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Art. 482 - Falsità materiale commessa dal privato

1. Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.

Rassegna di giurisprudenza

Rapporto con altri reati

Il reato di cui all’art. 497-bis, comma secondo (possesso e fabbricazione di documenti falsi) è da ritenersi integrato quando il soggetto concorre nella contraffazione del falso documento valido per l’espatrio posseduto; la ratio della previsione incriminatrice - che costituisce ipotesi autonoma di reato rispetto a quella del mero possesso prevista dall’art. 497 bis, comma primo - è, infatti, quella di punire in modo più severo chi fabbrica o, comunque, forma il documento, con la conseguenza che il possesso per uso personale rientra nella previsione di cui all’art. 497-bis, comma primo, solo se il possessore non ha concorso nella contraffazione (Sez. 5, 5355/2015).

Occorre peraltro osservare che l’art. 497-bis è stato introdotto per far fronte alla richiesta di maggiore tutela in materia di immigrazione e che in proposito la giurisprudenza di legittimità ne ha dichiarato l’applicabilità in ogni caso, anche prescindendo da eventuali collegamenti del reo con ambienti terroristici (Sez. 5, 9723/2009).

Pertanto, se la detenzione di un documento d’identità falso da parte di un privato poteva in precedenza essere ricondotta alla fattispecie risultante dal combinato disposto degli artt. 477 e 482, l’attuale formulazione dell’art. 497-bis non lascia margine di errore, in quanto è da considerarsi certamente quale lex specialis rispetto alla formulazione dell’art. 477, poiché si riferisce esclusivamente ai documenti “validi per l’espatrio”, categoria particolare all’interno del generale ambito dei “certificati e autorizzazioni amministrative”, cui la seconda fa riferimento (Sez. 5, 8174/2019).

Va escluso il concorso apparente di norme tra il reato di sostituzione di persona e quello di falso in certificazioni amministrative, di cui agli artt. 477 e 482, nella condotta dell’agente che abbia esibito un documento d’identità falsificato al fine di compiere altra azione antigiuridica, ove l’atto di esibizione sia stato preceduto da una distinta attività di falsificazione (Sez. 6, 13328/2015).

 

Casistica

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di una patente di guida. In tema di prova di tale reato, non si rinviene alcuna illogicità nel reputare che chi esibisce un documento falso, contenente dati che gliene consentano l’utilizzo, abbia concorso alla contraffazione quanto meno fornendo gli elementi da riprodurvi (Sez. 7, 1595/2019).

L’apposizione della propria fotografia sulla patente rilasciata ad altra persona, mantenendo inalterati i dati anagrafici e gli altri elementi identificativi, integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo commesso da privato di cui agli artt. 477 e 482 in assenza di elementi atti ad escludere la punibilità del fatto.

Ai fini della integrazione del diverso e meno grave delitto di cui all’art. 489 è, difatti, «necessario che l’agente non abbia concorso nella falsità, ovvero che non si tratti di concorso punibile, sicché sussiste il reato di uso di atto falso quando la falsificazione non sia punibile perché commessa all’estero, in difetto della condizione di procedibilità rappresentata dalla richiesta del Ministro della giustizia ex art. 10, e l’agente abbia fatto uso dell’atto nello Stato (Sez. 5, 57035/2018).

La falsificazione non grossolana della patente di guida rilasciata da uno Stato estero può costituire reato, a norma degli artt. 477 e 482, qualora sussistano le condizioni di validità di tale documento, fissate dagli artt. 135 e 136 CDS, ai fini della conduzione di un veicolo anche nel nostro Paese (Sez. 5, 21929/2018).

La falsificazione non grossolana della patente di guida rilasciata da uno Stato estero può costituire reato qualora sussistano le condizioni di validità di tale documento ai fini della conduzione di un veicolo anche nel nostro Paese, come fissate dagli artt. 135 e 136 DLGS 285/1992 (nell’affermare detto principio, la Corte si è distaccata da altro e più recente orientamento (Sez. 5,10304/2021) per cui la falsificazione non grossolana della patente di guida rilasciata da uno Stato estero può costituire reato, a norma degli artt. 477 e 482, anche qualora non sussistano le condizioni di validità di tale documento ai fini della conduzione di un veicolo anche in Italia, come fissate dagli artt. 135 e 136 DLGS 285/1992) (Sez. 5, 24227/2021).

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di un passaporto (Sez. 7, 1593/2019).

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di un codice fiscale (Sez. 5, 45341/2018).

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di una tessera di abbonamento per l’autorizzazione al parcheggio (Sez. 5, 36086/2018).

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di un permesso di parcheggio riservato ad invalidi (Sez. 5, 8900/2018).

Integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo, previsto dagli artt.477 - 482, la falsificazione del DURC (Documento unico di regolarità contributiva), stante la natura giuridica di tale atto, che ha valore di attestazione della regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi dovuti agli enti di riferimento (Sez. 2, 34762/2018).

Integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 la falsificazione di una certificazione del SERT (Servizio Tossicodipendenze), in modo da far apparire, ancora attuale, contrariamente al vero, un programma terapeutico (Sez. 7, 1593/2019).

