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Art. 567 - Alterazione di stato

1. Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito con la reclusione da tre a dieci anni (1).

2. Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 236/2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma, nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni.

Rassegna di giurisprudenza

Il delitto di cui all’art. 567 postula il dolo generico consistente nella contemporanea presenza nell’agente della consapevolezza della falsità della dichiarazione, della volontà di effettuarla e della previsione dell’evento di attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe secondo natura (Sez. 6, 17627/2003).

Concorre nel reato di alterazione di stato mediante falso di cui all’art. 567, comma secondo, chiunque, pur senza rendere alcuna falsa dichiarazione di nascita, contribuisca, materialmente o moralmente, con adeguata efficienza causale, all’evento tipico realizzato dall’autore della dichiarazione che altera lo stato di nascita (Sez. 6, 32854/2009).

Il processo per il delitto di alterazione di stato, commesso mediante falsa attestazione della paternità nella formazione dell’atto di nascita, può essere sospeso in relazione alla controversia civile sulla questione di stato perché essa condiziona, in termini di pregiudizialità, la pronuncia sull’imputazione e la sentenza del giudice civile sul rapporto di paternità naturale esplica effetti vincolanti nel procedimento penale pur non sospeso (Sez. 6, 33326/2007).

La fattispecie delittuosa di cui all’art. 567 punisce l’attribuzione al neonato di un genitore diverso da quello naturale. Ne consegue che non risponde del suddetto delitto la madre che, nel dichiarare all’ufficiale di stato civile che il figlio è stato concepito da un’unione naturale, occulti il suo stato di persona coniugata. Né il silenzio serbato su tale circostanza, concomitante al fatto regolarmente attestato, può integrare una reticenza punibile ai sensi dell’art. 495, trattandosi di dichiarazione che non incide sull’essenza del documento e non è lesiva della funzione probatoria dell’atto in relazione allo specifico contenuto per cui esso è stato formato (Sez. 6, 4453/2005).

La condotta di chi riceve un minore uti filius attraverso il falso riconoscimento della paternità naturale, sia pure verso il pagamento di una somma di denaro o di un’altra utilità, integra il reato di alterazione di stato e non quello di cui all’art. 71 L. 184/1983, il quale - pur non essendo reato «proprio» -, sanziona non l’attività che consiste nel «ricevere» ma quella che consiste nel «cedere» in affidamento il minore o nell’avviarlo all’estero, mentre la previsione del comma quinto dell’art. 71, che estende la sanzione a chi «riceve» il minore in illecito affidamento con carattere di definitività, ha ad oggetto soltanto l’attività di fatto preordinata ad una futura adozione (Sez. 6, 39044/2004).

Integra il delitto di alterazione di stato, ipotizzato dall’art. 567, secondo comma, la falsa dichiarazione resa in sede di formazione dell’atto di nascita del neonato nella quale si attesti falsamente che il neonato sia figlio proprio e di persona che non intende essere nominata, poiché il riconoscimento di un figlio come naturale configura una dichiarazione di scienza che è rivolta ad esprimere tale rapporto di discendenza fondato nella procreazione (Sez. 6, 17627/2003).

Il reato di alterazione di stato di cui all’art. 567, comma 2 si commette nella formazione dell’atto di nascita. Pertanto, le false dichiarazioni incisive sullo stato civile di una persona, rese quando l’atto di nascita è già formato, esulano dalla sfera specifica di tutela dell’alterazione di stato e rientrano nella previsione dell’art. 495, comma 3, n. 1 (Sez. 6, 5356/2003).

In tema di alterazione di stato, l’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 567 non è una forma aggravata della previsione del primo comma, trattandosi di due distinte forme del delitto di alterazione di stato. Infatti, mentre l’alterazione di cui al primo comma riguarda lo status filiationis di neonati già iscritti nei registri dello stato civile, quella di cui al secondo comma è l’effetto di una falsa attestazione o di altra falsità posta in essere nel momento in cui l’ufficiale dello stato civile, sulla loro base, compila l’originale dell’atto di nascita (Sez. 6, 5225/1993).

La fattispecie delittuosa di cui al secondo comma dell’art. 567 non è limitata alla filiazione legittima ma tutela anche lo status di figlio naturale, mirando a prevenire la difformità tra lo stato reale del neonato e quello derivante dal falso operare dell’agente: lo stato di figlio naturale si fonda sul rapporto di procreazione, per cui integra l’alterazione di stato ogni dichiarazione resa in sede di formazione dell’atto di nascita con la quale si attribuisce al figlio riconosciuto una discendenza che non gli compete secondo natura (Sez. 6, 1064/1991).

Ai fini della sussistenza del dolo nel delitto di alterazione di stato è sufficiente la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione contraria alla realtà, tale da attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe secondo natura (Sez. 6, 15039/1990).