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Art. 480 - Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative

1. Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato di falso in certificazione di cui all'art. 55-quinquies D.LGS. 165/2001 è in rapporto di specialità rispetto al reato di cui all'art. 480 (anche nel caso di falso per induzione) e, pertanto, non concorre con quest'ultimo che resta dunque assorbito nel primo (Sez. 6, 22281/2022).

Il falso ideologico in carta di identità configura l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 480 e non quella di cui all'art. 479, posto che la carta d'identità rientra tra i documenti tutelati da detta norma, trattandosi di un certificato - e non di un atto pubblico costitutivo di diritti a favore del privato ed obblighi a carico della P.A. - la cui specifica finalità è solo quella di consentire l'esatta identificazione delle persone (Sez. 5, 4242/2022).

Se, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 480, la falsità ideologica sia configurabile anche con riferimento al contenuto valutativo concernente il giudizio di conformità alla normativa formulato con riferimento, non già alle situazioni di fatto costituenti il presupposto dell’atto, ma alla interpretazione della normativa stessa (fattispecie in cui, ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, venga attestata la conformità alla normativa paesaggistica dell’intervento oggetto della richiesta di provvedimento abilitativo, senza falsificare i presupposti di fatto rilevanti: indici di edificabilità, distanza tra i fondi asserviti, etc.) (questione rimessa alle Sezioni unite da Sez. 5, 10304/2019).

Quanto alle differenze tra art. 479 e art. 480, secondo ius receptum per poter qualificare certificato amministrativo un atto proveniente dal pubblico ufficiale, occorrono due condizioni: che esso non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; in secondo luogo che l’atto non abbia una propria distinta ed autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente (Sez. 5, 5700/2019).

Integra i reati di falsità ideologica in certificazioni amministrative (art. 480) e di abusivo esercizio della professione medica la condotta consistente nell’operazione di integrale riempimento, da parte del titolare di una farmacia, dei dati relativi a ricettari di prescrizioni mediche intestati ad un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, e da quest’ultimo già sottoscritti e timbrati in ogni foglio lasciato in bianco (Sez. 6, 13315/2011).

In tema di falsità ideologica in certificati o autorizzazioni amministrative (art. 480), deve escludersi la configurabilità del reato quando, postulandosi la medesima con riferimento al contenuto valutativo del documento che sia costituito da un giudizio di conformità della situazione in esso descritta alla pertinente normativa, tale giudizio sia formulato non già sulla base della falsa rappresentazione di elementi di fatto che ne costituiscano il presupposto ma invece sulla base di una determinata interpretazione, che si assuma errata, di quella stessa normativa (nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio, con la formula “il fatto non sussiste”, la sentenza di merito con la quale era stata affermata la sussistenza del reato con riguardo all’attestazione, funzionale al rilascio di un’autorizzazione paesaggistica, della ritenuta conformità alla normativa urbanistica di un intervento edilizio realizzato previa cessione in favore di un lotto edificato della maggiore cubatura consentita in lotti non contigui) (Sez. 5, 7879/2018).

Il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati (art. 480) può concorrere con quello di peculato, in quanto gli stessi tutelano beni giuridici diversi ed hanno riferimento a condotte diverse, posto che la prima fattispecie punisce un’azione falsificatrice autonoma e non indispensabile per la configurazione della condotta appropriativa tipica del peculato (Sez. 5, 30512/2014).

La condotta di chi, previa presentazione di una falsa denuncia di smarrimento di una carta d’identità intestata ad altro soggetto, ottenga poi il rilascio di un duplicato della medesima, recante la propria fotografia ed i propri connotati fisici, dà luogo alla configurabilità del reato di cui all’art. 483 (falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici), per quanto riguarda la falsa denuncia di smarrimento; del reato di cui agli artt. 48 e 476 (falso materiale in atto pubblico commesso mediante induzione in errore del pubblico ufficiale), per quanto riguarda la formazione del cosiddetto “cartellino” con le false sembianze ed i falsi connotati fisici dell’apparente intestatario; del reato di cui agli artt. 48 e 480 (falso ideologico in certificazione amministrativa, sempre commesso mediante induzione in errore del pubblico ufficiale), per quanto riguarda il rilascio, a seguito della suddetta formazione del cartellino, della nuova carta d’identità (Sez. 5, 45208/2001).