c.p., in tema di recidiva, solo nelle prime ipotesi è prevista la "dichiarazione" del giudice, mentre in caso di recidiva si fa luogo direttamente all’aumento di pena per chi si trovi nelle condizioni richieste dalla norma. Né, in senso contrario, potrebbe rilevare la circostanza che, per effetto del bilanciamento delle circostanze, la recidiva, pur ritualmente contestata, ceda di fronte a un’attenuante, perché, nel caso di specie, la recidiva non è circostanza aggravante ad applicazione facoltativa che la volontà delle parti possa liberamente escludere, bensì condizione ostativa, posta dalla legge, all’ammissibilità del rito speciale (Sez. 2, 44604/2006).

Ai fini dell’ammissibilità dell’oblazione speciale di cui all’art. 162-bis non è richiesto che la recidiva reiterata, l’abitualità e la professionalità nelle contravvenzioni siano state giudizialmente dichiarate dal giudice, essendo sufficiente la mera cognizione del magistrato della sussistenza di detti "status", dal momento che l’art. 162-bis subordina la non ammissibilità dell’oblazione al fatto che "ricorrano" i casi previsti dal terzo capoverso dell’art. 99, dall’art. 104 o dall’art. 105 stesso codice, ovvero che permangano le conseguenze dannose o pericolose del reato, eliminabili da parte del contravventore, come si desume dal tenore letterale e logico della disposizione (Sez. 1, 17316/2006).