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Art. 479 - Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

1. Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

I delitti contro la fede pubblica, per la loro natura plurioffensiva, tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello dei soggetti privati sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che essi, in tal caso, sono legittimati a costituirsi parte civile (Sez. 3, 2511/2015).

In tema di falsità documentale commessa dal pubblico ufficiale, ai fini dell’individuazione di tale qualifica occorre, avere riguardo non tanto al rapporto di dipendenza tra il soggetto e la P.A., ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata dal soggetto ed oggettivamente considerata (Sez. 5, 12785/2019).

In tema di falsità documentali, ai fini dell'integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez. 3, 13266/2021).

Ai reati di falso sono estranee le nozioni di danno e di profitto, bastando al perfezionarsi del reato il mero pericolo che dalla contraffazione o dall’alterazione possa derivare alla fede pubblica, che è l’unico bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Pertanto a nulla rileva, ai fini della sussistenza, del reato che la “immutatio veri” sia stata commessa non solo senza animus nocendi vel decipiendi ma anche con la certezza di non produrre alcun danno, essendo sufficiente che la falsificazione sia avvenuta consapevolmente e volontariamente (Sez. 5, 41172/2014).

Nella nozione di atto pubblico oggetto del delitto di falso ideologico ex art. 479, è ricompreso ogni atto redatto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, giacché ciò che rileva è la provenienza dell’atto dal medesimo ed il contributo dallo stesso fornito, in termini di conoscenza o di determinazione, ad un procedimento della pubblica amministrazione (Sez. 5, 44383/2015).

Ai fini della configurazione del reato di falso ideologico in atto pubblico, costituiscono atti pubblici non solo quelli destinato ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e P.A., ma anche gli atti cosiddetti interni cioè sia quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, che quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale  conforme o meno allo schema tipico  ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Sez. 5, 49417/2003).

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art 479 è irrilevante la collocazione del soggetto in una determinata posizione formale della struttura impiegatizia dell’ente pubblico, essendo sufficiente il fatto oggettivo della sua attività funzionale, anche se prestata in modo occasionale, tranne l’ipotesi di incompetenza assoluta od oggettiva che ricorre allorquando l’organo o l’ente in cui il soggetto e inquadrato sia del tutto sfornito del potere di emettere l’atto (nella specie l’imputato, mancando da tempo il messo addetto alle notifiche degli atti del comune, era stato incaricato dagli organi comunali di espletare la funzione di messo notificatore) (Sez. 5, 7490/1980, richiamata da Sez. 5, 12785/2019).

Anche un atto dispositivo (come è l’autorizzazione paesaggistica in esame) può essere ideologicamente falso, laddove trovi il suo presupposto, esplicito o implicito, in una parte descrittiva in cui si attesti, contrariamente al vero, l’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto (SU, 1827/1995, richiamata da Sez. 5, 13807/2019).

Avuto riguardo alla funzione del precetto di cui all’art. 479, diretta a stigmatizzare con la sanzione criminale la condotta del pubblico ufficiale che comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, deve riconoscersi che le informazioni che il pubblico agente è tenuto a rendere devono essere selezionate secondo il criterio della loro rilevanza, da individuarsi nella destinazione probatoria di fatti ed eventi in relazione allo scopo dell’atto comunicativo; scopo che si identifica con la finalità oggettiva in vista della quale è prevista l’attestazione compiuta dal pubblico ufficiale, comprensiva di tutti i fini, diretti ed indiretti, rispetto ai quali è necessaria una documentazione privilegiata di fatti o eventi che ne costituiscono l’indefettibile antecedente logico-fattuale (Sez. 5, 6917/2019).

In materia di falso ideologico in atto pubblico, la rilevanza delle informazioni trasfuse nell’atto redatto dal pubblico ufficiale deriva dallo scopo inerente alle funzioni assegnategli, in relazione al contributo che la sua attestazione  in termini di conoscenza o di determinazione  fornisce ad un procedimento della pubblica amministrazione (Sez. 5, 44383/2015).