Integra il reato di cui agli artt. 476 e 482 la falsificazione della data apposta dall’ufficiale giudiziario su una relata di notifica (Sez. 5, 54466/2018).

L’uso di ricette del Servizio sanitario nazionale intestate ad un medico, recanti il timbro di questi e la sua falsa sottoscrizione, apposta con sigla illeggibile, integra il reato di falso ideologico in atto pubblico commesso da privato ex artt. 479 - 482, poiché in tal modo si ingenera la falsa rappresentazione della riconducibilità al medico convenzionato delle visite e delle conseguenti prescrizioni (Sez. 5, 14681/2019).

Non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un provvedimento amministrativo inesistente, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall’imputato e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente (Sez. 5, 8870/2015).

L’alterazione della copia informale di una bolletta di pagamento non integra il reato di cui agli artt. 476 - 482, che sussiste solo in presenza dell’alterazione di copie autentiche di atti pubblici, né il meno grave reato di cui all’art. 485, che ha ad oggetto la falsificazione delle scritture private (Sez. 5, 7714/2015).

Integra il reato di cui agli artt. 476 e 482 la formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente, del quale si intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori (fattispecie relativa all’apposizione di timbri di ricevuta su moduli di pagamento bancari relativi a tributi) (Sez. 5, 33858/2018).

La questione di diritto in esame concerne la configurabilità di una falsità documentale nel caso della formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà (anche solo parzialmente) inesistente. Al riguardo, va rilevata l’esistenza di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, la cui soluzione, successivamente alla presente decisione, è stata rimessa alle Sezioni unite da Sez. 5, 54689/2018 la questione “se la formazione della falsa copia di un atto pubblico in realtà inesistente integri o meno il reato di falso materiale”.

Un primo orientamento, invero, afferma che integra il reato di falso la formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico invero inesistente in originale (Sez. 5, 40415/2012), o contraffatto (Sez. 5, 4651/2018, in una fattispecie in tema di fotocopia di carta di identità, in cui l’imputato aveva contraffatto il documento originale, cancellando la scritta “non valida per l’espatrio”), del quale si intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori (Sez. 6, 6572/2008, in una fattispecie in tema di copia di atto di affidamento di incarico per lo svolgimento di attività progettuali retribuite da parte di un’università; analogamente, Sez. 5, 5452/2018).

L’interpretazione è fondata su due ordini di argomentazioni: per un verso, l’esibizione di una fotocopia recante il contenuto apparente di un atto pubblico implicherebbe la falsa formazione di tale atto al fine di trarne la copia; per altro, e comunque, ai fini della punibilità della condotta di falso non sarebbe necessario un intervento materiale su un atto pubblico, essendo invece sufficiente, perché il fatto sia lesivo della pubblica fede, che con la falsa rappresentazione offerta dalla fotocopia l’atto appaia, contrariamente al vero, esistente.

Un secondo orientamento afferma che la mera utilizzazione di una fotocopia contraffatta non integri di per sé il reato di falsità materiale, allorquando venga esibita come tale, e salvo che siano presenti, nella fotocopia, requisiti di forma o di sostanza tali da farla apparire come il documento originale o come la copia autentica dello stesso (Sez. 5, 2297/2018: “Non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un documento, sia esso esistente o meno in originale, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentati va dell’esistenza di un atto corrispondente (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto di escludere il reato di falso nell’invio a mezzo fax ad una banca del certificato di pagamento di una fattura comunale in realtà mai emessa dell’ente locale)”; in tal senso, viene attribuita rilevanza alle attestazioni di autenticità dell’atto al documento originale.

Tanto premesso, si condivide e si intende ribadire il secondo orientamento, prevalente nella giurisprudenza di legittimità. Con riferimento agli argomenti richiamati a fondamento del primo orientamento, invero, va evidenziato che l’esibizione di una fotocopia recante il contenuto apparente di un atto pubblico non implica necessariamente la falsa formazione (o l’alterazione) di tale atto; come emerso proprio nella fattispecie in esame, infatti, l’alterazione contestata ha riguardato la sola copia fotostatica dell’atto di compravendita, non già l’atto originale (custodito nell’archivio notarile) o una copia con attestazione di conformità.

L’interpretazione che afferma la configurabilità del falso materiale nella mera esibizione di una fotocopia alterata, peraltro, non sembra poter prescindere dalla condizione che la riproduzione debba essere “fatta passare come prova di un atto originale che non esiste, del quale intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori” (Sez. 5, 5452/2018), pretendendo dunque che la fotocopia sia presentata con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede, e mancando, altrimenti, un’offesa al bene tutelato. Tuttavia, l’offesa al bene tutelato  la fede pubblica, nella sua dimensione di sintesi categoriale degli interessi sottesi alla certezza ed affidabilità del traffico economico e giuridico  può ricorrere soltanto quando la falsità concerna un documento che abbia un contenuto giuridicamente rilevante, dotato della specifica funzione probatoria assegnatagli dall’ordinamento; il documento rilevante ai fini della falsificazione deve, in altri termini, essere idoneo e verosimilmente destinabile alla prova di rapporti giuridici.

