x

x

Art. 22 - Ergastolo

1. La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno (1).

2. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto (2).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 168/1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile.

(2) Capoverso così sostituito dall’art. 1, L. 1634/1962. Seguivano un secondo ed un terzo capoverso abrogati dallo stesso articolo.

Rassegna di giurisprudenza

Ergastolo ostativo

Il cosiddetto ergastolo ostativo di cui agli artt. 22 e 4-bis e 58-ter Ord. pen. viola l’art. 3 CEDU poiché le possibilità di liberazione risultano eccessivamente limitate sicché ne risulta lesa la dignità umana. La decisione non può essere tuttavia interpretata nel senso di garantire al ricorrente la possibilità di un’immediata liberazione (Corte EDU, Sez. 1, Viola c. Italia, sentenza del 13 giugno 2019).

È rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis, ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premi (Sez. 1, 57913/2018).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, nella parte in cui prevede l’applicazione della pena dell’ergastolo, in relazione all’asserita natura perpetua di tale sanzione, per conseguente contrasto con l’art. 27, comma terzo Cost., in considerazione, da un lato, della connotazione polifunzionale della misura, in quanto comprensiva delle finalità di prevenzione, generale e speciale, nonché di difesa e di rieducazione sociale e, dall’altro, dell’esistenza di una disciplina di esecuzione che consente di escludere, in concreto, la perpetuità della stessa (Sez. 1, 43711/2015).

Con l’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, l’ergastolo ha cessato di essere una pena perpetua, quindi non può dirsi contraria al senso di umanità; inoltre non è incompatibile con la grazia e con la possibilità di un reinserimento incondizionato del condannato nella società libera (Sez. 1, 33018/2012).

La compatibilità tra la pena dell’ergastolo ed i principi di cui all’art. 3 CEDU è stata anche ritenuta dalla Corte di Strasburgo che ha risolto positivamente la questione in tutti i casi in cui al soggetto adulto la legislazione nazionale consenta, comunque, la possibilità di riesame della pena stessa per commutarla, sospenderla, porvi fine o accordare la liberazione anticipata (Corte EDU, Grande Camera, sentenza 9/7/2013, Vinter c/Regno Unito; Corte EDU, Sez. 2, 11/10/2011, Schuchter c. Italia) (Sez. 7, 40403/2018).

Il precetto costituzionale costituito dal fine rieducativo della pena è stato soddisfatto dal legislatore anche con riferimento all’ergastolo, avuto riguardo al momento dinamico dell’applicazione della pena medesima, poiché sono stati introdotti dei correttivi (quali l’istituto della liberazione condizionale e, per i minori, l’esclusione dalle nuove e più rigorose previsioni limitatrici della fruibilità dei benefici stabiliti dall’ordinamento penitenziario e l’applicabilità della liberazione condizionale senza i limiti minimi di espiazione di pena previsti in generale) che finiscono con l’incidere sulla natura stessa della pena suddetta, ormai priva del carattere della perpetuità, diversamente da come concepita alle sue origini dal codice penale del 1930. Una volta soddisfatto con detti correttivi il precetto costituzionale che assegna alla pena la funzione rieducativa, diviene esclusivo compito del legislatore il valutare, nelle scelte di politica criminale, se conservare o meno l’ergastolo tra le sanzioni punitive astrattamente previste (Sez. 7, 17875/2018).

Il sistema delineato dall’ordinamento penitenziario vigente in materia di accesso ai benefici del detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo per condanne relative a reati contemplati dall’art. 4-bis Ord. pen. (cd. ergastolo ostativo) è compatibile con i principi costituzionali e con quelli della CEDU, in quanto, in caso di provato ravvedimento, il condannato può essere ammesso alla liberazione condizionale ex art. 176, comma terzo, anche per i predetti reati, in relazione ai quali la richiesta collaborazione e la perdita di legami con il contesto della criminalità organizzata costituiscono indici legali di tale ravvedimento (in motivazione è stato precisato che ciò è sufficiente  alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU  ad escludere che il condannato sia privato "in radice" del diritto alla speranza) (Sez. 1, 7428/2017, richiamata da Sez. 7, 35377/2018).

