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Art. 727 - Abbandono di animali

1. Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

2. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze (1).

(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 1, L. 473/1993 e poi dall’art. 1, L. 189/2004.

Rassegna di giurisprudenza

Le condotte sanzionate dagli artt. 727, comma 2, e 544-ter, comma 1, e cioè la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze (art. 727, comma 2), e la determinazione, per crudeltà o senza necessità, di lesioni a un animale, o la sottoposizione dello stesso a sevizie o a comportamenti o fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche (art. 544-ter, comma 1), non sono tra loro astrattamente incompatibili, né tra le due fattispecie vi è un necessario rapporto di specialità (nel senso che l’ipotesi contravvenzionale debba rimanere necessariamente assorbita in quella delittuosa quando questa sia configurabile), in quanto la produzione delle lesioni, o la sottoposizione a sevizie o a comportamenti o fatiche insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale, non implicano e non presuppongono necessariamente la previa detenzione o custodia dei medesimi animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, potendo la determinazione delle lesioni o la sottoposizione alle sevizie o ai lavori insopportabili verificarsi anche in assenza della detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttive di gravi sofferenze, cosicché le due fattispecie possono tra loro concorrere, potendo la determinazione di lesioni all’animale aggiungersi alla sua custodia in condizioni incompatibili con la sua natura (come avvenuto nel caso in esame) (Sez. 3, 43164/2018).

Il reato di cui all’art. 727 è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura (Sez. 3, 6829/2015).

La previsione di cui all’art. 727 comma 2 va intesa nel senso che l'utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale: tuttavia la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione sull'animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi "gravi sofferenze"; evento del reato, da intendersi nell'insorgere nell'animale di patimenti psico-fisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità (Sez. 3, 10758/2021).

È indubbio che integri il concetto di sevizie e comportamenti incompatibili con le caratteristiche dell’animale, e pertanto sia già di per se fattore tale da costituire l’elemento materiale del reato contestato il tenere lo stesso, per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un’adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità. È, infatti, nozione di comune esperienza il dato secondo il quale il cane sia di per sé un animale gregario, destinato cioè a vivere  sia pure in abituali condizioni di sostanziale cattività  non isolato ma in comunione con altri soggetti, comunemente rappresentati, data la oramai millenaria consuetudine che tale bestia ha con la specie umana, da uomini nei cui confronti esso non di rado riversa, in una auspicabile mutua integrazione, i segni evidenti della propria sensibile affettività, dovendo, peraltro, ricevere dall’uomo, ove sia instaurato con esso un rapporto di proprietà, le necessarie cure ed assistenze. È, pertanto, evidente come sia contrario alle oramai radicate caratteristiche etologiche della bestia in questione il trattamento descritto (Sez. 3, 8036/2018).

Il criterio discretivo fra le fattispecie di cui agli artt. 544-ter e 727 comma 2 appare essere riconducibile al diverso atteggiamento soggettivo dell’agente nelle due diverse fattispecie criminose, essendo la prima connotata dalla necessaria sussistenza del dolo, persino nella forma specifica ove la condotta sia posta in essere per crudeltà o, comunque, nelle sue ordinarie forme ove la condotta sia realizzata senza necessità (Sez. 3, 44822/2007), mentre nel caso del reato di cui all’art. 727 la produzione delle gravi sofferenze, quale conseguenza della detenzione dell’animale secondo modalità improprie, deve essere evento non voluto dall’agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia, ma derivante solo da una condotta colposa dell’agente (in tal Sez. 3, 21932/2016, in qui è stata appropriatamente differenziato, sotto il profilo della rilevanza penale, l’uso del collare addestrativo come tale da integrare la contravvenzione di cui all’art. 727 ove finalizzato a realizzare, con metodi incentrati su impulsi dolorosi in caso di risposte insoddisfacenti da pare dell’animale, tecniche di apprendimento di comportamenti conformi alle caratteristiche etologiche della bestia, e come tale da integrare, invece, la violazione dell’art. 544-ter la medesima metodica se, invece, finalizzata a reprimere, attraverso la sofferenza fisica, comportamenti ordinari dell’animale dettati dalle sue specificità naturalistiche; nella specie si trattava di reprimerne, attraverso impulsi dolorosi, la naturale inclinazione ad abbaiare, quale indubbia forma di manifestazione esterna di interne sensazioni) (Sez. 3, 8036/2018).

Il reato di cui all’art. 727 non sanziona esclusivamente gli atti di crudeltà, caratterizzati dal dolo, ma anche comportamenti colposi di incuria e abbandono nei confronti degli animali (Sez. 3, 15076/2018).

Il delitto di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura di cui all’art. 727, comma secondo, ha natura di reato permanente, la cui consumazione inizia nel momento in cui l’autore del reato tiene gli animali nella condizione vietata e cessa nel momento in cui rimuove detta condizione o ne perde la disponibilità, anche per effetto del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria (Sez. 3, 21460/2015).

L’ANPANA  associazione che ha come scopo statutario la tutela degli animali  va considerata persona offesa in relazione ai delitti contro il sentimento degli animali e dalla contravvenzione prevista dall’art. 727; essa, quindi, è legittimata a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione relativa ai predetti reati (Sez. 3, 34095/2006).