Tale funzione probatoria non può essere riconosciuta, di per sé, alla mera riproduzione di un documento originale; sicché la copia fotostatica, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l’autenticità, non può mai integrare il reato di falso, anche nel caso di inesistenza dell’originale, perché  ferma restando la possibilità che sia integrato un diverso reato  è per sua natura priva di valenza probatoria, potendo assumere una tale efficacia solo nei casi espressamente previsti dall’ordinamento giuridico, a meno che non venga presentata con l’apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede (Sez. 5, 3273/2019).

La questione posta da Sez. 5, 54689/2018 “se la formazione della falsa copia di un atto pubblico in realtà inesistente integri o meno il reato di falso materiale” è stata risolta dalle Sezioni unite per le quali “La formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale” (SU, 28.3.2019).

La ricevuta di versamento in conto corrente postale ha natura di atto pubblico di fede privilegiata per quanto attiene alla provenienza del documento e ai fatti che il pubblico ufficiale attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza (fattispecie relativa a contraffazione commessa da privati di bollettini di versamento dell’oblazione per il rilascio di titolo abilitativo in sanatoria) (Sez. 5, 11105/2015).

La ricevuta di versamento di una tassa documenta una attività svolta personalmente dal soggetto preposto, atteso che con essa si attesta l’effettuazione dell’operazione, la registrazione della stessa, la riscossione della somma ed il vincolo ad effettuare l’accreditamento al destinatario, sicché essa, costituendo prova dell’avvenuto pagamento della tassa, rientra nell’ambito della tutela prevista dall’art. 476.

Peraltro, la dottrina sul tema ha significativamente evidenziato come il reato previsto dall’art. 482 sia configurabile anche se il privato formi o alteri l’atto di competenza dell’incaricato di pubblico servizio, stante il richiamo che l’art. 482 compie alle condotte previste dall’art. 476 ed essendo quest’ultima norma a sua volta collegata con l’art. 493, conseguendone in via indiretta l’affermazione di responsabilità del soggetto che falsifichi atti dell’incaricato di un pubblico servizio (Sez. 6, 8289/2019).

Deve senz’altro riconoscersi alla revisione attestata su carte di circolazione di veicoli con targa estera ed eseguita nel Paese di immatricolazione, la stessa validità e lo stesso rilievo giuridico, delle medesime attestazioni rilasciate dalle autorità competenti in Italia per veicoli immatricolati nel nostro Paese. Ciò in quanto, da un lato i conducenti in circolazione internazionale devono poter provare di essere stati sottoposti ai prescritti controlli tecnici nei termini prescritti dai rispettivi Stati di immatricolazione, dall’altro le autorità competenti devono poter verificare che ogni veicolo circolante sia nelle condizioni tecniche di massima efficienza al fine di garantire elevati standard di sicurezza nella circolazione e di tutela contro emissioni inquinanti.

Pertanto, l’accertamento della falsità del certificato straniero comporta l’integrazione del reato di cui agli artt. 477 e 482. Va infatti ribadito che il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo commesso da privato, di cui al combinato disposto degli artt. 477 e 482, la condotta costituita dalla formazione di una falsa attestazione dell’avvenuta revisione di un autoveicolo con esito positivo, anche quando la mendace indicazione è apposta sulla carta di circolazione (Sez. 5, 7900/2019).

Il registro di classe è pacificamente ritenuto un atto pubblico, dal momento che le annotazioni su di esso effettuate – ivi comprese quelle concernenti la presenza o l’assenza degli alunni – attestano di attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto rispetto a fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti; tali attestazioni sono dotate di valenza probatoria sia ex se, sia nell’ottica del procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell’ordinamento giuridico statale.

Tale natura è stata costantemente riconosciuta, dal diritto vivente, anche ai registri di classe delle scuole legalmente riconosciute. Il docente/vicepreside che compili il registro di classe non si muove nell’ambito di un facere estraneo alla propria sfera di attribuzioni, ma nel novero di un’attività, ancorché esercitata in luogo dei soggetti a ciò specificamente abilitati, pur sempre gravitante nella sfera di controllo e di influenza propria della mansione svolta.

Ne consegue che non può ragionevolmente opinarsi circa un rapporto di estraneità del soggetto-agente rispetto all’attività svolta ovvero di assoluta eterogeneità dei compiti che possa giustificare il ridimensionamento dello statuto punitivo, che troverebbe giustificazione solo laddove ad aver agito fosse stato un soggetto completamente avulso dall’apparato organizzativo a cui apparteneva il soggetto deputato alla redazione dell’atto e privo di qualsiasi incidenza sull’attività di quest’ultimo.

Risponde pertanto del reato di falso ideologico in atto pubblico, ai sensi dell’art. 479, e non del delitto di cui all’art. 482, il docente e vicepreside che concorra ad attestare, nei registri di classe, la frequenza scolastica di alunni inesistenti per raggiungere il numero minimo per la composizione delle classi e la presenza di studenti effettivamente iscritti all’istituto paritario, ancorché essi fossero assenti alle lezioni (Sez. 5, 38913/2018).