Questioni estradizionali legate all'ergastolo

La commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottata da uno Stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato (fattispecie relativa a una condanna all’ergastolo oggetto di una estensione dell’estradizione sottoposta a condizione e preceduta da un provvedimento di estradizione non condizionato, emesso in relazione ad altra condanna all’ergastolo per la quale è stata, peraltro tardivamente, apposta la condizione a procedura estradizionale ormai conclusa (SU, camera di consiglio del 25.3.2021, informazione provvisoria).

Isolamento diurno e notturno

L’isolamento diurno previsto dall’art. 72, che si aggiunge a quello notturno ex art. 22 sempre operante in caso di esecuzione dell’ergastolo, ha natura di sanzione penale quale inasprimento di tale tipo di pena, da ciò conseguendo che non sono comunque ammesse modalità esecutive tali da privare di effetti l’isolamento diurno di cui trattasi, come appunto specificatamente si verifica nel caso di apertura del «blindo» di separazione dagli altri detenuti durante il giorno (Sez. 1, 9300/2014).

L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo non è oggetto di un diritto soggettivo, in quanto la previsione di tale modalità esecutiva della pena è stata implicitamente abrogata dalla disposizione di ordinamento penitenziario che stabilisce che i locali destinati al pernottamento dei detenuti consistono in camere dotate di uno o più posti; quanto alle condizioni di detenzione del ricorrente, da lui qualificate come inumane e degradanti ai sensi dell’art. 3 della CEDU, si osserva che l’art. 35-ter Ord. pen., alla luce della interpretazione conforme alla Costituzione offerta da Corte costituzionale, sentenza 204/2016, attribuisce al condannato all’ergastolo che abbia espiato parte della pena in condizioni di detenzione inumane e degradanti il diritto ad ottenere la compensazione in danaro prevista dal comma 2 dello stesso articolo dell’ordinamento penitenziario; non anche il diritto ad ottenere di essere alloggiato in camera di detenzione singola (Sez. 1, 49475/2018).

L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo, che rappresenta un inasprimento sanzionatorio e non una sanzione vera e propria come quello diurno, non può considerarsi oggetto di un diritto soggettivo giuridicamente azionabile dall’interessato. Ne consegue che è legittimo il rigetto di istanza presentata da condannato alla pena dell’ergastolo e mirante ad ottenere, in costanza della sua esecuzione, l’isolamento notturno". A giustificazione di tale orientamento si è rilevato che l’isolamento notturno, come istituto generalizzato collegato alla pena dell’ergastolo, con finalità segregante, non è più previsto dall’ordinamento giuridico positivo, giacché gli artt. 22, 23 e 25 che lo stabilivano devono ritenersi implicitamente modificati dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 6, comma 2, secondo il quale i locali destinati al pernottamento dei detenuti consistono "in camere dotate di uno o più posti", senza distinguere quale sia la pena da eseguire. Inoltre, le "Regole minime per il trattamento dei detenuti", oggetto di "Raccomandazione del Comitato dei Ministri della Comunità Europea 12 febbraio 1987", cui ha inteso richiamarsi anche il ricorrente, prescrivono che "I detenuti devono in linea di principio essere alloggiati durante la notte in camere individuali, salvo nel caso in cui sia considerata vantaggiosa una sistemazione in comune con altri detenuti. Quando una camera è in comune, deve essere occupata da detenuti riconosciuti adatti ad essere alloggiati in queste condizioni..." e quindi tale sistemazione separata dovrebbe essere quella preferibile a tutela della dignità del detenuto. Trattasi, tuttavia, di prescrizione programmatica e non cogente, che ben può sopportare eccezioni anche a causa di difficoltà strutturali od organizzative, purché la diversa sistemazione non comprometta la dignità e la sicurezza del detenuto (Sez. 7, 9331/2017).