Se è vero che la clausola di rilevanza delle informazioni da trasfondere nell’atto pubblico, di cui all’ultima parte dell’art. 479, delinea la stessa tipicità  e quindi l’elemento oggettivo  del delitto di falso ideologico, riferendosi le stesse a fatti o eventi incidenti sulla funzione probatoria del documento, il criterio dello scopo dell’atto, considerato nella sua accezione di azione intenzionale con la quale il dichiarante trasmette un contenuto informativo, il quale può anche consistere nell’attestazione implicita dell’inesistenza di fatti rilevanti in realtà verificatisi, mediante la loro omessa documentazione, non può esaurirsi nel raggio di una espressa e specifica norma, come sarebbe imposto se ci si trovasse al cospetto di un’autentica condotta omissiva, ma si desume dal complesso delle norme che regolano un certo procedimento amministrativo, all’interno del quale si inserisce anche l’atto pubblico attestante implicitamente l’inesistenza di fatti o eventi dissonanti rispetto alla funzione assegnata al procedimento amministrativo.

Sulla base di queste argomentazioni, può affermarsi che il falso, inteso nella sua dimensione sostanziale di genuino ed adeguato mezzo di comunicazione di fatti o eventi costituenti il presupposto della corretta esplicazione della funzione, appare proiettato verso la inosservanza di quelle regole di imparzialità e di trasparenza che presidiano il buon andamento della pubblica amministrazione nella sua accezione costituzionale (fattispecie in cui si è riconosciuta la necessità della fedele documentazione dell’ordine di assunzione delle prove orali di un concorso per l’assunzione di medici ospedalieri, comprendendo tale documentazione anche le modalità di individuazione delle domande poste ai concorrenti, certamente decisive sul piano della garanzia della par condicio dei partecipanti alla selezione comparativa e, come tali, rientranti nello scopo dell’atto, proteso a registrare l’incedere della procedura selettiva secondo canoni di imparzialità e trasparenza) (Sez. 5, 6917/2019).

Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che fornisca una difforme o anche solo parziale rappresentazione dei fatti caduti sotto la sua diretta percezione, considerato che, ai fini dell’elemento soggettivo del reato, è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà della “immutatio veri”, mentre non è richiesto né animus nocendi né animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere, ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno (Sez. 5, 6182/2011).

Sussiste il reato di falsità ideologica in atto pubblico anche se il pubblico ufficiale attesti, contrariamente al vero, fatti di cui la legge non prescriva espressamente la menzione, purché l’attestazione non sia ultronea nell’economia dell’atto, e sia rilevante ai fini dell’emissione dell’atto finale del procedimento (Sez. 5, 4324/1978).

Sebbene ai fini dell’integrazione del delitto di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della “immutatio veri”, questo non può coincidere con il dolo in “re ipsa”, la ridetta componente psicologica essendo comunque da provare, poiché non è configurabile il reato di cui all’art. 479 quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell’agente (Sez. 3, 30862/2015).

In tema di falsità ideologica in atto pubblico, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico - e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione (Sez. 5, 35548/2013).

In tema di falsità documentali, ai fini dell’integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez. 3, 30862/2015).

Concorre nel delitto di falso ideologico in atto pubblico, proprio del pubblico ufficiale, anche il privato che abbia agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto, sia istigando il pubblico ufficiale o rafforzandone il proposito delittuoso (Sez. 1, 23176/2004).

 

…Falso per omissione

In tema di falso documentale, la falsità in atto pubblico può integrare il falso per omissione non solo quando il pubblico ufficiale non riporti le dichiarazioni ricevute, ma anche quando un’attestazione incompleta - perché priva dell’informazione su un determinato fatto - attribuisca al tenore dell’atto un senso diverso, così che l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero o negativo dell’esistenza di dati rilevanti (Sez. 5, 48755/2014).

Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che, formando un’attestazione, tace dati la cui omissione, non ultronea nell’economia dell’atto, produca il risultato di una documentazione incompleta e comunque contraria, anche se parzialmente, al vero (Sez. 5, 32951/2014).

In tema di falso ideologico, l’informazione omessa deve riguardare un “enunciato significativo” rispetto all’economia dell’atto e l’incompletezza può rilevare solo qualora il contesto espositivo dell’atto sia tale da far assumere all’omissione dell’informazione, relativa ad un determinato fatto effettivamente verificatosi, il significato di negazione della sua esistenza (Sez. 5, 3779/2018).

Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che, formando un’attestazione, tace dati la cui omissione, non ultronea nell’economia dell’atto, produca il risultato di una documentazione incompleta e comunque contraria, anche se parzialmente, al vero. Insomma, l’informazione omessa deve riguardare un “enunciato significativo” rispetto all’economia dell’atto e l’incompletezza può rilevare solo qualora il contesto espositivo dell’atto sia tale da far assumere all’omissione dell’informazione, relativa ad un determinato fatto effettivamente verificatosi, il significato di negazione della sua esistenza (Sez. 5, 6817/2019).

 

…Falso valutativo

Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (SU, 22474/2017) (NDA: la decisione in esame, sebbene riferita al reato di false comunicazioni sociali, esprime un criterio comunemente applicato anche in relazione al falso ideologico).

È configurabile il delitto di falso ideologico nella valutazione tecnica formulata in un contesto implicante l’accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi. Infatti, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l’atto da compiere fa riferimento, anche implicito, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 3, 7037/2019).

Al tema della possibile falsità di un atto a contenuto dispositivo è strettamente connesso quello dei confini tra l’attività valutativa e quella vincolata che può precedere la scelta del pubblico ufficiale, a proposito dei quali può essere utilmente richiamata la giurisprudenza in tema di discrezionalità tecnica.

Si è sostenuto, a tale riguardo, che, nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto; diversamente, se l’atto da compiere fa riferimento anche implicito a parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a detti parametri, sicché l’atto potrà risultare falso se detto giudizio di conformità non sarà rispondente ai presupposti cui l’atto è vincolato (Sez. F, 39843/2015).

Nell’ambito del tema della cosiddetta discrezionalità tecnica e nell’ottica della graduazione della vincolatività dei parametri predeterminati, si è altresì opinato che l’ambito di una possibile qualificazione in termini di verità o di falsità di un enunciato valutativo è variabile in ragione del grado di specificità o di elasticità dei criteri di riferimento (Sez. 5, 3552/1999).

È utile, infine, anche ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha sancito il principio secondo cui un enunciato valutativo, fondato su un giudizio di conformità legale, può integrare la fattispecie del falso ideologico allorché sia correlato ad elementi di fatto non rispondenti al vero (Sez. 5, 49017/2004) In conclusione, dunque, può affermarsi che deve ritenersi falso l’atto a contenuto valutativo/dispositivo che sia fondato su falsi dati di fatto, anche allorché questi ultimi costituiscano il presupposto di un vaglio di conformità a legge della situazione oggetto della delibazione e/o che, per giungere alla formulazione dell’enunciato finale, contraddica criteri predeterminati indiscussi o indiscutibili (Sez. 5, 13807/2019).

 

…Falso per induzione

In tema di falso in atto pubblico per induzione, qualora il pubblico ufficiale adotti un provvedimento a contenuto descrittivo o dispositivo dando atto in premessa, anche implicitamente, dell’esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, il provvedimento del pubblico ufficiale è ideologicamente falso in quanto adottato sulla base di un presupposto inesistente e del falso risponde il soggetto che lo ha indotto in errore (Sez. 5, 35006/2015).

Risponde di falso ideologico in atto pubblico per induzione, a norma degli artt. 48 e 479, il privato che, dichiarando false generalità mediante esibizione di un documento di identità alterato, trae in inganno il pubblico ufficiale cagionando volontariamente una falsa attestazione circa i dati anagrafici dello stipulante, a nulla rilevando che il pubblico ufficiale, nel raccogliere la dichiarazione, sia tenuto, in base alla legge professionale, ad accertarsi dell’identità della persona che si costituisce nell’atto (SU, 35488/2007).

Il delitto di falsa attestazione del privato di cui all’art. 483 può concorrere  quando la falsa dichiarazione sia prevista di per sé come reato  con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell’atto al quale la attestazione inerisca (artt. 48 e 479), sempre che la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l’atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità (SU, 35488/2007).

