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Art. 489 - Uso di atto falso

1. Chiunque senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo.

[2. Qualora si tratti di scritture private, chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno] (1).

(1) Comma abrogato dall’art. 2, comma 1, lett. b), DLGS 7/2016.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

Ai fini dell’integrazione del reato di uso di atto falso (art. 489), ove la contraffazione sia avvenuta in Italia, potrà ritenersi sussistente il delitto di cui agli artt. 477 e 482; laddove, invece, il documento sia stato contraffatto all’estero e sia stato solo utilizzato in Italia, potrà ritenersi sussistente, mancando la richiesta del Ministro della giustizia, il meno grave delitto di cui agli artt. 489, 482 e 477 (Sez. 5, 37443/2021).

La fattispecie regolata dall’art. 489 assume carattere sussidiario rispetto a quella di contraffazione, qualora l’agente si identifichi con l’autore di quest’ultima. Tuttavia, la clausola di sussidiarietà menzionata medesimo articolo opera solo nel caso della concreta punibilità del concorso dell’utilizzatore nella contraffazione. In tal senso deve dunque escludersi che l’uso dell’atto falso non sia punibile qualora l’agente non sia punibile per la contraffazione per essere tale reato già estinto per prescrizione (Sez. 5, 10336/2019).

La configurabilità della fattispecie di uso di atto falso di cui all’art. 489 presuppone che l’utilizzatore del documento non abbia concorso in alcun modo nella falsificazione dello stesso (Sez. 5, 48918/2018).

Il delitto di uso di atto falso è istantaneo e non permanente, in quanto la sua consumazione si esaurisce con l’uso, mentre la protrazione nel tempo degli effetti prodotti rappresenta il risultato dell’azione criminosa (Sez. 5, 38438/2015).

Data la natura di reati di pericolo dei reati di falso, per la cui integrazione è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione a prescindere dal verificarsi di un evento di danno, è escluso il rilievo del falso innocuo (Sez. 5, 2300/2018).

L’innocuità del falso deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica (Sez. 5, 47601/2014).

In tema di reati contro la fede pubblica, la nozione di uso di atto falso comprende qualsiasi modo di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura dell’atto, con la conseguenza che ad integrare il reato è sufficiente la semplice esibizione del documento falso, quale che sia il significato che il soggetto intenda attribuire all’atto in esso contenuto (Sez. 5, 4647/2014).

Il DLGS 7/2016 ha abrogato, in conseguenza della soppressione dell’art. 485, il secondo comma dell’art. 489, avente ad oggetto l’ipotesi di uso di atto falso in scrittura privata da parte di chi non sia concorso nella falsità, mentre l’ipotesi particolare dell’uso di titolo di credito falso da parte di chi non sia concorso nella falsità è tuttora prevista come reato dall’ art. 491, comma 2 (Sez. 2, 24125/2017).

 

Rapporti con altre fattispecie

Il delitto di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi (art. 497-bis) si distingue da quello di uso di atto falso (art. 489) in quanto, sul piano strutturale, prescinde dall’esclusione di qualsiasi forma di concorso nella formazione dell’atto falso e, con riguardo al bene protetto, tutela l’affidabilità dell’identificazione personale e non la genuinità del documento in sé.

In tal senso è eloquente la diversa collocazione delle due norme nel sistema del codice penale, essendo quella di cui all’art. 489 inserita nel capo II, titolo III, libro II, dedicato alle falsità in atti, mentre quella di cui all’art. 497-bis inserita nel capo IV dedicato alle falsità personali. Tale argomento, in effetti, depone per l’interpretazione secondo la quale la ratio della norma di cui all’art. 497-bis deve individuarsi nella tutela non della genuinità del documento in sé, quanto in quella dell’affidabilità dell’identificazione personale (Sez. 5, 3182/2019).

Non sussiste difetto di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata nel caso in cui l’imputato, al quale sia stata originariamente contestata la falsificazione materiale del documento, venga invece condannato per uso di atto falso. Ciò in quanto l’art. 489 prevede una condotta, quella di uso, che delle condotte di falsificazione costituisce una progressione criminosa, essendo punibile autonomamente solo se commessa da chi non abbia partecipato alla falsificazione o comunque per la falsificazione non sia punibile.

Sicché al contraffattore viene contestata solo la contraffazione, anche quando abbia fatto pure uso del documento contraffatto; ma ciò non esclude che l’uso rimanga comunque contestato in fatto, quale elemento concreto della vicenda criminosa (Sez. 5, 42649/2004). Coerentemente, si è per converso affermato che non possa valere il reciproco, ove si versi in un caso di contestazione dell’uso di un atto falsificato e si ritenga invece integrato il concorso nella contraffazione (Sez. 5, 12599/2017) (riassunzione dovuta a Sez. 5, 33839/2018).

L’apposizione della propria fotografia sulla patente rilasciata ad altra persona, mantenendo inalterati i dati anagrafici e gli altri elementi identificativi, integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo commesso da privato di cui agli artt. 477 e 482, in assenza di elementi atti ad escludere la punibilità del fatto.

Ai fini della integrazione del diverso e meno grave delitto di cui all’art. 489 è, difatti, necessario che l’agente non abbia concorso nella falsità, ovvero che non si tratti di concorso punibile, sicché sussiste il reato di uso di atto falso quando la falsificazione non sia punibile perché commessa all’estero, in difetto della condizione di procedibilità rappresentata dalla richiesta del Ministro della giustizia ex art. 10, e l’agente abbia fatto uso dell’atto nello Stato (Sez. 5, 57035/2018).

La fattispecie di cui all’articolo 489 non richiede, per la propria integrazione, la idoneità concreta dell’atto a far conseguire un vantaggio, e neppure  a differenza della configurazione dell’art. 485  la finalità dell’agente di procurarsi un vantaggio, atteso che una simile evenienza può rilevare esclusivamente a titolo di indizio della volontarietà o meno della condotta consistente nell’uso.

Viceversa, la nozione di uso di atto falso comprende qualsiasi modo di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura dell’atto, con la conseguenza che ad integrare il reato è sufficiente la semplice esibizione del documento falso, quale che sia il significato che il soggetto intenda attribuire all’atto in esso contenuto (Sez. 5, 13925/2017).

 

Casistica

Non integra il reato di uso di atto falso (art. 489) l’esposizione sulla propria auto della fotocopia di un permesso di parcheggio riservato agli invalidi, qualora si tratti di fotocopia realizzata in bianco e nero che, in quanto tale, non può simulare l’originale, palesando chiaramente la sua natura di riproduzione fotostatica, posto che in tal caso non sussiste il dolo generico che caratterizza il reato in questione (Sez. 5, 22578/2010).

In senso contrario: integra il reato di uso di atto falso (art. 489), la condotta del soggetto che espone sull’auto  parcheggiata in zona contrassegnata dall’obbligo di pagamento della sosta o in zona a traffico limitato  la falsa copia del permesso di parcheggio per invalidi (Sez. 5, 13925/2017).