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Art. 115 - Accordo per commettere un reato. Istigazione

1. Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo.

2. Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.

3. Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l’istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.

4. Qualora l’istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d’istigazione a un delitto, l’istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza.

Rassegna di giurisprudenza

Ai fini della responsabilità per concorso morale nel reato, si deve accertare una specifica rilevanza, in termini di determinazione o rafforzamento dell’altrui proposito criminoso, tra la manifestazione di volontà del reato e la condotta di chi abbia contribuito alla esecuzione, anche nella fase pre tipica, del reato; non ha rilevanza concorsuale la manifestazione di volontà del reato che si sia limitata, per il decorso del tempo o per altra causa, a far sorgere in chi ha contribuito alla esecuzione la mera consapevolezza di una approvazione ex post del reato, senza aver nemmeno rafforzato il proposito criminoso del concorrente (Sez. 1, 34353/2018).

Non possono annoverarsi tra gli atti non punibili, rilevanti ex art. 115 comma 2, le attività realizzanti atti che già fanno parte del piano criminoso approntato in ogni sua parte, secondo gli indici elaborati dalla giurisprudenza quali la individuazione degli obiettivi, la prospettazione di azioni in dettaglio, l’approvvigionamento di mezzi, la progressione nell’organizzazione (Sez. 2, 24302/2017).

Il reato tentato, disciplinato dall’ art. 56, costituisce fattispecie autonoma rispetto al reato consumato e, per la sua configurabilità, richiede la sussistenza sia dell’elemento soggettivo che di quello oggettivo; mentre l’elemento soggettivo è identico al dolo del reato che il soggetto agente si propone di compiere, l’elemento oggettivo ruota intorno altri concetti di idoneità degli atti, univocità degli atti e mancato compimento dell’azione o mancato verificarsi dell’evento. La problematica del delitto tentato si inserisce, dunque, tra gli estremi della semplice "cogitatio" o semplice accordo (non punibile ai sensi dell’art. 115) ed il delitto consumato.

Per il reato tentato, è necessario, quindi, stabilire quando un’azione, avendo superato la soglia della mera "cogitatio", pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, sia ugualmente punibile (Sez. 2, 31334/2017).

Hanno rilievo, nell’ambito della fattispecie di tentativo, non solo gli atti tipicamente inquadrabili nella fase esecutiva della condotta tipizzata, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, per le circostanze concrete facciano fondatamente ritenere che l’azione abbia la rilevante probabilità di conseguire l’obbiettivo programmato e che l’agente si trovi ormai una soglia dell’iter criminis tale da rendere concettualmente implausibile un arresto della attività in corso di svolgimento in vista della realizzazione del delitto, con la conseguenza di rendere, ex ante prevedibile che la intera realizzazione del fatto sarà portata a compimento, a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente (Sez. 2, 36536/2011).

È ben diversa l’ipotesi del mero accordo criminoso (anche solo tentato) dalla ipotesi di un accordo criminoso che si sia tradotto in atti di tentativo (come è nella fattispecie per le ragioni sopra esplicate).

Solo nel primo caso, infatti, non sussiste la punibilità in virtù dell’art 115; nel secondo caso, invece, si è fuori della sfera dell art 115 citato e gli atti compiuti, sorretti dalla coscienza e volontà dei partecipi all’accordo, ancorché non abbiano perfezionato la consumazione del reato, sono regolati dalla disciplina dell’art 56, assumendo rilevanza di illecito penale punibile nella fattispecie di tentativo, sempre che abbiano acquisito quei caratteri di idoneità e di direzione univoca oggettiva e soggettiva degli atti medesimi al fine di commettere un delitto, sì come previsto dalla norma suddetta (Sez. 2, 17563/2017).

L’applicazione di una misura di sicurezza in presenza di un "quasi reato" (indicandosi con tale espressione le ipotesi contemplate negli artt. 49 e 115, rispettivamente concernenti il reato "impossibile" e la istigazione a commettere un delitto, non accolta, ovvero istigazione accolta o accordo per commettere un delitto quando questo non sia commesso) richiede l’accertamento della responsabilità del prevenuto in ordine al fatto contestato e la sua pericolosità sociale ed il relativo procedimento deve concludersi con l’emanazione di una sentenza (art. 205 cod. pen.), emessa a seguito di contraddittorio fra le parti ed assistita dagli ordinari mezzi di impugnazione; in tal caso, pertanto, il pubblico ministero è tenuto ad avviare l’azione penale chiedendo al giudice la fissazione dell’udienza preliminare, in modo da pervenire, a conclusione del procedimento, alla pronuncia di una sentenza che, nei. casi di commissione di fatti costituenti "quasi -reato", non può essere altro che di proscioglimento ma che consente, essendo stata emessa a seguito di procedimento con pienezza di contraddittorio, di applicare, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 229, n. 2, la misura di sicurezza prevista dalla legge (Sez. 2, 30375/2018).

La fattispecie di cui all’art. 416-bis punisce i partecipi (e i capi, i promotori, gli organizzatori...) dell’associazione per il solo fatto di partecipare al sodalizio (o di averlo promosso, organizzato o diretto...), con espressa deroga alla non punibilità dell’accordo di cui al primo comma dell’art. 115, a sua volta espressamente limitata da coerente clausola di esclusione ("Salvo che la legge disponga altrimenti...") (Sez. 6, 32720/2017).