Non sussiste il reato di cui agli art. 48 e 479 solo qualora la falsità dell’atto sia determinata dalle mendaci dichiarazioni del terzo, delle quali il pubblico ufficiale, al di fuori di ogni previsione normativa, si sia incautamente avvalso in luogo di prendere diretta conoscenza dei fatti oggetto dell’attestazione; in tal caso, infatti, la dichiarazione del terzo è inidonea ad influire sulla falsità dell’atto formato dal pubblico ufficiale, e, quindi, sull’evento giuridico della fattispecie di cui all’art. 479, in quanto resa al di fuori della sequenza normativamente prevista per la sua formazione, integrando così un’ipotesi di reato impossibile (Sez. 5, 6388/2013).

 

Falso innocuo

Non sussiste il tentativo di falsità ideologica per induzione in errore del pubblico ufficiale allorché quest’ultimo non si sia determinato, in conseguenza delle false dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere una condotta qualificabile come atto idoneo e diretto in modo non equivoco alla emissione del provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del pubblico ufficiale conseguenti all’induzione in inganno possono assurgere ad elemento del tentativo del falso del pubblico ufficiale e non già il mero inganno del privato che può integrare un diverso autonomo reato (Sez. 5, 37444/2021).

Il precetto contenuto nell’art. 479 è teso a punire il pubblico ufficiale che «attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità», con la necessità che le informazioni trasfuse nell’atto dall’agente devono essere idonee, per la loro rilevanza, alla destinazione probatoria di fatti ed eventi in relazione allo scopo dell’atto comunicativo. Allorché, però, si determina una alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto ovvero quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio in quanto non idonei ad esplicare specifici effetti sulla sua funzione documentale, sussiste il c.d. “falso innocuo” (Sez. 6, 12197/2019).

È innocuo, e quindi non punibile per inidoneità dell’azione, il falso che determina un’alterazione irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto, non modificandone il senso (Sez. 5, 38720/2008).

Il falso può dirsi inutile o superfluo, quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto, non incide sul suo significato comunicativo, nel senso che l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto, non esplicando effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati. Dal che è agevole desumere che l’innocuità non deve essere valutata con, riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma deve emergere dall’atto stesso (Sez. 5, 45299/2018).

Il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo (Sez. 5, 28599/2017).

 

Aggravante riferita agli atti che fanno prova fino a querela di falso

Può essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ex art. 476, comma secondo, qualora la natura fidefacente dell’atto considerato falso, pur non esplicitamente contestata nel capo di imputazione, sia stata indicata chiaramente “in fatto” ed emerga inequivocamente dalla tipologia dell’atto oggetto del falso (Sez. 5, 38931/2015).

Occorre chiedersi se sia possibile  nell’ipotesi in cui la natura fidefacente non sia stata formalmente contestata e neanche indicata in fatto con l’uso di sinonimi ovvero formule verbali equivalenti, integrando pertanto una contestazione oggettivamente criptica  una riqualificazione in pejus della fattispecie contestata, ai sensi del terzo comma dell’art. 597 CPP, che richieda un’intuizione della difesa dell’imputato circa la natura dell’atto oggetto della condotta di falsificazione.

Si deve ritenere al riguardo che la “contestazione a sorpresa” dell’aggravante in esame comporta un’irrimediabile lesione del diritto di difesa e un’imprevedibile mutatio degli elementi costitutivi della contestazione dell’illecito penale (non formalmente veicolata con gli strumenti previsti dall’ordinamento processuale), contro cui l’imputato viene disarmato di ogni possibile strumento difensivo.

Sul punto, va ricordato che è diritto dell’imputato essere tempestivamente informato dettagliatamente, tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica data a questi ultimi, come è stato chiarito tra l’altro dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, Drassich c. Italia dell’1.12.2007 e, precedentemente, Pelissier e Sassi c. Francia del 25.3.1999) la quale ha ravvisato in casi del genere la violazione del § 3, lett. a) e b) dell’art. 6 CEDU (Sez. 5, 24643/2018).

 

Casistica

Integra il reato di falsità ideologica in atto pubblico la condotta del difensore che documenta e poi utilizza processualmente le informazioni delle persone in grado di riferire circostanze utili alla attività investigativa, verbalizzate in modo incompleto o non fedele, in quanto l’atto ha la stessa natura e gli stessi effetti processuali del corrispondente verbale redatto dal PM (SU, 32009/2006).

In tema di falso documentale, la relazione di servizio redatta dal pubblico ufficiale è atto pubblico che, come tale, fa fede fino a querela di falso dei fatti che siano rientrati nella percezione diretta dell’autore o che siano dallo stesso riferiti. Ne consegue che integra il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico la relazione con cui quest’ultimo attesti fatti oggettivamente in contrasto con la realtà storica della vicenda narrata (Sez. 5, 38085/2012).

Gli ordini di servizio sono a tutti gli effetti atti pubblici, dovendosi considerare tali, non solo gli atti destinati a spiegare efficacia nei confronti dei terzi, ma anche quelli meramente interni, formati dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, al fine di documentare fatti inerenti all’attività da lui svolta ed alla regolarità delle operazioni amministrative cui egli è addetto (Sez. 5, 14718/2000; in applicazione di tale principio si è ritenuto che le attestazioni contenute nel “memoriale di servizio giornaliero” dell’Arma dei Carabinieri, rivestendo il significato di ordine di servizio, ed essendo, successivamente, destinate ad attestare la effettiva esecuzione del predetto ordine da parte del militare cui esso è rivolto, hanno natura di atto pubblico).

A differenza delle relazioni di servizio, però, non sono atti pubblici fidefacienti, poiché solo con esse il pubblico ufficiale attesta l’attività espletata nell’esercizio delle sue funzioni e i fatti caduti sotto la sua diretta percezione (Sez. 5, 50082/2017; fattispecie concernente verbale di sopralluogo redatto dal comandante della Polizia municipale contenente circostanze false) (Sez. 6, 46273/2018).

La sottoscrizione del verbale di perquisizione attribuisce, in mancanza di adeguate specificazioni, a ciascuno dei sottoscrittori l’attestazione della veridicità delle indicazioni ivi contenute, sia quanto all’operato di ciascuno, sia quanto ai fatti verificatisi e percepiti come giustificativi dell’esecuzione dell’attività di PG ivi documentata (Sez. 5, 38085/2012).

D’altronde, non può ritenersi che il pubblico ufficiale sia legittimato ad apporre firme “al buio”, essendo suo preciso dovere adottare le procedure idonee a garantire la piena conoscenza del contenuto degli atti che firma e non potendo invocare a propria discolpa l’esistenza di prassi illegittimamente tollerate (Sez. 5, 41848/2018).

Il verbale di arresto è un atto pubblico fidefaciente, ai sensi dell’art. 476 cpv., in quanto redatto da un ufficiale di polizia giudiziaria il quale attesti, nell’esercizio delle sue funzioni, quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza; non è pertanto possibile sostenere che lo svolgimento dei fatti, per come caduti sotto la sua diretta percezione, debba essere ricostruito attraverso un’interpretazione “attenta e logica” del verbale stesso.

Del resto, il pubblico ufficiale che sottoscriva un atto pubblico fidefaciente assume la paternità dell’intero contenuto dell’atto, non potendosi ritenere che lo stesso debba essere attribuito ai diversi autori di singole parti di esso (Sez. 5, 41848/2018).

Non va esente da responsabilità il pubblico ufficiale che dichiari di aver proceduto alla sottoscrizione del verbale di arresto riponendo la propria fiducia nell’operato altrui (Sez. 5, 38085/2012).

La circostanza che il pubblico ufficiale non abbia assistito all’attività di PG, documentata nel verbale che egli ha però sottoscritto, non consente di escluderne la penale responsabilità per il reato di cui all’art. 479 (Sez. 5, 41848/2018).

Può essere affermata la responsabilità, in ordine ai delitti di cui agli artt. 476 e 479, nei confronti di un soggetto incaricato, in forza di una convenzione, di espletare adempimenti amministrativi strettamente connessi all’attività tipica dell’ente pubblico, ma a condizione che risultino chiaramente delineate, sulla base dell’interpretazione delle clausole convenzionali, quali attività in concreto siano attribuite al privato, così da apprezzarne le estrinsecazioni alla stregua di atti attraverso i quali l’ente esprime la propria volontà.

Ciò è tanto più necessario nello specifico ambito delle notificazioni, posto che la giurisprudenza civile di legittimità è incline (quanto, ad esempio, alla notificazione degli avvisi di accertamento) ad escludere che il potere notificatorio possa essere validamente attribuito, in funzione delle finalità di conoscenza legale dell’atto, ad un’agenzia privata di recapito (Sez. 5, 12785/2019).

Le attestazioni contenute in un verbale di seduta di una commissione di esami riflettono atti o fatti di cui il verbale è destinato a provare la verità, sicché la mendace attestazione di taluni di essi, costituendo questi il necessario presupposto logico giuridico di provvedimenti adottati, compromette il credito che l’ordinamento giuridico attribuisce agli atti pubblici in quanto la immutatio veri comporta, da parte dei pubblici ufficiali, la violazione del dovere giuridico di dichiarare la verità. E poiché il verbale è strumento probatorio di attività compiute dai pubblici ufficiali, la falsità del verbale medesimo non solo offende l’interesse collettivo alla veridicità degli atti pubblici, determinando il danno sociale che si ricollega alla alterazione della verità, ma offende altresì quella specifica finalità probatoria cui l’atto deve adempiere (Sez. 5, 4773/2019).

Il reato di cui all’art. 479 si perfeziona con la formazione di un enunciato descrittivo privo di corrispondenza con il reale, senza che rilevino finalità ulteriori sicché, quand’anche il silenzio serbato dal soggetto agente circa l’irregolare svolgimento della prova – per la presenza di persone diverse dai candidati nell’aula di esame – o la condotta di aiuto fornita su insistenza dell’altro commissario ad un candidato straniero non fossero stati animati dall’intenzione di partecipare al sistema di corruttela cui partecipavano altri funzionari della motorizzazione civile o di avvantaggiare il candidato dianzi indicato, tale asserita mancanza di intenzione favoreggiatrice non avrebbe potuto, in ogni caso, giustificare la conclusione che i fatti non costituissero reato.

Questo perché le attestazioni contenute nei verbali di esame assumono rilevanza, in primo luogo, con riguardo alla garanzia di trasparenza dello svolgimento delle prove in maniera imparziale assicurando la par condicio dei candidati (Sez. 5, 4773/2019).

Integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la condotta del notaio che apponga, in calce ad una dichiarazione di vendita di un’automobile, una falsa autentica di firma, attestando così falsamente che firma e data sono apposte in sua presenza, da soggetti che egli ha previamente identificato (Sez. 5, 25894/2009).

Il cosiddetto Modello 99 Area Sanitaria rappresenta un atto pubblico fidefacente, costituendo lo stesso parte del diario clinico del paziente, finalizzato a documentare le vicende sanitarie del medesimo. Ed invero, non si può sottovalutare che il documento in esame è destinato alla prova dei fatti in esso certificati e che, cioè, è precostituito a garanzia generale della pubblica fede, per come redatto da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato e nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice (Sez, 5, 24643/2018).

Deve escludersi il concorso formale tra i delitti di abuso di ufficio e falso ideologico o materiale quando la condotta addebitata si esaurisce nella commissione di un fatto qualificabile come falso in atto pubblico, in ragione della clausola di riserva prevista nell’art. 323 (Sez. 6, 30441/2018).

Integra il reato previsto dall’art. 479 il rilascio di autorizzazione paesaggistica, da parte del responsabile dell’ufficio tecnico competente, nella consapevolezza della falsità di quanto attestato dal richiedente circa la sussistenza dei presupposti giuridico-fattuali per l’accoglimento della relativa domanda.

L’autorizzazione paesaggistica ha natura di atto pubblico  comprovando l’attività di esame e valutazione da parte dell’organo tecnico dei documenti prodotti dal richiedente e producendo un effetto ampliativo della sfera giuridico-patrimoniale del proprietario  il cui rilascio impone in capo all’organo competente l’obbligo giuridico di svolgere in qualunque modo, e non necessariamente con un sopralluogo, le necessarie preventive verifiche in merito alla sussistenza delle relative condizioni (Sez. 3, 42064/2016).